Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
ATOMICA

Hiroshima, mancano ancora le scuse di Obama

Hiroshima, Barack Obama abbraccia due anziani sopravvissuti alla bomba atomica del 6 agosto 1945. Ma non chiede scusa per l'attacco nucleare. Pronuncia un discorso a favore del disarmo globale. Ma intanto deve tenere con sé la valigetta nucleare e la sua amministrazione aumenta il budget per l'arsenale atomico.

Esteri 28_05_2016
L'atomica su Hiroshima, 6 agosto 1945

Barack Obama in visita a Hiroshima dopo il G-7 in Giappone, abbraccia Shigeaki Mori (79 anni) e incontra Sunao Tsuboi (91 anni), due sopravvissuti alla prima bomba atomica, sganciata sulla loro città il 6 agosto 1945. 140mila abitanti di Hiroshima morirono in quel giorno o in seguito alle ferite e alle radiazioni. Il gesto di affetto del presidente americano ha un’alta carica emotiva e attira le simpatie del pubblico giapponese. Ma Barack Obama non ha chiesto scusa per il bombardamento nucleare. Nel suo discorso ribadisce il suo desiderio per un mondo denuclearizzato, ma al suo seguito, come sempre, ha la valigetta nucleare, con la quale può ordinare il lancio di quasi 1000 testate atomiche in pochi minuti. Ci sono tante contraddizioni in quest’unico episodio ed è bene esaminarle.

Prima di tutto, le scuse sarebbero state doverose o superflue? Il regime di Pechino, nel suo comunicato a commento della visita a Hiroshima del presidente americano, ricorda il massacro di Nanchino del 1937: il Giappone imperiale, allora, sterminò 200mila civili cinesi innocenti dopo la resa della città. I conservatori americani, informalmente, ribadiscono che non ci sia nulla di cui scusarsi, perché gli Usa, quando erano ancora neutrali, vennero attaccati per primi dal Giappone, a Pearl Harbor, il 7 dicembre 1941. La tesi statunitense a giustificazione della bomba atomica, inoltre, si basa su un calcolo utilitaristico: senza gli attacchi nucleari su Hiroshima e Nagasaki, si dice in modo ricorrente, la guerra sarebbe durata probabilmente un anno in più e sarebbe costata almeno un milione di morti nella prevista invasione alleata e sovietica del Giappone. Le ragioni delle mancate scuse, insomma, sarebbero essenzialmente queste due: Tokyo ha attaccato per prima (prima la Cina, poi le colonie europee in Asia e infine gli Usa) e la guerra sarebbe durata di più e con più vittime senza le bombe atomiche.

Alla luce della Dottrina cattolica, entrambe le giustificazioni non reggono. La Chiesa non predica il pacifismo assoluto, ammette la legittima difesa (2308 Catechismo Chiesa Cattolica). Dunque era legittima la risposta militare al Giappone, quella contro l’impero asiatico si può, a tutti gli effetti considerare una guerra giusta sia da parte della Cina che da parte degli Alleati attaccati. Ma una volta accertato che la guerra è difensiva, dunque giusta, esiste anche una giustizia durante la guerra. E su questo, il Catechismo è molto chiaro: “La Chiesa e la ragione umana dichiarano la permanente validità della legge morale durante i conflitti armati. «Né per il fatto che una guerra è ormai disgraziatamente scoppiata, diventa per questo lecita ogni cosa tra le parti in conflitto»” (2312 CCC). E dunque: “«Ogni atto di guerra che indiscriminatamente mira alla distruzione di intere città o di vaste regioni e dei loro abitanti, è delitto contro Dio e contro la stessa umanità e con fermezza e senza esitazione deve essere condannato». Un rischio della guerra moderna è di offrire l'occasione di commettere tali crimini a chi detiene armi scientifiche, in particolare atomiche, biologiche o chimiche” (2314 CCC).

Quanto al futuro, invece, la valigetta nucleare al seguito di Obama contraddice le sue parole sull’auspicato disarmo: “Dobbiamo avere il coraggio di sfuggire alla logica del terrore e perseguire un mondo senza di esse (senza armi nucleari, ndr)”. Certo, di tante cose si può accusare il presidente americano, meno che non abbia cercato realmente di ridurre gli arsenali nucleari. Con il trattato Nuovo Start firmato con la Russia nel 2010, Obama ha accettato la riduzione bilaterale degli arsenali strategici: il limite massimo fissato dalle due potenze nucleari è di 1550 testate atomiche a testa. Con l’accordo di Vienna, ha ottenuto un congelamento del programma nucleare iraniano. Ma ciò non toglie che le armi nucleari continuino ad essere tra noi. L’obiettivo ambizioso della campagna Global Zero non è in vista, il suo secondo target intermedio (la riduzione a 500 testate nucleari degli arsenali di Usa e Russia), che avrebbe dovuto essere raggiunto in questi anni, appare più lontano che mai. Anzi, attualmente, l’amministrazione americana ha aumentato il budget per la modernizzazione dell’arsenale nucleare, in tutte le sue componenti. A prescindere dalla buona volontà, sono le circostanze che dettano questa scelta: anche la Russia sta modernizzando il suo arsenale e i suoi vertici ricorrono sempre più disinvoltamente alla velata minaccia nucleare ad ogni crisi politica in cui sono coinvolti, a partire dalla Crimea per arrivare al braccio di ferro con la Turchia; la Corea del Nord ha effettuato il suo quarto test nucleare e pare intenzionata a farne un altro e la Cina sta modernizzando il suo arsenale con l’introduzione di nuovi missili balistici intercontinentali.

E questo è il dilemma di tutte le amministrazioni, anche le più anti-nucleariste, non solo di Barack Obama. Una volta inventate, le armi nucleari non possono essere dis-inventate. Una volta proliferate, non possono essere eliminate per decisione di un unico capo di Stato. Il disarmo nucleare dovrebbe essere frutto di una decisione multi-laterale ed effettuato in modo simmetrico da tutte le potenze nucleari, comprese quelle più recenti, come India, Pakistan e Corea del Nord, ma non sono mai esistite le condizioni per arrivare a un simile risultato. La campagna per il “disarmo unilaterale”, molto in voga negli anni ’70 e ’80, mirava allo smantellamento degli arsenali atomici dei soli paesi Nato, con la speranza che l’Urss avrebbe seguito l’esempio. Non a caso, si trattava di una campagna lautamente foraggiata da Mosca e seguita soprattutto dai partiti comunisti occidentali: chi disarma per primo, è in balia di chi è ancora armato. Un anti-nuclearista convinto fu Ronald Reagan, che puntò a una strategia alternativa, una vera fuga in avanti tecnologica: rendere l’arma atomica “impotente e obsoleta”, attraverso la costituzione di nuove e robuste difese anti-missile. Ma il dilemma disarmista si ripeté allo stesso modo: il paese che non si fosse dotato di una difesa realmente efficace, sarebbe stato in balia di chi era sufficientemente avanzato per dotarsene. Reagan, per questo, si disse disposto a condividere le tecnologie difensive anche con l’Urss, ma nemmeno Gorbachev gli credette. La strategia di Reagan venne per questo considerata “destabilizzante” dai suoi oppositori e fu abbandonata dall’amministrazione Clinton, dal 1992.

E nessuno è mai riuscito a sciogliere il nodo del disarmo nucleare. Le atomiche, come i poveri, saranno sempre attorno a noi. Per quelle già usate, però, si sarebbe potuto almeno chiedere scusa.