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LE COALIZIONI IMPOSSIBILI

Germania, Italia: due governi più simili di quanto si pensi

Troppo spesso mitizziamo la Germania e se siamo entrati nell'euro era perché, sotto sotto, speravamo di acquisire la disciplina tedesca. Sta invece succedendo il contrario. Se guardiamo alla crisi della Grande Coalizione al governo a Berlino, troviamo, specchiati gli stessi problemi e dissidi della coalizione giallo-verde italiana.

Politica 14_07_2019
Angela Merkel

In Germania gli ostacoli alla conferma della nomina di Ursula Von der Leyen a Presidente della Commissione Ue stanno facendo emergere le somiglianze della Grosse Koalition con il governo giallo-verde italiano.  Anche il governo tedesco è costituito da due partiti che di base sono agli antipodi - i Social Democratici (SPD) e i Cristiano Democratici (CDU) di Angela Merkel - ed è tenuto insieme da un accordo,  che in termini giallo-verdi si direbbe un contratto, sottoscritto nel febbraio 2018 dopo mesi e mesi di tentativi falliti a largo raggio di formare un governo da parte della CDU.

Inoltre due partner di governo – riferisce il Financial Times - stanno litigando da mesi su tutto, dalle spese per la difesa alla riforma delle pensioni e dall’esportazione di armi al taglio delle tasse. Una fetta rumorosa di socialdemocratici vuole che il partito smetta di puntellare il governo della Merkel, la contraente maggioritaria, per ritirarsi all’opposizione e dedicarsi alla propria ricostruzione. In questo contesto si inserisce la contesa per le nomine europee. I social-democratici tedeschi protesi a votare contro la Von der Leyen martedì prossimo, e questo nonostante che molti nel gruppo europeo di appartenenza abbiano invece intenzione di appoggiarla.   

Ma se per colpa dei Socialdemocratici tedeschi la Von der Leyen non viene confermata, sarà la fine della Grosse Koalition? L’ex-Ministro della giustizia Katarina Barley, dell’SPD, ha detto che il governo non corre rischi, e ha accusato anzi la portavoce della CDU, Annegret Kramp-Karrenbauer, di suonare il rullo di tamburi delle minacce per ridurre i socialdemocratici all’obbedienza. Minacce? Sì perché, e anche qui emergono somiglianze con il governo italiano, la SPD non ha nessun interesse a far cadere il governo: nei sondaggi attuali risulta al 12%, molto indietro rispetto alla CDU e ai Verdi. Soprattutto si tratta di meno della metà dei consensi che la stessa SPD aveva preso alle elezioni 2017, sulla base dei quali al Bundestag occupa attualmente il 20,5% dei seggi. In queste condizioni, andare a nuove elezioni significa incassare una perdita secca e non piccola. Non essendoci quindi alcuna voglia da parte dei partiti al governo di tornare alle urne, è probabile che la "GroKo" continuerà, barcollando, a stare in piedi.

Quando a fine anni Novanta l’Italia sembrava scalpitare come un sol uomo per riuscire a essere ammessa nel consesso dei Paesi dell’Euro, non era perché questo ci si presentasse come il bengodi economico. Anzi. Ognuno si ricorda l’euro-tassa e la prospettiva di dover accettare collettivamente dei sacrifici a fronte di un bene superiore. Aspiravamo a condividere l’onestà nord-europea, la serietà che il luogo comune ritiene connaturata alla cultura luterana, la chimerica speranza ogni volta delusa di uscire dagli esasperanti casini italiani, secondo cui durante la guerra fredda Roma era all’opposto di Mosca: perché a Mosca si capiva tutto anche se non si sapeva niente, mentre a Roma si sapeva tutto ma non ci si capiva niente.

Dunque quando il successo delle operazioni contabili di cui abbiamo letto ci ha spalancato finalmente le porte dell’euro e siamo entrati seppure come vigilati speciali nell’augusto consesso, anche se al costo di un cambio lira-euro micidiale, gli italiani sono rimasti a lungo i più euro-entusiasti di tutti i popoli. Piano piano però hanno dovuto prendere atto con orrore che  invece di costringere l’Italia a modellarsi sull’Europa, era l’Europa che prendeva una piega simile all’Italia. Il piccolo parallelo fra la Grosse Koalition della Merkel e i disprezzati giallo-verdi nostrani può aiutarci a capire che la mitica Europa tutta d’un pezzo degli stereotipi positivi non era mai esistita. Che molto più realisticamente tutto il mondo è Paese.

Questo non tanto per far scendere gli altri dal piedistallo, ma per smettere di metterceli noi, e cominciare a interagire con il mondo esterno con un po’ più di realismo, apprezzando i pregi e le realtà della storia anche nostra.