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SCANDALO

Federica Guidi, altra vittima delle intercettazioni

Un emendamento alla legge di Stabilità sblocca i lavori della Total per il progetto Tempa Rossa, in Basilicata. La procura di Potenza apre un'indagine per "traffico di influenze illecite", un reato che potrebbe punire ogni attività di lobbying. Il ministro Guidi deve dare le dimissioni, non perché è indagata, ma per un'intercettazione pubblicata.

IL TESORO DELLA TEMPA ROSSA di S. Magni

Politica 02_04_2016
Guidi e Boschi

Il governo Renzi ha perso un altro ministro. Dopo Maurizio Lupi, di Ncd, anche Federica Guidi è costretta a dimettersi per ragioni di opportunità, senza essere indagata. E da dove derivano queste ragioni di opportunità?

Da intercettazioni risalenti al dicembre 2014 e che escono misteriosamente proprio alla vigilia del discusso referendum sulle trivelle e il giorno dell’incoronazione di Vincenzo Boccia quale nuovo Presidente di Confindustria in sostituzione di Giorgio Squinzi, giunto a fine mandato. Va ricordato che il ministro dimissionario, figlia di cotanto padre (ai vertici di Confindustria fino a qualche anno fa), aveva puntato tutte le sue fiches sul rivale sconfitto, Alberto Vacchi, ed è verosimile che in viale dell’Astronomia volessero un interlocutore al Ministero più conciliante e disponibile della Guidi e più allineato al nuovo corso confindustriale.

Ma questa è dietrologia, che lascia il tempo che trova. Le riflessioni suggerite dal caso Guidi riguardano fatti concreti, vale a dire l’utilizzo e la pubblicazione delle intercettazioni, il reato di “traffico di influenze illecite” e i riflessi politici che le dimissioni del ministro Guidi potranno produrre sulla tenuta del governo.

Mentre il Movimento Cinque Stelle ha preso la palla al balzo per annunciare la presentazione di una mozione di sfiducia nei confronti dell’intero governo, i berlusconiani contestano l’uso “barbaro” delle intercettazioni per fini politici, un vero “vulnus” alla democrazia.

Se il fidanzato della Guidi, Gianluca Gemelli si sia avvantaggiato dell’approvazione di un emendamento “spinto” dal ministro con il beneplacito della sua collega Maria Elena Boschi, lo appureranno le indagini. Ciò che continua a destare perplessità è l’utilizzo assolutamente arbitrario dello strumento degli ascolti di telefonate private, che poi finiscono sui giornali senza alcun filtro e che determinano la caduta di ministri e, prima o poi, potrebbero provocare perfino una crisi di governo. Con i brogliacci di quelle telefonate, gli inquirenti hanno un’arma infallibile da utilizzare in qualunque momento contro chiunque e, negli ultimi anni in Italia, lo hanno fatto con un tempismo in alcuni casi particolarmente sospetto, per azzoppare leader politici, esponenti di partito e delle istituzioni. Il clamore mediatico di una telefonata sbandierata ai quattro venti è la miccia che incendia il clima politico e costringe i soggetti coinvolti in quelle conversazioni a trarre le dovute conseguenze, facendosi da parte. 

E di cosa sarebbe accusato il fidanzato della Guidi? Di aver favorito la Total e di aver ricavato commesse per milioni di euro grazie a quell’emendamento “incriminato”, di cui certamente Renzi e la Boschi conoscevano il contenuto e i risvolti applicativi. Gianluca Gemelli avrebbe quindi commesso il reato di traffico di influenze illecite, introdotto in modo improvvido dalla legge Severino e assente in molte legislazioni di altri Stati europei. Si tratta di una condotta configurata dal legislatore in maniera assolutamente ibrida e che finisce per assimilare alla corruzione tra privati quello che è invece un lecito tentativo di accreditamento delle ragioni di un’impresa e di rappresentanza trasparente di taluni interessi. Non sappiamo se il caso Guidi sia proprio esente da queste contaminazioni e da conflitti di interessi. Siamo francamente portati a ritenere il contrario. Ma resta l’anomalia di una legislazione che, attraverso il reato di “traffico di influenze illecite”, finisce per tarpare le ali a qualsiasi lecita attività di lobbying, cioè di rappresentanza trasparente degli interessi.

Renzi ha subito chiesto al ministro Guidi di dimettersi (già prima del telegiornale delle ore 20), affinchè il danno d’immagine per il governo fosse contenuto. Il premier, peraltro impegnato in una missione negli Usa, ha troppi fronti aperti e non può permettersi di alimentare la polemica su un “governo amico dei petrolieri”, proprio alla vigilia del referendum del 17 aprile sulle trivelle. Se si raggiungesse il quorum vincerebbero certamente i sì, e questo sarebbe un duro colpo per l’esecutivo, che ha messo il silenziatore alla campagna referendaria e punta segnatamente sull’astensione.

Renzi ha dovuto sacrificare la Guidi per salvare la Boschi, la cui immagine è già appannata per via dello scandalo di Banca Etruria, che ha coinvolto suo padre. Il nome di “Maria Elena” viene fuori proprio in una telefonata tra la Guidi e il suo fidanzato, durante la quale la prima rassicura il secondo circa l’appoggio all’emendamento da parte del ministro dei rapporti col Parlamento.

Ora a Palazzo Chigi si teme il logoramento dell’esecutivo, sotto il peso di varie emergenze interne (dati economici incerti, referendum di aprile, sondaggi negativi per le amministrative, guerre intestine nel Pd) e internazionali (caso Regeni, i marò bloccati in India, le pressioni Usa per un nostro impegno militare in Libia, le tensioni con Bruxelles sul rispetto dei parametri finanziari). E, per la successione al Ministero di via Veneto, ci si interroga su quale possa essere la scelta migliore per uscire dall’impasse. Un tecnico super partes o l’ennesimo fedelissimo del premier? Un esponente della minoranza dem, in grado di rabbonire Speranza, Bersani e gli altri oppositori interni, o un verdiniano o un centrista in grado di puntellare la maggioranza, soprattutto al Senato?