La missione della donna, secondo Edith Stein
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Come tradurre la femminilità nella società moderna e nel mondo del lavoro? Nel giorno della sua memoria liturgica riscopriamo l’insegnamento di una pioniera della questione femminile: santa Teresa Benedetta della Croce (Edith Stein).

Quando si parla di questione femminile, ci si può fondamentalmente trovare – pur tra mille strade secondarie – di fronte a un bivio: il retto sentiero del riconoscimento della dignità della donna e della sua vocazione (nel solco della lettera apostolica Mulieris dignitatem); la deriva verso le idee tipiche di certo femminismo, che alimentano la contrapposizione uomo-donna anziché favorirne la cooperazione per il bene comune.
Se la deriva femminista appare oggi la tendenza prevalente, è tanto più importante riscoprire il primo approccio che vede, tra i suoi pionieri, una filosofa convertitasi al cristianesimo alla soglia dei trent’anni, vissuta tra la fine del XIX e la prima metà del XX secolo: Edith Stein, in religione suor Teresa Benedetta della Croce (1891-1942), canonizzata da Giovanni Paolo II l’11 ottobre 1998. Un anno più tardi lo stesso papa Wojtyła, nella lettera apostolica Spes Aedificandi con cui proclamò santa Teresa Benedetta della Croce compatrona d’Europa, scriveva di lei: «Particolarmente apprezzabile, per i suoi tempi, fu la sua militanza a favore della promozione sociale della donna e davvero penetranti sono le pagine in cui ha esplorato la ricchezza della femminilità e la missione della donna sotto il profilo umano e religioso (cfr E. Stein, La donna. Il suo compito secondo la natura e la grazia)».
Edith aveva iniziato a interessarsi di questione femminile quando era ancora un’adolescente. Aderì all’Associazione Prussiana per il Diritto Femminile al Voto. Ricordando i suoi trascorsi, ormai adulta, scriverà: «Quale ginnasiale e giovane studente fui una radicale femminista. Persi poi l’interesse a tutta la questione. Ora sono alla ricerca di soluzioni puramente obiettive». A quali soluzioni si riferiva? Di certo, nel suo cammino di maturazione culturale e spirituale, la futura santa ebbe a poco a poco modo di sviluppare un pensiero proprio sulla presenza delle donne nella società e nel mondo del lavoro, conciliando quel tema – allora carico di novità – con la prospettiva cristiana.
Era un pensiero che nasceva dalle sue straordinarie doti intellettive e pedagogiche, ma che non restava al mero livello teorico: lei stessa, specie dopo la sua conversione (estate 1921), lo incarnò nella sua vita e nelle attività che fu chiamata a svolgere. Basterebbe leggere le ricchissime testimonianze delle alunne che la ebbero come insegnante a Spira, presso il convento di Santa Maria Maddalena, dove Edith operò a lungo (1923-1931) come docente di tedesco per le classi medie-superiori e anche per preparare giovani suore all’insegnamento. Ne scegliamo un paio, su tutte.
Testimoniava una sua alunna: «Educatrice, la signorina Stein lo era in ogni occasione. Sapeva organizzare splendide ricreazioni in cui le allieve potevano parlarle con grande libertà di cuore e di mente. Ci voleva allora libere e distese; noi le dicevamo preoccupazioni ed esperienze, e lei ascoltava con pazienza. (...) Non ci parlava affatto di religione. Tuttavia sentivamo che viveva la propria fede; al vederla pregare in cappella, ci sembrava di accostarci alla presenza di Dio in un’anima. Restava per ore assorbita nella sua preghiera, su un inginocchiatoio presso l’altare, a sinistra nel coro. La sua vita apparteneva tutta a Dio, allo studio e alla cura delle sue allieve. La signorina Stein ci rimproverava raramente, e sempre per il nostro bene; il minimo segno di slealtà feriva il suo senso della giustizia e non ne lasciava passare alcuno nel nostro lavoro» (Edith Stein, Élisabeth de Miribel). Un’altra alunna affermava: «Ci prodigava una tenerezza squisita, tutta materna, eppure nessuna di noi si sarebbe sognata di disobbedirle, nemmeno col pensiero. È lei che ci ha rivelato la bellezza del teatro di Shakespeare. Aveva un cuore grandissimo, aperto a tutto ciò che è bello e nobile, ma segretamente riservato a Dio solo…» (ibidem). A un’altra alunna, poi divenuta maestra, che le chiedeva consiglio per il suo avvenire, la invitò a pregare insieme per capire cosa il Signore volesse da lei.
Di fronte alle richieste di aiuto, la professoressa Stein non si risparmiava. Lei stessa, in una lettera, aveva tracciato questo principio: «Per ciò che riguarda i nostri rapporti con gli altri, le esigenze delle anime trascendono ogni regola di vita. Infatti, le nostre attività personali sono soltanto dei mezzi ordinati a un fine, mentre l’amore del prossimo è il fine stesso, perché Dio è Amore».
Le sue attività da insegnante e la pubblicazione di alcuni articoli la fecero divenire sempre più nota e apprezzata negli ambienti cattolici tedeschi. Fu chiamata a tenere diverse conferenze sulla questione femminile. Il punto di partenza della riflessione di Edith Stein è che ci sono delle differenze tra l’uomo e la donna, e che l’uno e l’altra devono collaborare, in armonia con la propria rispettiva natura. Riguardo al ruolo delle donne nella società moderna, Edith sottolinea il bisogno che esse ricevano una «formazione sistematica» per poter svolgere con professionalità i nuovi compiti a cui sono chiamate. Quale che sia la professione in cui sono impegnate, la donna è chiamata a svolgerla «in maniera assolutamente femminile» e a portare pace e conforto sui luoghi di lavoro: «Ovunque ella si trovi insieme agli uomini – spiega la Stein –, può cogliere l’occasione per aiutare, consigliare, sostenere. Se l’operaia o l’impiegata presterà un po’ d’attenzione agli uomini che lavorano con lei nello stesso ambiente, troverà la parola amichevole, la domanda premurosa per la quale essi le apriranno il cuore oppresso, comprenderà ciò che li addolora, e potrà porgere loro aiuto. Ovunque c’è bisogno di affetto e di aiuto materno; e perciò possiamo riassumere con una sola parola – maternità – tutte le caratteristiche femminili».
La maternità a cui si riferisce Edith è quella «sull’esempio della Madre della Misericordia, e per questo deve fondare le proprie radici nell’amore divino». Se si radica in questo amore, come Maria, la femminilità riesce a «portare a pieno sviluppo i valori umani». Da qui si intuisce l’idea elevatissima che questa vergine ebrea-tedesca, martire ad Auschwitz, aveva di quella che chiamava «la missione delle donne: essere strumenti adatti nelle mani di Dio e attuare la sua opera nel posto in cui egli ci pone». E ciò vale per qualunque stato di vita, che si tratti della donna nubile, sposata o religiosa. Solo nella fedeltà a questa missione – come diceva ancora Edith in una conferenza nell’aprile 1928 (Valore della femminilità e sua importanza per il popolo) – «noi donne realizziamo il meglio di noi stesse».