Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Venerdì Santo a cura di Ermes Dovico
CLIMA E AMBIENTE

Fallita la Cop 25, l'utopia non tiene davanti alla realtà

Un estenuante negoziato e due giorni extra di colloqui non hanno sortito alcun effetto: la Conferenza di Madrid sul clima ha chiuso rinviando tutto all'anno prossimo a Glasgow. Le spinte ecologiste che premono per un taglio drastico delle emissioni di CO2 devono fare i conti con la realtà: si tratta di politiche inutili per il clima e gravemente controproducenti per l'economia. Ma malgrado i fallimenti la propaganda non cesserà, anzi c'è da aspettarsi un aumento di intolleranza verso chi contesta le teorie sui cambiamenti climatici antropogenici.
- ALLA COP 25 IL MINISTRO FIORAMONTI STRAPARLA, di Anna Bono

Creato 16_12_2019

Come era ampiamente previsto la Cop 25, l’annuale Conferenza sul clima che ha portato a Madrid delegazioni di quasi 200 paesi, è finita ieri con un fallimento. Il fatto che alla fine di un estenuante negoziato (ci sono voluti due giorni e due notti extra di colloqui oltre il previsto) si sia raggiunto l’accordo su un documento di compromesso serve solo a mascherare il clamoroso insuccesso. Dopodiché scattano le solite letture manichee, buone solo per scaldare le piazze: è l’egoismo dei paesi ricchi che prima hanno rovinato il clima e ora se ne fregano delle conseguenze per i paesi poveri: sono i politici ottusi e incompetenti che ignorano gli allarmi degli scienziati; sono le vecchie generazioni che stanno rubando il futuro ai giovani. Ricchi contro poveri, politici contro scienziati, vecchi contro giovani: nulla di questo ovviamente è vero. Molto più semplicemente la maggior parte dei governi non vogliono distruggere le proprie economie in nome di teorie pseudo-scientifiche che hanno già dimostrato la loro fallacia.

Ma cominciamo dall’accordo sottoscritto a Madrid. In realtà si tratta più che altro di un appello: ad aiutare i paesi poveri maggiormente colpiti dai cambiamenti climatici; ad aumentare le ambizioni dei vari paesi per raggiungere prima possibile l’obiettivo “emissioni zero”; ai paesi industrializzati perché entro la conferenza dell’anno prossimo a Glasgow dimostrino di aver tenuto fede almeno alle promesse fatte in questi anni in fatto di taglio alle emissioni. Per quanto riguarda invece il mercato globale delle emissioni di anidride carbonica (carbon market, finora ci sono diversi mercati regionali) se ne riparlerà direttamente a Glasgow, mentre per i 100 miliardi di dollari l’anno che dal 2020 dovrebbero essere mobilitati dai paesi ricchi verso i paesi poveri, non si è stabilita nessuna modalità.

Il vero problema è che c’è un divario incolmabile tra le aspirazioni imposte dalla lobby del clima e la realtà. Basti pensare all’Unione Europea, che vuole essere leader per quel che riguarda le politiche “verdi” e la “decarbonizzazione”. Anche alla Conferenza di Madrid la Ue, insieme ai piccoli Stati insulari, è quella che più ha spinto per un accordo che alzasse le ambizioni della comunità internazionale in fatto di “decarbonizzazione”. Ebbene, non solo la UE è profondamente spaccata al proprio interno (clicca qui), ma ha già annunciato che molto probabilmente non riuscirà a raggiungere l’obiettivo che si era prefisso per il 2030.

Inseguendo l’utopia di diventare leader mondiale nel processo di decarbonizzazione, la UE da una parte pretendeva a Madrid di spingere tutti i paesi ad obiettivi più ambiziosi (per l’Europa alcuni leader volevano arrivare al 55% di riduzioni di emissioni rispetto al 1990 entro il 2030 ed “emissioni zero” nel 2050); dall’altra però, a Bruxelles annunciava che molto probabilmente non riuscirà a raggiungere neanche l’obiettivo già dichiarato per il 2030, che corrisponde al 40% in meno di emissioni di CO2 rispetto al 1990. L’Agenzia Ambientale Europea ha dichiarato la scorsa settimana che allo stato attuale delle cose, entro il 2030 non si potrà diminuire le emissioni più del 30%. E questo malgrado l’adozione di politiche “contro i cambiamenti climatici” e la riconversione energetica stia già costando all’Unione Europea centinaia di miliardi di euro.

Peraltro si tratta di una politica autolesionista, anche ammesso – e non concesso – che ci sia davvero una relazione diretta di causa-effetto tra concentrazione di CO2 nell’atmosfera e clima. Infatti a fronte di una diminuzione di emissioni di CO2 da parte di Unione Europea e America (-1,7% tra il 2018 e il 2019), Cina e India le hanno aumentate (+ 2.6% e + 1.8% rispettivamente), cosicché il 2019 risulta il terzo anno consecutivo di aumento di emissioni di CO2 su scala mondiale (+0,6% questo anno). Il motivo è semplice: paesi come Cina, India, Brasile non hanno alcuna intenzione di rinunciare a fonti combustibili fossili per poter continuare la crescita economica.

L’applicazione di rigide politiche “verdi” (unilaterali) da parte dell’Unione Europea (che conta per circa il 14% delle emissioni globali) significa solo perdere ulteriore competitività nei confronti di paesi già economicamente aggressivi, con tutte le conseguenze che questo comporta. E senza che sul clima – sempre ammesso e non concesso, ecc. – ci sia alcun effetto positivo visto che globalmente le emissioni aumentano anziché diminuire. Dunque il “meccanismo” approvato negli Accordi di Parigi si risolverebbe in questo: distruggere la propria economia e oltretutto pagare un risarcimento (i famosi 100 miliardi di dollari annui) ai paesi in via di sviluppo. Ci si può sorprendere che il presidente americano Trump si sia ritirato dagli Accordi di Parigi? E che, malgrado le roboanti dichiarazioni, anche altri paesi industrializzati facciano resistenza e, comunque, non tengano fede agli impegni presi?

Ma se i fallimenti delle Cop sono sostanzialmente buone notizie, purtroppo non basta per fermare questa follia collettiva sui cambiamenti climatici. Il treno delle politiche “verdi” – che hanno ben poco a che fare con la tutela della natura - è comunque in piena corsa e, proprio in virtù dei fallimenti delle Cop saranno ancor più invocate e sostenute da associazioni e partiti. La propaganda, se possibile, sarà ancora più martellante; e ancora più aggressiva la reazione contro chiunque osi mettere in discussione la vulgata cambioclimatista. È già così, facile prevedere che il clima – questo sì - di intolleranza verso chi denuncia l’allarmismo diventi ancora più pesante.