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IL CRACK

Fallimento Silicon Valley Bank, un colpo al mito progressista

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Il fallimento della SVB è il secondo peggiore del sistema bancario americano. Si trattava dell'istituto finanziario che foraggiava la crescita delle start up tecnologiche, cuore dell'innovazione americana. Dal suo fallimento si possono ricavare molte lezioni e anche qualche speranza per il futuro. 

Economia 15_03_2023
Silicon Valley Bank fallita

Il fallimento di SVB, Silicon Valley Bank, non cambierà la direzione modernista e l'esasperazione e ipertrofia tecnologica di questi ultimi decenni, né può comportare un mutamento, o anche solo un parziale ravvedimento. In finanza e in economia, la prospettiva modernista è rivolta verso un domani sempre "migliore" di un passato o di una tradizione, anche se il "passato" e la tradizione sono stati e sono migliori, seguendo la semplice e pratica regola che quel che era bene ieri lo è oggi e lo sarà domani.

SVB era un'istituzione finanziaria poco conosciuta fuori dagli Stati Uniti ai non specialisti, tuttavia era centrale, da quarant'anni, per lo sviluppo e il funzionamento delle imprese "Tech" (tecnologiche), nate, finanziate e cresciute nella Silicon Valley tra la fine degli anni '70 e l'inizio degli '80 attraverso operazioni di Venture Capital. Un'istituzione finanziaria importante e, sino a mercoledì scorso, altamente rispettata, con un ruolo di pivot per il funzionamento e sviluppo dell'intero settore tecnologico americano.

Anche se, in termini assoluti, le masse bancarie coinvolte sono lontane dai vertici mondiali (sotto il profilo "regionale" americano, SVB è la sedicesima banca) quello di SVB è il secondo maggiore fallimento bancario americano. Questo ancora solo per quanto emerge in "superficie": SVB serve e conta migliaia di start up tecnologiche tra i suoi clienti, sostanzialmente fragili dal punto di vista della dotazione di capitale e sostenute da venture capitalists e dalla banca almeno nei primi "periodi" del loro sviluppo. Le dimensioni ipertrofiche del settore in termini di valutazioni e capitalizzazioni di mercato (molto spesso irrealistiche in termini fondamentali, ma che il mercato comunque paga), l'accelerazione delle interconnessioni tecnologiche tra le società, le partecipazioni al capitale e l'accesso a capitali di rischio di imprese che, in massima parte, non riescono ad arrivare a pareggio per diversi anni, fanno sì che il rischio "sommerso", cioè non direttamente evidente, sia drammaticamente più ampio e non ancora completamente compreso. 

Insomma: il fallimento di SVB coinvolge non solo la filiera finanziaria, ma anche la filiera industriale e di ricerca della Valley, ovvero il vero cuore dell'innovazione e crescita tecnologica americana. Per spingersi anche oltre oceano, come abbiamo visto, con l'acquisizione immediata da parte di HSBC della filiale inglese di SVB e del pericolo avvertito dai mercati europei, azionari e di reddito fisso.

Ma cosa è successo e come? L'aumento dei tassi da parte della Federal Reserve e l'effetto sui conti di SVB ha giocato il ruolo di maggiore "stress" per la banca innescando, in successione rapidissima, il Bank Run (corsa al ritiro dei depositi dei clienti) il crollo delle quotazioni, l'incapacità di trovare sostegno e il fallimento. Ma perché i tassi hanno influito così tanto? Per renderlo più comprensibile, rammentiamo che, se i tassi di interesse aumentano per decisione delle banche centrali, i rendimenti cedolari delle obbligazioni nuove, emesse in asta, aumentano, ma i prezzi, i valori di quelle che si possiedono in portafoglio diminuiscono per allinearsi. Ovvero: le obbligazioni vecchie con un certo rendimento cedolare vengono vendute o prezzate in basso - letteralmente scaricate - diminuendo di prezzo e perdendo valore.

Un esempio concreto: se una società, o un risparmiatore, aveva una Obbligazione Usa a 10 anni, comprata a 100 nel marzo 2020, con una cedola di 0,4%  (o addirittura negativa su altre scadenze) e nel corso della sua vita, sino all'aumento dei tassi nel 2022, aveva oscillato tra 99 e 101, con l'aumento dei tassi il valore dell'obbligazione (non la cedola) diminuisce anche sino a 88, come nel novembre 2022, e dunque perde di "valore" per chi lo detiene (non di cedola che resta immutata). In sintesi: se l'obbligazione viene mantenuta sino a scadenza, il risparmiatore incasserà sia il 100 prestato allo Stato americano, sia il flusso cedolare regolarmente riscosso nel corso della vita del titolo. Ma se invece desiderasse vendere l'obbligazione (per vedersi rimborsato dallo Stato, o dall'emittente, la totalità del suo capitale) ne ricaverebbe molto meno. E se questa fosse a garanzia di altri prestiti (collaterale), il creditore potrebbe considerare di chiedere al debitore, con i titoli a garanzia, un reintegro di valore. In pratica, il valore del portafoglio immediatamente liquidabile (liquidità) è compromesso, ma solo se si intende immediatamente liquidarlo o se è posto sotto analisi come valore di attivo (Mark To Market), pratica che per una banca è fondamentale.

Questo è successo a SVB: un buon portafoglio titoli (74 miliardi di dollari statunitensi da mantenere a scadenza, a fronte di prestiti per pari 74 miliardi) altre poste positive e cassa per 14 miliardi di dollari, a fronte di depositi della clientela e altri debiti per 195 miliardi, ma l'8 marzo SVB ha sorpreso tutti indicando l'immediata necessità di trovare altri 2 miliardi per far fronte ad esigenze di liquidità immediata (tecnicamente: liquidity crunch). Da questa notizia inizia la parte "evidente" e pubblica della crisi: dal 7 al 9 marzo, giorno in cui è sospesa dalle negoziazioni, il titolo perde il 64,25%: -182 dollari passando da 282 a 100 dollari. Il 2 febbraio ne valeva 349. Abbiamo visto di peggio forse (come il Monte dei Paschi di Siena), ma tuttavia è corsa agli sportelli e nel fine settimana è intervenuto il governo.

Tuttavia, come sempre succede, chi doveva sapere sapeva: già nella comunicazione dei risultati della chiusura del quarto trimestre 2022 all'inizio di marzo la stessa Moody's rese noto che SVB era ad alto rischio di downgrade per perdite consistenti nei valori di portafoglio, titoli valorizzati a mercato, ma non venduti. Peter Thiel (socio di Musk nella creazione di PayPal e di altre imprese di successo, capace venture capitalist) aveva avvisato altre società dell'area attraverso il suo Founders' Fund, di ritirare i propri depositi e scaricare le partecipazioni in SVB. È il fallimento che induce, infine, il governo a creare una rete di salvaguardia ("backstop") per permettere ai depositanti di ritirare, da lunedì, i propri fondi e alle imprese di pagare gli stipendi e i fornitori. 

La dimensione sotterranea della crisi è tale che già in molti analisti e banchieri mettono in conto che l'aumento dei tassi della Federal Reserve e della Bce saranno forse non così sicuri. Tuttavia c'è da dubitarne, visto che i temi in gioco sono ben maggiori, più evidenti e pesanti del problema SVB. Né è credibile che il pericolo di un contagio sistemico sia concreto e di dimensioni tali da preoccupare.

Sicuramente Silicon Valley, intesa come sistema industriale, dovrà trovare un sostituto ai fondi a "costo zero" che hanno permesso la manna di operazioni (330 miliardi di dollari nel 2021, il 98% in più rispetto al 2020) di Venture Capital negli ultimi anni. Si spera, per quanto sia possibile, che questi eventi possano permettere una profonda riflessione cristiana, senza derive ipocrite e di transizioni "Green", sui veri valori di fede su cui si fonda la nostra vita, l'attività d'impresa, il giusto profitto e la stessa attività finanziaria, senza inutili etichette di "eticità".