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l'inchiesta

Emergono legami tra Hannoun e Flotilla

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Nelle carte dell’inchiesta italiana affiora un nome chiave: la Conferenza Popolare per i Palestinesi all’Estero (PCPA). È la stessa sigla legata agli organizzatori della Global Sumud Flotilla. E l’imam Hannoun ne emerge come figura centrale e costante.

Attualità 31_12_2025

«È in atto una repressione contro la solidarietà per la Palestina», è così che, nel pieno dell’inchiesta che ha portato all’arresto di nove persone con l’accusa di aver finanziato Hamas attraverso associazioni che paventavano aiuti umanitari, irrompe la Freedom Flotilla Italia e prende posizione. In un duro comunicato, il movimento denuncia una stretta repressiva. La Freedom Flotilla non cita mai Hannoun e le sue associazioni, eppure il tempismo lascia poco spazio all’immaginazione. 

Ed è proprio il legame tra la cellula italiana Hamas e la Flotilla ad affiorare al centro della maxi inchiesta di Genova. 

Quando, lo scorso agosto, la carovana di imbarcazioni dirette a Gaza ha preso il largo ed è rimasta in mare per settimane, una domanda ha attraversato osservatori e addetti ai lavori: chi ha pagato? Navi tutt’altro che improvvisate, equipaggi numerosi, giorni e giorni di navigazione. Come fosse possibile sostenere costi simili, e permettere a decine di persone di sospendere il lavoro per oltre un mese, è rimasto a lungo un interrogativo senza risposta.

La rotta del denaro aperta dall’inchiesta di Genova lascia tuttora molti interrogativi: negli ultimi mesi le missioni della Flotilla hanno raccolto milioni di euro, tra piattaforme di crowdfunding e bonifici bancari di cui non sono noti né gli importi né i mittenti. A fronte di somme ingenti, mancano rendiconti, bilanci, tracciabilità. Probabilmente resterà impossibile decifrare fino in fondo da dove sia arrivato quel denaro e attraverso quali canali abbia viaggiato. Ciò che affiora con maggiore chiarezza, invece, è che c’è una straordinaria capacità di raccogliere milioni di euro in maniera opaca e l’esistenza di un filo diretto che lega i protagonisti dell’inchiesta italiana alla Flotilla e, lungo la stessa linea, ad Hamas.

Per comprendere davvero cosa rappresenti oggi la Flotilla, e quali forze l’abbiano spinta lungo una rotta così densa di ombre, è necessario fare un passo indietro. Ricostruire i nomi, i percorsi, le decisioni.

Il 7 ottobre 2023 segna una frattura netta. Da quel momento, anche i flussi finanziari di Hamas scompaiono sotto la superficie. Fino ad allora, il movimento terroristico che governa Gaza ha potuto contare su entrate stabili e consistenti: 30 milioni di dollari al mese dal Qatar, 100 milioni l’anno dall’Iran, centinaia di milioni raccolti attraverso donazioni e un sistema di tasse imposte alla popolazione della Striscia, ripartite tra apparato militare e amministrazione civile.

Poi lo scenario cambia. Uno dei fondatori di Hamas, Khalid Mashal, lancia un appello globale alla “jihad finanziaria”, rivolto soprattutto al mondo delle ong e degli enti caritativi attivi in Occidente. Un sistema nel quale sono appunto entrati a gambe tesa gli inquirenti italiani svelando la natura tutt’altro che caritativa.

Nelle carte dell’inchiesta italiana affiora un nome chiave: la Conferenza Popolare per i Palestinesi all’Estero (PCPA). È la stessa sigla legata agli organizzatori della Global Sumud Flotilla. Un tassello che salda i livelli dell’inchiesta e rende sempre più sottile la linea di confine tra attivismo politico e altro.

La PCPA non è una sigla qualunque. La sua presenza nelle carte dell’inchiesta sulla cellula di Hamas traccia una linea diretta tra Hamas, l’Italia e la Flotilla. Fondata nel 2003, le sue attività sono raccontate da oltre vent’anni in Italia dal sito Infopal, portale di informazione sul popolo palestinese finito a sua volta sotto la lente della procura di Genova. Nell’ambito dell’indagine sui presunti finanziamenti ad Hamas, gli investigatori hanno perquisito l’abitazione della direttrice del sito, la giornalista Angela Lano, che risulterebbe indagata per concorso e partecipazione in associazione con finalità terroristiche. 

A maggio 2023, quando il 7 ottobre era ancora lontano ed inimmaginabile, la PCPA organizzava a Malmö una convegno dal titolo «75 anni, ma ritorneremo». Un convegno che suscitò grande inquietudine e polemiche tra le segreterie europee. Persino l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina chiese ai palestinesi di non parteciparvi. Dall’Italia partì una delegazione guidata dall’imam poi finito al centro dell’inchiesta genovese accompagnato anche da Stefania Ascari, deputato M5S. Ancora nel 2022, la PCPA lanciava la campagna, “Questa terra è nostra” rivendicando l’importanza di «investire su tutte le piattaforme […]  per correggere le idee sbagliate sul diritto dei palestinesi alla propria terra».

Negli atti dell’inchiesta italiana, la PCPA viene indicata come parte integrante della rete di Hamas. L’imam Hannoun ne emerge come figura centrale e costante, presente a ogni iniziativa e affiancato, secondo gli inquirenti, da esponenti del comparto estero dell’organizzazione e da dirigenti di strutture europee coinvolti nella raccolta fondi. Accanto a Hannoun, l’inchiesta italiana cita Raed Al Salahat, membro del comparto estero di Hamas e, dal maggio 2023, componente del board della PACPA — sigla che ritorna sempre — intercettato mentre esprime apprezzamenti per attentati terroristici.

Al Salahat opererebbe in stretto contatto con Majed Al Zeer, attivista politico palestinese giordano-britannico, presidente dell’European Palestinian Council for Political Relations (EUPAC) con sede a Bruxelles. Nel 2024, Al Zeer è stato sanzionato dal Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti come presunto rappresentante di Hamas in Europa e figura chiave nella raccolta fondi.

Il quadro trova una sistemazione definitviva quando pochi giorni prima degli arresti di Genova, il David Institute pubblica il report dal titolo, Dietro la Flotilla. L’alleanza estremista nascosta. Il documento individua il livello operativo europeo di Hamas: Amin Abu Rashed nei Paesi Bassi, Mazen Kahel in Francia, Adel Abdallah Doghman in Austria e il nostro Mohammad Hannoun in Italia. Una rete pensata per garantire continuità alle operazioni europee di Hamas e amplificarne la propaganda.

Ecco che il David Institute segnala anche legami strutturali tra la Flotilla Sumud, Hezbollah e l’Iran: per gli analisti, le flottiglie non sono iniziative isolate, ma strumenti operativi di una strategia coordinata dell’“Asse della Resistenza” contro Israele. In questo contesto riemerge Zaher Birawi. Una lettera del 2021 firmata da Ismail Haniyeh — ex capo di Hamas — lo conferma dirigente del settore Hamas della PCPA nel Regno Unito, e Saif Abu Keshk, amministratore delegato della società spagnola Cyber Neptune, proprietaria di decine di navi impiegate nella Flotilla Sumud. È lo stesso Birawi fotografato a bordo della Flotilla insieme a Greta Thunberg.

Un cerchio che si chiude in Italia con l’imam Hannoun, figura centrale dell’inchiesta di Genova, membro del board of directors di tutta la PCPA, indicata come vertice della cellula di Hamas nel Paese. E non a caso, la Flotilla è partita proprio dal porto di Genova.

C’è un dettaglio che attraversa tutta l’inchiesta su Mohammad Hannoun e ne chiarisce la portata: nell’ottobre 2024 è stato inserito nella blacklist americana, la decisione non arriva da Donald Trump ma dall’amministrazione Biden. Un atto che sposta la vicenda fuori da ogni lettura contingente e la colloca su un piano strutturale, già noto da anni agli apparati occidentali.

Il legame tra Italia, Flotilla e Hamas, infatti, emerge molto prima. Nel giugno 2011 un cablogramma dell’ambasciata statunitense a Tel Aviv, conservato negli archivi della CIA, metteva in allerta la Casa Bianca, il Dipartimento di Stato, le principali sedi diplomatiche americane e la Farnesina: la Flotilla di allora, sempre diretta a Gaza, potrebbe trasportare sostanze pericolose, persino chimiche, occultate tra gli aiuti umanitari. L’allarme riguardava ambienti legati all’organizzazione IHH turca, già protagonista della Freedom Flotilla del 2010, e segnalava due nomi connessi ad Hamas: Amin Abu Rashad e ancora il nostro Hannoun.

Dopo il fallimento della spedizione turca, nell’estate del 2010 emerge un nuovo tentativo: a forzare il blocco potrebbe essere l’Associazione dei Palestinesi in Italia, guidata proprio da Hannoun. È Infopal a rilanciare l’iniziativa, aprendo alla raccolta fondi per la Freedom Flotilla. Nello stesso periodo Hannoun è in Brasile, in una missione raccontata dal sito ufficiale in inglese dei Fratelli Musulmani, che annuncia l’arrivo di una delegazione europea legata alla flottiglia e alle campagne pro-Gaza.

Quindici anni dopo, lo schema riaffiora quasi identico. La Flotilla sostenuta e simbolicamente guidata da Greta Thunberg si è presentata come l’erede di quelle missioni. E dietro la narrazione idealista riemerge la stessa architettura: una rete politica, organizzativa e finanziaria che ruota attorno alla Conferenza Popolare per i Palestinesi all’Estero, indicata dalle inchieste come il canale attraverso cui Hamas continua a operare fuori dalla Striscia. La rotta è rimasta la stessa ed è lineare.