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INAUGURATION DAY

Ecco la nuova Camera USA del cattolico John Boehner

Aborto, staminali, eutanasia: da qui alle presidenziali del 2012 i liberal incontreranno mille ostacoli.

Attualità 03_01_2011
John Bohner

 

Oggi, a Washington, s’insedia il nuovo Congresso federale, il 112°, eletto il 2 novembre dell’anno scorso. La novità è che il Partito Democratico, alleato fedelissimo del presidente Barack Obama, non ha più la maggioranza pigliatutto in entrambi i rami del “parlamento” statunitense. Le elezioni "di medio termine" hanno infatti scompaginato completamente gli assetti interni all’organo legislativo del Paese (che in alcuni ambiti conta ben di più della Casa Bianca stessa), non solo perché hanno consegnato la maggioranza della Camera al Partito Repubblicano, ma perché lo hanno fatto con numeri che non si vedevano da più di 70 anni e perché in controluce quel voto rivela pure un successo Repubblicano soddisfacente al Senato (che avrebbe potuto essere maggiore, persino una vittoria ai punti, se in novembre la “lotteria” costituzionale che fa votare gli americani ogni due anni solo per un terzo dei senatori federali avesse disegnato una mappa più simile alla geografia del successo Repubblicano alla Camera). In più i Repubblicani l’hanno spuntata anche in numerose assemblee legislative di singoli Stati e il saldo finale nel conto dei governatori ora arride nettamente loro.

Ciò significa che i due anni che separano gli Stati Uniti dall’elezione del presidente e del vicepresidente federali prossimi, il 6 novembre 2012, saranno di grande battaglia legislativa. Quel che resta della fu granitica maggioranza Democratica al Congresso e una Casa Bianca malconcia dovranno vedersela con un avversario temibile: non semplicemente i Repubblicani, ma i Repubblicani spesso e volentieri conservatori (che non è lo stesso), forti di una vasto consenso di popolo non solo ma anche rappresentato dal movimento dei “Tea Party”. Due anni, cioè, di dibattito sicuramente acceso su spesa pubblica, pressione fiscale, invadenza della burocrazia ed elefantiasi dello Stato, ma sempre anche, se non soprattutto, sulle questioni “eticamente sensibili”.

Nel 2008 Obama iniziò l’avventura presidenziale promettendo di cancellare una serie di provvisioni di legge varate dalla precedente Amministrazione e riguardanti l’aborto, il finanziamento con soldi pubblici della ricerca sulle cellule staminali embrionali, l’eutanasia, la questione omosessuale, il rinnovo dell’appoggio economico a quelle organizzazioni internazionali a cui George W. Bush jr. fece mancare i preziosi denari americani poiché fautrici nel mondo di politiche contrarie al diritto alla vita e alla dignità della persona umana. Il Congresso a maggioranza Democratica, il 111°, quello che oggi esce di scena, gli ha dato man forte e così la Casa Bianca qualche significativo passo in quella direzione, fortunatamente non tutti, lo ha compiuto (per esempio sul fine-vita). Ma da oggi sarà sempre più difficile muovere passi ulteriori, e forse gli ostacoli si riveleranno insormontabili. Uno, grosso, ha nome John Boehner, il presidente della Camera che oggi s’insedia e le cui lacrime di commozione per la vittoria del 2 novembre fecero il giro del mondo.

È stato detto, è opportuno ricordarlo. Boehner, 60 anni, deputato dell’Ohio, è un cattolico tutto d’un pezzo e un noto pro-lifer. Un avversario frontale per il “change”, in peggio, di Obama. Non solo. Sarà il primo presidente cattolico della Camera federale degli Stati Uniti espresso dal Partito Repubblicano. Ce ne sono cioè stati altri, ma tutti Democratici. E questo, con buona pace della par condicio, ha sempre regolarmente significato lo sfacelo, e in più lo scandalo.

Il primo, lo sfacelo, perché quei cattolici si sono sempre comportanti in modo più che transigente proprio sulle questioni dove invece un cattolico in politica deve mostrare intransigenza. Il secondo, lo scandalo, perché che a tollerare e talora a promuovere leggi e iniziative contro il diritto alla vita e la dignità della persona umane erano appunto dei cattolici.

Basta citare, per intendersi, il caso del presidente uscente della Camera, Nancy Pelosi, esempio eclatante di ’“effetto John F. Kennedy”: quel primo (e unico) presidente cattolico degli Stati Uniti non fece in tempo a essere eletto che subito si schernì dicendo che la sua appartenenza religiosa non avrebbe influenzato di uno iota il suo agire politico. Una costante dei Democratici liberal, questa, arrivata fino all’altro JFK cattolico di stazza (avrebbe voluto) presidenziale. Davanti a John F. Kerry, nel 2004, Papa Benedetto XVI scrisse ai vescovi statunitensi una nota riservata (ma divenuta pubblica) con cui negava la comunione a uomini politici cattolici pubblicamente favorevoli all’aborto. La questione si è del resto ripresentata con Joe Biden, il vicepresidente cattolico di Obama.

Di passaggio è invece significativo ricordare la conversione di un ex. Vale a dire di Newt Gingrich, presidente Repubblicano della Camera nel 104° Congresso eletto nel 1994. Era protestante battista sin dagli anni del liceo, dal 29 marzo 2009 è cattolico praticante. L’ondata dei “Tea Party” lo ha riportato imperiosamente sulla scena politica. Di lui oggi si è tornato a parlare molto. Forse addirittura come candidato alla Casa Bianca.