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Risposta a Menorello

Ddl suicidio assistito illecito: permette la depenalizzazione

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L’avvocato Domenico Menorello commenta sul Timone il nostro articolo critico verso il suo intervento a sostegno del Ddl sul suicidio assistito. Ma tace sulla riflessione cardine sul dovere dell’ordinamento di tutelare la vita umana. E dunque sul fatto che la depenalizzazione all'art. 2 è moralmente illecita. Una controrisposta, alla luce del Magistero.
- Quanti danni fanno i cattolici della riduzione del danno, di Stefano Fontana

Vita e bioetica 15_07_2025

Venerdì scorso avevamo censurato in più punti un articolo a firma di Domenico Menorello apparso su Avvenire in appoggio al disegno di legge sul suicidio assistito in esame al Senato. Ieri Menorello ha commentato il nostro articolo sul sito de il Timone.

Rispondiamo a nostra volta a Menorello. Innanzitutto questi sostiene che nel testo del Ddl ci siano aspetti positivi. Ad esempio ci sarebbe il divieto per il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) di prestare assistenza al suicidio. Tale aspetto positivo è conforme all’indicazione di Evangelium vitae (EV, 4) che stigmatizza gli interventi delle strutture sanitarie volti a disporre della vita umana. Risposta: con questo Ddl al posto del SSN ci sarà un Comitato nazionale di valutazione che ogni volta che esprimerà un parere positivo al suicidio assistito collaborerà formalmente ad un atto malvagio, rientrando così nella condanna presente nell’EV.

Inoltre, secondo Menorello, qualsiasi atto civile e amministrativo volto ad attentare alla vita sarebbe nullo ex art. 1 comma 2 del Ddl. Ma sempre l’art. 1 c. 2 aggiunge che fanno eccezione quegli atti consoni al contenuto del Ddl, ossia finalizzati all’aiuto al suicidio. Scrive poi il "Nostro": «Né trovo [nel Ddl] norme che permettano, sul piano giuridico, l’aiuto al suicidio». La permissione può avvenire tramite la legittimazione (riconoscimento/assegnazione di un diritto) o la depenalizzazione (nessuna sanzione). L’art. 2 del Ddl depenalizza in alcuni casi il reato di aiuto al suicidio, quindi permette l’aiuto al suicidio.

Considerazione più generale riguardo a quelle disposizioni eticamente lecite contenute nel Ddl: è vero che l’art. 1 afferma che «Il diritto alla vita è diritto fondamentale della persona» e che «La Repubblica assicura la tutela della vita di ogni persona». Ma è uno specchietto per le allodole. L’art. 1 dice di tutelare la vita e poi già all’art. 2 ritira questa tutela permettendo l’aiuto al suicidio. È evidente la contraddizione. Nulla di nuovo, è il ruolo degli artt. 1 delle leggi eticamente sensibili che vengono scritti per quietare le coscienze degli allocchi: vedi l’art. 1 della 194/1978, in cui si afferma di tutelare la maternità e poi vengono indicati gli strumenti per uccidere il figlio, e vedi l'art. 1 della legge 40/2004, in cui si afferma di assicurare i diritti anche del concepito per poi indicare una procedura che attenta al suo diritto alla vita. Insomma, si tratta di mere dichiarazioni di principio sconfessate poi dalla pratica indicata dagli articolati delle stesse leggi.

Inoltre c’è un problema morale per chi vota queste leggi eticamente miste: il voto a favore significa dal punto di vista etico “approvazione”. Chi vota a favore di una legge approva tutti gli articoli di legge, sia quelli moralmente leciti (come l’art. 1 del presente Ddl), sia quelli illeciti (come ad es. l’art. 2). È come la firma a piè di pagina di un contratto: firmando si accettano tutte le clausole in esso contenute. Dunque basta un solo articolo o disposizione contraria a morale naturale per impedire di votare a favore di un’intera legge, perché questa diventerebbe tutta ingiusta. Così l’Aquinate: «Se in qualche cosa [la legge] è contraria alla legge naturale, non è più legge ma corruzione della legge» (Summa Theologiae, I-II, q. 95, a. 2, co.).

Proseguiamo. Menorello sostiene che il Ddl restringerebbe assai il bacino di possibili candidati all’aiuto al suicidio e si spinge a dire che rimarrebbero solo alcune «ipotesi più vicino a casi di accanimento terapeutico». In realtà, in accordo ai criteri indicati dal Ddl che addirittura appaiono di portata più ampia rispetto alla sentenza n. 135/2024 della Corte Costituzionale (clicca qui), il bacino di utenza sarebbe assai vasto: pensiamo solo ai pazienti cardiopatici con bypass coronarico o pazienti in dialisi. Tutti dipendenti da «trattamenti sostitutivi di funzioni vitali» come disciplina la legge.

Menorello poi mette in rilievo un altro aspetto positivo della legge: la condotta dell’aiuto al suicidio rimane un illecito giuridico seppur non sanzionabile. Due riflessioni. La prima: è contraddittorio che il Comitato possa avallare una condotta giuridicamente illecita seppur non meritevole di pena. Quale ente di natura governativa potrebbe eventualmente avallare un illecito? Allora è più ragionevole la seguente conclusione: laddove ci sono criteri, procedure ed enti preposti alla verifica, la condotta volta ad aiutare qualcuno a morire si avvicina più ad essere un diritto che un reato depenalizzato.

Seconda riflessione, che è quella cardine che avevamo già fatto nel precedente articolo e su cui Menorello invece ha taciuto: ogni ordinamento giuridico deve tutelare la vita umana anche dalle aggressioni provenienti dallo stesso titolare del diritto alla vita (altrimenti il poliziotto che strappasse a forza il tentato suicida dal cornicione dovrebbe finire in carcere per violenza privata). Il bene vita, oggetto di tutela, merita una risposta adeguata da parte dello Stato qualora ci fosse un attentato ad esso. Ergo è doveroso vietare il suicidio assistito. Depenalizzarlo è atto immorale. Ce lo ricorda proprio EV: «Larghi strati dell'opinione pubblica giustificano alcuni delitti contro la vita […] e […] ne pretendono non solo l'impunità, ma persino l'autorizzazione da parte dello Stato. […] Il fatto che le legislazioni di molti Paesi […] abbiano acconsentito a non punire o addirittura a riconoscere la piena legittimità di tali pratiche contro la vita è insieme sintomo preoccupante e causa non marginale di un grave crollo morale» (4). Dunque, una norma che legittima la depenalizzazione è una norma ingiusta e quindi non può essere votata. Qui sta il punto eticamente insuperabile.

Il Nostro poi chiama in causa il Magistero. L’EV al n. 18 (e non al n. 19 come scrive Menorello) ricorda che la responsabilità personale in merito ai delitti contro la vita può essere attenuata a motivo di diversi fattori: sofferenza, solitudine, etc. Menorello considera la depenalizzazione del reato di aiuto al suicidio la traduzione giuridica di questo principio morale. Non stanno così le cose. Il Magistero non ci sta dicendo di non punire chi compie un atto contrario al bene comune, dato che al n. 4 dell’EV si afferma esattamente l’opposto, ma semmai potrebbe affermare che è giusto temperare la pena a seconda del grado di responsabilità.

Menorello chiude affermando che questo Ddl, alla luce del n. 73 dell’EV, è eticamente legittimo dato che prevede di limitare i danni (il suo contenuto è migliore rispetto alle indicazioni della Consulta e alla prassi ormai diffusa e previene leggi peggiori) stante lo stato di necessità che rende impossibile non avere una legge su questa materia. Ma l’applicazione del n. 73 dell’EV al presente Ddl è errata. Come già appuntavamo la scorsa volta, la limitazione del danno e lo stato di necessità in effetti esistono, ma ciò non legittima il voto a favore di una norma che è intrinsecamente ingiusta.

Un esempio. Un comandante nazista ha deciso di fucilare 10 innocenti di un paesino. Però il comandante ha aggiunto che, se il plotone di esecuzione sarà formato dagli abitanti di quel borgo, allora gli innocenti da fucilare saranno solo due. Nessun abitante del paesino potrebbe lecitamente premere il grilletto, perché non si può compiere il male (uccidere l’innocente) al fine di evitare un male più grande, al fine di limitare i danni (ridurre il numero di vittime innocenti), anche in stato di necessità (se non verranno uccisi due innocenti ne moriranno dieci). Parimenti non è lecito votare una legge ingiusta al fine di limitare i danni anche se tale legge sarà inevitabile.

A tal proposito: è certo che l’effetto contrario alla morale ci sarà (una legge ingiusta prima o poi ci sarà), ma non è certo chi sarà il soggetto colpevole di quell’effetto. Questo sta alla libertà delle persone. Saranno i nazisti a compiere il male maggiore, non gli abitanti del paesino e a questi non potrà essere rimproverato di non essere intervenuti per evitare la strage, perché l’unico atto possibile per evitarla sarebbe stato esso stesso un illecito morale. Dunque la responsabilità del varo di una legge ancor più ingiusta non graverà sulla coscienza di quei parlamentari che si saranno sottratti dal votare il presente Ddl, bensì su chi la voterà. A volte il maggior bene possibile è l’astensione dal male, non essendoci alternative eticamente lecite.

In sintesi l’azione di limitazione del danno permessa dal n. 73 dell’EV deve essere essa stessa eticamente lecita. Ce lo dice il Magistero. Innanzitutto ricordiamo un altro passaggio del n. 73 in cui viene citata un’affermazione della Congregazione per la Dottrina della Fede presa dal n. 22 della Dichiarazione sull’aborto procurato: «Nel caso quindi di una legge intrinsecamente ingiusta, come è quella che ammette l'aborto o l'eutanasia, non è mai lecito conformarsi ad essa, “né partecipare ad una campagna di opinione in favore di una legge siffatta, né dare ad essa il suffragio del proprio voto”». Poi ricordiamo, della stessa Congregazione, la Nota dottrinale circa alcune questioni riguardanti l'impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica laddove cita la terza sezione del n. 73 dell’EV: «In questo contesto [quello evocato dal n. 73], è necessario aggiungere che la coscienza cristiana ben formata non permette a nessuno di favorire con il proprio voto l’attuazione di un programma politico o di una singola legge in cui i contenuti fondamentali della fede e della morale siano sovvertiti dalla presentazione di proposte alternative o contrarie a tali contenuti» (n. 4). Queste due dichiarazioni non fanno cenno alcuno ad eccezioni quali lo stato di necessità o l’intenzione buona di limitare i danni, ciò in aderenza al principio che se un’azione è intrinsecamente ingiusta (ad. esempio votare a favore di una legge ingiusta) tale rimane al di là delle condizioni e dei fini secondi buoni.



La presa di posizione

Avvenire appoggia il Ddl sul suicidio assistito, travisando Wojtyła

Con un articolo di Domenico Menorello, il quotidiano della Cei appoggia il disegno di legge sul suicidio assistito in esame al Senato, citando a sproposito il n. 73 dell’Evangelium vitae sulle «proposte mirate a limitare i danni». Ma nell’enciclica di san Giovanni Paolo II è implicito che l’azione di limitazione dei danni deve essere essa stessa moralmente lecita: non è questo il caso.

L’analisi

Suicidio assistito, il Ddl della destra rimane contro la vita

Approdato alle competenti commissioni del Senato il Ddl Zanettin-Zullo che richiama i criteri di accesso al suicidio assistito indicati dalla Corte costituzionale, pur con delle differenze, dalle cure palliative all’assenza di spese per il Servizio Sanitario Nazionale. Ma al netto dei paletti il testo favorisce la deriva eutanasica.
- «Le cure palliative non riguardano solo i malati terminali», di Fabio Piemonte

Il convegno

Suicidio assistito, un inganno che svilisce l’uomo

26_06_2025 Ermes Dovico

Una legge pro-suicidio sarebbe un disastro umano per l’Italia, come lo è già nei Paesi dov’è stata approvata. I malati hanno bisogno di cure, non di essere uccisi. Dal convegno Libertà o abbandono?, organizzato da Bussola e Pro Vita.