Il nostro amico Charles Peguy, cantore della speranza
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Un volume di Giorgio Bruno ci fa sentire compagni di viaggio dello scrittore francese che in mezzo al dolore, nella lotta e nella fedeltà, ha lasciato entrare la luce che non viene spenta nemmeno dalla morte.

Diventare amici di Peguy, entrare a far parte della sua compagnia: questo è il desiderio con cui Giorgio Bruno ha scritto il bel saggio Charles Peguy. Amico presente (edizioni Ares).
E leggendo le pagine ci sentiamo compagni di viaggio di un uomo grande e vero. Ci sentiamo anche noi in attesa con lui sulla collina di Montmélian, il 5 settembre 1914. Peguy ha appreso che sono morti gli altri superiori in grado. Deve prendere lui il comando, in mezzo alla schiacciante superiorità dei tedeschi.
Nelle ore che precedono la battaglia, Peguy raccoglie dei fiori per ornare la statua di Maria in una cappella della Madonna Assunta. E prega. «Ha approfittato di tutta la luce possibile di un tardo pomeriggio di settembre per cercare con cura i migliori fiori da portarLe. Ha sicuramente scelto i più belli» (Giorgio Bruno).
Charles Péguy è il poeta dell’attesa, il cantore della speranza. Non quella facile, non quella ottimista, ma quella che nasce nel dolore, nella carne, nella fedeltà. È il padre che ha messo i figli tra le braccia della Madonna. È l’uomo che ha capito che la speranza è una bambina. Ma è lei, la più piccola, che muove il mondo.
La conversione non è un fatto intellettuale. È un incontro. È una ferita che si apre per lasciar entrare la luce. E Péguy, quella luce, l’ha lasciata entrare. E ci ha insegnato che, anche quando tutto sembra perduto, la speranza resta.
In un mondo dominato dal positivismo, dove solo ciò che è misurabile e tangibile sembra esistere, Charles Péguy (1873-1914) è figlio di un tempo che ha sostituito Dio con l’uomo. Cresce in una Francia intrisa di razionalismo, dove la fede è considerata superstizione e la speranza è riposta esclusivamente nell’azione politica.
Il giovane Péguy abbraccia il socialismo con passione: crede che l’uomo possa cambiare il mondo, redimere la società corrotta, costruire una civiltà nuova. La sua speranza è tutta umana, tutta terrena. Ma la vita, come spesso accade, lo conduce altrove.
Un matrimonio senza sacramenti
Péguy si sposa con Charlotte, una donna che condivide con lui l’impegno politico e la visione socialista. Hanno tre figli, ma nessuno viene battezzato. Charlotte non è credente. Péguy non può accedere ai sacramenti perché si è sposato con rito civile. Vive una fede mutilata, una tensione interiore che lo lacera. Eppure, non abbandona la famiglia. Nonostante si innamori di una giovane collaboratrice dei Cahiers, rimane fedele alla moglie. La sua vita è già una forma di offerta, una croce portata in silenzio.
La conversione: il Padre Nostro che non riesce a dire
Nel 1907, qualcosa cambia. Péguy si converte. Non è un gesto esteriore, ma una rivoluzione interiore. Scrive all’amico Joseph Lotte che per diciotto mesi non riesce a recitare il Padre Nostro. Perché? Perché ogni parola è vera, e lui non riesce a dire «sia fatta la tua volontà» senza tremare. La sua fede non è abitudine, è carne viva. È lotta. È verità.
Durante quel periodo, riesce a recitare solo l’Ave Maria. Perché la Madonna, dice, è colei davanti alla quale possiamo portare tutta la nostra miseria. È la madre che non giudica, che accoglie, che salva. La preghiera alla Madonna è sempre possibile, anche quando tutto sembra crollare.
Il vero avventuriero? Il padre di famiglia
Péguy sa cosa significa essere padre. Sa cosa significa tremare per la salute dei figli, che all’epoca potevano morire per una semplice febbre. In Véronique, scrive che il vero avventuriero non è l’esploratore, non è il soldato, ma il padre di famiglia. Colui che ogni giorno affronta la vita, scommettendo sulla speranza. E questa intuizione, che sembra così semplice, è in realtà profondissima. Perché oggi come allora, essere madre e padre è un atto di coraggio. È un atto di fede.
La speranza: la più piccola, la più grande
Nel 1911, Péguy scrive Il portico del mistero della seconda virtù, una delle opere più luminose della letteratura cristiana. In questo poema, fa parlare Dio. E Dio dice qualcosa di sorprendente: «La fede è facile. Ho fatto il mondo così bello che non dovrebbe essere difficile credere. Anche la carità è facile. Come si fa a non amare i poveri, i bambini, gli affamati? Ma la speranza… la speranza è la più difficile. Eppure è quella che mi stupisce di più». La speranza è descritta come una bambina piccola, che cammina a braccetto con le sorelle maggiori, la fede e la carità. Tutti pensano che siano le sorelle grandi a trascinarla. Ma è lei, la più piccola, che muove tutto. È lei che ci fa alzare al mattino, che ci fa costruire, che ci fa amare. È lei che ci fa vivere.
Le parabole della speranza
Péguy rilegge le parabole evangeliche con occhi nuovi. Quelle che abbiamo sempre chiamato «parabole della misericordia» – il figlio prodigo, la dramma perduta, la pecorella smarrita – sono, per lui, parabole della speranza. Perché parlano di un Dio che non si rassegna. Di un Dio che cerca. Di un Dio che festeggia per chi ritorna. La donna che cerca la moneta, il pastore che lascia le novantanove pecore per cercarne una: sono immagini di una speranza che non si arrende mai.
I figli malati e le braccia della Madonna
C’è un passaggio struggente nel Portico del mistero della seconda virtù, che è anche autobiografico. Péguy racconta di un padre di famiglia che ha i figli malati. Non sa più cosa fare. È disperato. E allora decide di affidarli alla Madonna. Li pone nelle sue braccia. E da quel momento, tutto cambia. Non perché i figli guariscano, ma perché il padre ritrova la pace. Perché capisce che non è il proprietario dei suoi figli, ma solo l’affittuario. Il vero padrone è Dio. E Dio provvede. Questa immagine è una delle più potenti della letteratura cristiana. È il gesto di chi si spoglia, di chi si affida, di chi riconosce che la vita è dono. E che il dono va restituito.
Il mistero dei Santi Innocenti
Péguy conclude il suo cammino poetico e spirituale con una riflessione sul mistero dei Santi Innocenti. Quei bambini uccisi da Erode, che non hanno fatto nulla, ma che sono già martiri. Perché la santità non è conquista. È grazia. È dono. È purezza. E in quei bambini, Péguy vede il volto della speranza. La speranza che non si misura, che non si calcola, che non si merita. Ma che salva.
La guerra e la morte – 5 settembre 1914
Péguy muore giovane, a 41 anni, durante la battaglia della Marna. Il 3 settembre, raccoglie fiori per portarli alla cappella della Madonna Assunta. Il 5 settembre, deve dare l’ordine di attaccare: i tedeschi sono nascosti nel bosco, i suoi uomini in campo aperto. È morte certa. Ma lui non si tira indietro. Alle 17 un proiettile lo colpisce alla fronte. Le sue ultime parole:
«Mio Dio, mio Dio, eccomi».
La stanza accanto
La morte non è niente. È solo il passaggio nella stanza accanto. Péguy lo ha detto con la vita. E la moglie, Charlotte, lo ha capito. Dopo la sua morte, battezza i figli. Si battezza lei stessa. E ogni anno, finché le forze glielo permettono, va in pellegrinaggio a Chartres, come lui aveva chiesto. La speranza non è finita. Ha solo cambiato stanza.
Péguy a Chartres, il pellegrinaggio di un convertito
Nel 1912 Charles Péguy, appena convertitosi dal socialismo, compie un pellegrinaggio da Notre-Dame di Parigi a Notre-Dame di Chartres per ringraziare la Madonna per la guarigione del terzogenito. Racconta quest’esperienza in un testo di rara bellezza: L’arazzo di Notre-Dame.
La ricerca della verità di Péguy
La ricerca della verità è una biografia del pensiero dello scrittore, giornalista e poeta francese Charles Péguy che, decostruendo il pensiero ideologico della modernità, ritrova le radici di una conoscenza autentica e vera della realtà.
Péguy, uno scrittore “profeta” del nostro tempo
Il 7 gennaio di 150 anni fa nasceva lo scrittore e poeta francese Charles Péguy. Dopo la conversione al cattolicesimo, sentì l’urgenza di tornare al messaggio centrale del Vangelo. Grandioso il suo poema “Eva”, sui cui versi si basa anche un’opera musicale di Jehan Alain.