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DOPO I RISULTATI

Conseguenze del voto: resa dei conti nel Pd e nella Lega

L'impatto delle elezioni nazionali sui territori è fortissimo. C'è aria di resa dei conti nel Pd, dove Letta si è già ritirato e potrebbe subentrargli il governatore emiliano Bonaccini o la sua vice Schlein. Conte non ricuce e si tiene il Sud. In Lombardia e Veneto è resa dei conti nella Lega.
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Politica 27_09_2022
Enrico Letta

A urne chiuse, mentre già impazza il toto-ministri, è iniziata la valutazione dell’impatto che le elezioni avranno sui territori. Al sud hanno vinto ancora una volta gli astenuti, che sono cresciuti notevolmente. A trarne vantaggio, dati alla mano, è stato il Movimento Cinque Stelle che, promettendo il reddito di cittadinanza e altri interventi assistenzialistici, ha consolidato il consenso, invertendo un trend che lo vedeva in caduta libera fino a due mesi fa. I pentastellati sono il terzo partito in Italia dopo Fratelli d’Italia e Pd e questo apre la strada a una resa dei conti a sinistra.

Enrico Letta, giocando d’anticipo, prima di farsi impallinare dai suoi, ha dichiarato che il congresso del partito, fissato per la primavera prossima, verrà anticipato, e che lui non intende ricandidarsi, proprio per favorire il rinnovamento. Ci mancherebbe altro, dopo la debacle di domenica. La deriva laicista del Pd potrebbe essere cavalcata da Elly Schlein, vicepresidente della Regione Emilia Romagna, che ora sembra in corsa per la segreteria nazionale del partito, in competizione con il governatore emiliano-romagnolo, Stefano Bonaccini.

Al momento la rivalità tra Giuseppe Conte e Enrico Letta, proprio sul draghismo e le scelte di governo, impedisce qualsiasi ricomposizione, mentre se i dem cambiassero guida il dialogo con i grillini potrebbe riaprirsi su basi nuove. Anche perché i numeri risicati in Parlamento, dovuti all’ampia maggioranza che il centrodestra ha conquistato soprattutto nei collegi uninominali, ostacolano qualsiasi velleità di rivincita. In questa legislatura, a meno di operazioni trasformistiche, non ci sono le condizioni per maggioranze diverse da quella di centrodestra e quindi, in caso di fallimento dell’esperienza di governo Meloni, quasi sicuramente bisognerebbe ridare la parola agli italiani, senza perdere tempo in alchimie di palazzo, non possibili con i rapporti di forza che si sono determinati con il voto di domenica.

Altro fattore che impedisce una coalizione alternativa a quella uscita vincitrice è il flop del cosiddetto terzo polo, che in realtà non è arrivato terzo e neppure quarto o quinto, essendosi attestato al sesto posto dopo Lega e Forza Italia. Matteo Renzi e Carlo Calenda speravano in un risultato a due cifre e puntavano a conquistare qualche collegio uninominale al nord, per espugnare i feudi leghisti. Nulla di tutto questo. Hanno raccolto poco più del 7% e non sono determinanti in alcun modo. Peraltro le ruggini tra i due potrebbero riesplodere e portare a una scissione nella scissione, il che indebolirebbe notevolmente il già ridotto peso specifico del terzo polo.

Nel centrodestra questi problemi, almeno per il momento, non ci sono. Il potere è un formidabile collante, anche di fronte a gelosie, rivalità, competizioni. È evidente che Matteo Salvini e Silvio Berlusconi non facciano i salti di gioia per l’ascesa così netta di Giorgia Meloni. Dovranno in qualche modo accettare le sue decisioni, anche sulle poltrone di governo più importanti, e accontentarsi di quello che la leader di Fratelli d’Italia sarà disposta a concedere ai suoi alleati. I centristi di Maurizio Lupi non sono arrivati neppure all’1% e quindi non avranno alcun peso nei prossimi equilibri di governo. La golden share ormai ce l’ha saldamente in mano la Meloni, che anche sui territori potrà alzare la voce e puntare i piedi. Ci sono regioni del nord quali Lombardia e Veneto, solo per citare le più importanti, nelle quali il Carroccio è andato malissimo e ora avrà difficoltà nel difendere i suoi governatori. Attilio Fontana e Luca Zaia non sono riusciti a frenare l’emorragia di voti del loro partito e c’è chi prevede che Fratelli d’Italia rivendicherà la presidenza di una delle due regioni. A marzo, peraltro, scade il mandato di Fontana, che mesi fa aveva già annunciato di volersi ricandidare. Ma con questi rapporti di forza tra Lega e Fratelli d’Italia tutto diventa incerto. I dietrologi addirittura sospettano che Zaia in Veneto non abbia fatto votare Lega proprio per silurare Salvini su base nazionale. Fatto sta che il Capitano ha pagato l’appiattimento sul governo Draghi, che è stato favorito proprio dall’atteggiamento accondiscendente dei suoi governatori nei confronti dell’attuale premier.

Dunque sia nel Pd che nella Lega c’è aria di resa dei conti. Tuttavia, mentre tra i dem il dopo-Letta è già cominciato, nel Carroccio la vittoria complessiva del centrodestra potrebbe consentire a Salvini di restare in sella come segretario e di tentare nel tempo di recuperare i consensi andati a Fratelli d’Italia. Sarà questa la sfida decisiva per lui nei prossimi mesi.