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Come possono suore e ammalati essere felici?

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I ricoverati del Cottolengo hanno un volto felice perché sanno a chi essere grati. Di fronte agli ammalati, Amerigo intuisce che lì, pur sempre, Dio può salvare con la grazia quella carne limitata e la storia sembra essere restituita nelle mani di Dio. Per caso il comunismo ha restituito la vista ai ciechi o fatto camminare gli zoppi?

Cultura 18_09_2023

Al Cottolengo, in mezzo a tanta sofferenza, che Leopardi avrebbe chiamato «giardino in istato di souffrance» mentre Montale avrebbe definito «male di vivere», Amerigo vede la lacerazione e il dolore umani. La consapevolezza del patimento è accompagnata dal desiderio di armonia e di bellezza, anche se il protagonista comprende che ogni illusione d’armonia nelle cose contingenti è mistificatoria. L’uomo deve cercarla su altri piani.

In quell’istituto è evidente che ogni pretesa umana di realizzare un mondo perfetto, felice, senza ingiustizie e iniquità, senza il male, senza difetti, in un progresso senza limiti e contraddizioni, è del tutto illusoria; è evidente come l’idea di perfezione dell’uomo sia ben lungi dal possedere un benché minimo attestato di attendibilità, perché la carne di Adamo appare «misera e infetta».

Amerigo inizia poi a guardarsi in azione e, così, si sorprende antidemocratico. La sua certezza di essere cresciuto con valori incrollabili comincia a vacillare: come può il suo voto di uomo intelligente e cosciente valere come quello di persone lontane dal mondo, dalla democrazia, dal sistema? Il suo credo illuministico aveva posto l’uomo come protagonista unico ed esclusivo della storia, lo aveva chiamato a sostituire Dio, quel Dio cristiano che a lui sembrava fatto soltanto per gli indifesi, per i deboli, per i poveri, per chi non poteva che appellarsi a Lui.

Al seggio si sorprende nel vedere insieme i credenti dell’ordine divino e i compagni suoi (i comunisti) «ben coscienti dell’inganno borghese di tutta la baracca». Di fronte agli ammalati, Amerigo intuisce che lì, pur sempre, Dio può salvare con la grazia quella carne limitata e la storia sembra essere restituita nelle mani di Dio. Per caso il comunismo ha restituito la vista ai ciechi o fatto camminare gli zoppi? Lì, in qualche modo, ciò avviene!

Non è, però, questo ragionamento a cambiare Amerigo. Sono fatti imprevisti e inaspettati che accadono all’interno di quelle mura a far sorgere in lui una nuova consapevolezza.

La prima scena che lo sorprende vede protagonista un nano e un onorevole. Il deputato arriva per poco tempo al Cottolengo. Un nano allora inizia a fissarlo cercando di comunicare con lui. Ma l’onorevole rimane del tutto disinteressato e non si volta. Amerigo pensa che a quel politico «il Cottolengo non gli sfiora nemmeno la falda dell’impermeabile». Dapprima nutre un sentimento di fastidio e di ripulsa per l’onorevole, ma poco più tardi si rende conto di essere molto simile a lui («Non erano, forse, loro due più simili che qualunque altro là dentro? Non appartenevano alla stessa famiglia, alla stessa parte, la parte dei valori terreni, della politica, della pratica, del potere? Non stavano dissacrando il feticcio del Cottolengo?»). Amerigo inizia a nutrire simpatia per il nano.

La seconda scena ha come protagoniste le suore che mostrano un volto lieto e una diversità di sguardo sulle carte d’identità:
O il fotografo delle monache era un grande fotografo o sono le monache che in fotografia riescono benissimo […]. Le monache […] posavano di fronte all’obiettivo, come se il volto non appartenesse più a loro, e a quel modo riuscivano perfette […]. La fotografia registrava quest’immediatezza e pace interiore e beatitudine. È segno che una beatitudine esiste? […] E, se esiste, allora va perseguita? Va perseguita a scapito d’altre cose, d’altri valori,  per essere come loro, le monache?

Amerigo inizia a prendere coscienza che in lui la pretesa di essere giusto, di perseguire buoni principi e valori inappellabili ha da tempo sostituito il desiderio di essere felice e ha, per così dire, offuscato il suo animo, lo ha reso triste e insensibile.

Non tutte le monache, però, appaiono belle e felici, perché qualcuna mostra ancora tensione o appare atteggiata, manifestando la sua stessa mancanza di libertà di fronte alla macchina. Ce ne sono alcune «ancora strette dall’ambizione terrena» («Bisognava avessero passato come una soglia, dimenticandosi di sé, e allora la fotografia registrava quest’immediatezza e pace interiore e beatitudine»).

Ancora più sorprendente è il fatto che gli idioti completi nelle loro carte di identità appaiono felici. Amerigo si chiede cosa abbiano in comune le monache e gli idioti completi. Per entrambi dare un’immagine di sé non è un problema, perché sono liberi dall’esito. Secondo Amerigo il punto a cui la vita monacale porta attraverso la fatica e il sacrificio è dato in sorte dalla natura (o destino) agli idioti completi.           

Nella terza scena si scopre l’origine della gratitudine. Amerigo insiste perché uno del Cottolengo non voti. Il presidente perde la pazienza e tiene un discorso sulla gratitudine: «Qui hanno chi gli vuol bene, li tiene qui, gli insegna. Ce l’hanno la volontà di votare? Più loro che tutti quelli che sono fuori. Perché sanno cos’è la carità». Amerigo si chiede verso chi vogliano mostrare la loro gratitudine le persone che si trovano al Cottolengo. La risposta del presidente è immediata: «A Dio nostro Signore e basta». Come è possibile che possano mostrare gratitudine a Dio persone che soffrono tanto? Forse per le loro sventure? Tanti intellettuali – riflette Amerigo - hanno affrontato la questione dell’infelicità degli uomini senza trovare una risposta positiva e plausibile: su tutti Voltaire, Leopardi, Kierkegaard, Kafka.

Una risposta sembra arrivare da quest’ultima scena cui assiste Amerigo. Un omone, orgoglioso delle proprie capacità, mostra gratitudine per le suore attestando con gioia:
«Io so fare tutti i lavori da me […]. Sono le suore che mi hanno insegnato. Qui al Cottolengo facciamo tutti i lavori da noi. Le officine e tutto. Siamo come una città. Io ho sempre vissuto dentro il Cottolengo. Non ci manca niente. Le suore non ci fanno mancare niente. Grazie alle suore sono riuscito a imparare. Io senza le suore che mi aiutavano sarei niente. Ora io posso fare tutto. Non si può dire niente contro le suore. Come le suore non c’è nessuno».

I ricoverati del Cottolengo hanno un volto felice perché sanno a chi essere grati.

Amerigo comprende che di fronte ai ricoverati si può stare in maniera diversa. Un contadino, padre di uno di quegli esseri, «fissa il figlio negli occhi per farsi riconoscere, per non perderlo, per non perdere quel qualcosa di poco e di male, ma di suo, che era suo figlio»; al contrario, alla suora non occorre «il riconoscimento dei suoi assistiti, il bene che ritrae da loro è un bene generale, di cui nulla va perso […]. La suora muove lì intorno gli occhi chiari e lieti, come […] in un giardino pieno di salute».

Alla vista della letizia di quello sguardo una scrutatrice esclama: «Lei è una santa». Di fronte a questa donna Amerigo riconosce che
vivere come lei, per uno scopo universale (un ideale), sarebbe stato più naturale che vivere per qualsiasi scopo particolare e sarebbe stato possibile ad ognuno esprimere se stesso, la propria carica sepolta, segreta, individuale, nelle proprie funzioni sociali, nel proprio rapporto con il bene comune.