Cgil in mobilitazione permanente, Landini prepara la leadership
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Dopo aver paralizzato le città la Cgil proclama uno sciopero sabato 25 per boicottare il calcio. I toni di Landini sembrano preludere a una discesa in campo. La storia insegna: all’opposizione sociale a quella politica il passo è breve

Il 25 ottobre si avvicina e, con esso, l’ennesimo sciopero generale proclamato dalla Cgil di Maurizio Landini. Fin qui nulla di nuovo: il sindacato è ormai abituato a ritagliarsi spazi di protagonismo con iniziative che, a cadenza regolare, puntano a sfilare contro il governo in carica. Ma questa volta lo sciopero cade di sabato, e proprio questo dettaglio ha innescato una polemica accesissima. In quel weekend, infatti, il calendario della Serie A di calcio propone alcune partite di assoluto richiamo: Napoli-Inter, Udinese-Lecce, Cremonese-Atalanta.
In verità, già alla vigilia della partita di ieri sera a Udine della Nazionale italiana contro Israele, valida per le qualificazioni ai Mondiali del 2026, il leader sindacale aveva invitato al boicottaggio.
E così Landini, forse rendendosi conto di aver tirato troppo la corda con una data che rischia di passare inosservata per via della concorrenza del calcio, ha deciso di fare un salto di qualità nella sua battaglia politica e sindacale: dichiarare guerra al pallone. La Cgil ha infatti lanciato un appello esplicito a boicottare le partite, invitando i cittadini a disertare gli stadi e a scegliere invece la piazza, Roma in particolare, dove il sindacato darà vita a una manifestazione con rivendicazioni economiche e sociali.
L’obiettivo dichiarato è chiedere salari più alti, una riforma fiscale equa, investimenti su sanità e scuola, oltre al rifiuto del riarmo e della precarietà. Ma al di là delle parole d’ordine, l’impressione è che ci sia molto di più dietro questa accelerazione. Landini, dopo essersi proposto come difensore dell’ordine costituzionale e della legalità democratica, ora sembra voler recitare un copione diverso, più ambizioso e personale. L’uscita contro la Serie A e il boicottaggio della Nazionale sembrano parte di una strategia più ampia, che punta a consolidare la sua figura non solo come leader sindacale ma come riferimento politico per un’area di sinistra in forte crisi identitaria. In questo senso non sfugge che, mentre Elly Schlein arranca tra sondaggi poco confortanti e difficoltà interne, Landini abbia deciso di alzare il volume della propria voce, candidandosi di fatto a una leadership alternativa.
Come la storia insegna, dall’opposizione sociale a quella politica il passo è breve, e forse nella testa dell’ex segretario della Fiom si sta facendo strada l’idea di scendere in campo davvero, in un ruolo che potrebbe condurlo addirittura alla guida di una futura coalizione progressista. I segnali ci sono tutti: un sindacato trasformato in macchina da mobilitazione permanente, una retorica sempre più marcata contro il governo Meloni, un uso accorto dei social per lanciare messaggi diretti e suggestivi come quello del 25 ottobre: "Non andare allo stadio, vieni in piazza".
Un tono che richiama più lo slogan di una campagna elettorale che un appello sindacale. Anche il tempismo delle mosse fa pensare: con l’autunno caldo alle porte e il malcontento sociale in aumento, Landini sembra voler cavalcare l’onda dell’opposizione di piazza per guadagnare consenso e autorevolezza. In fondo, lo spazio politico a sinistra è ampio e ancora privo di un vero leader in grado di riunire le varie anime in un fronte coeso.
Se Schlein appare in difficoltà, l’ipotesi che Landini voglia scalzarla diventa più concreta. Il sindacalista potrebbe non accontentarsi più di essere la spina nel fianco del governo: potrebbe voler essere l’uomo che ambisce a guidare l’alternativa. I boicottaggi sportivi, in quest’ottica, sono strumenti utili per marcare una discontinuità, per far parlare di sé, per imporsi nel dibattito pubblico. Anche il riferimento alla partita tra Italia e Israele – incontro di per sé delicatissimo in un momento geopolitico teso – inserisce Landini nel solco di una sinistra radicale che mescola lotte sindacali, istanze pacifiste e un’agenda politica che si sovrappone sempre più a quella partitica.
Certo, resta da vedere quanto questa strategia potrà rivelarsi efficace: il rischio di alienarsi una parte dell’opinione pubblica, specie quella più legata allo sport e meno incline alle strumentalizzazioni ideologiche, è reale. Ma per Landini, che sembra scommettere su una trasformazione in chiave populista e movimentista della sinistra italiana, la posta in gioco è alta. Non si tratta più solo di salari, pensioni o diritti sindacali: si tratta di potere, di rappresentanza, di egemonia. In altre parole, di leadership politica. E se per costruirla serve mettere da parte il calcio per un giorno, la Cgil sembra disposta a tutto.