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BRASILE

Annullata la condanna di Lula, un siluro per Bolsonaro

Svolta giudiziaria e politica in Brasile: un giudice della corte suprema, Edson Fachin, ha annullato la sentenza di condanna dell’ex presidente di sinistra Lula da Silva. Potrà candidarsi nelle prossime elezioni del 2022, contro Bolsonaro. Già le cose si stanno complicando per il presidente conservatore.

Esteri 10_03_2021
Manifestazione pro Lula

Svolta giudiziaria e politica in Brasile: un giudice della Corte Suprema, Edson Fachin, ha annullato la sentenza di condanna dell’ex presidente di sinistra Lula da Silva. Era stato condannato per corruzione nel 2018, per essere stato pagato con una tangente (un appartamento) da Petrobras, la compagnia petrolifera nazionale. Il giudice supremo non ha messo in discussione la condanna, ma la giurisdizione. Il tribunale federale di Curitiba, che ha spiccato la condanna, non avrebbe avuto la giurisdizione sul caso del presidente. Il suo e altri processi dovranno essere ripetuti nel tribunale di Brasilia, la capitale. La cancellazione della sentenza ha comunque restituito a Lula pieni diritti politici. Dunque potrà candidarsi per le elezioni che si terranno l’anno prossimo.

Il processo e la condanna di Lula erano stati un evento rivoluzionario del Brasile recente. Dopo due mandati alla testa del grande Paese latino-americano, dal 2003 al 2011, a Lula era succeduta la fedelissima Dilma Rousseff. Ma in un clima di crescente disaffezione, per un’economia stagnante, riforme socialiste che avevano accelerato la crisi finanziaria, sospetti sempre crescenti di corruzione diffusa, la sinistra brasiliana era stata travolta dalla mega-inchiesta “Autolavaggio”, un’operazione talmente grande da far apparire la nostra “Mani Pulite”, in confronto, come un piccolo evento di un cantone svizzero.

Con un susseguirsi di 77 operazioni della polizia federale, perquisizioni, arresti e interrogatori di personaggi sempre più in alto nella politica nazionale, i brasiliani sono rimasti incollati ai televisori, scoprendo, una puntata dopo l’altra, dal marzo del 2014 al 2018, che esisteva, a loro insaputa, un intero sistema di corruzione. Petrobras, la compagnia petrolifera nazionale, finanziava i partiti di governo, prima di tutto il Partito dei Lavoratori. E intanto, i partiti ricambiavano piazzando i loro uomini ai vertici della Petrobras e di compagnie controllate. La prima operazione, nel marzo del 2014, aveva portato gli inquirenti a scoprire riciclaggio di denaro delle tangenti in un’officina di autolavaggio (da cui il nome della prima operazione, che poi ha dato il titolo a tutta la mega-indagine). Quattro anni dopo, erano arrivati a Lula. La condanna dell’ex presidente aveva facilitato enormemente la campagna elettorale di Jair Bolsonaro, ex militare e candidato della destra, con un programma radicale di riforme liberali, volte soprattutto a spezzare i legami fra la politica e le grandi aziende di Stato. Bolsonaro, invertendo la rotta rispetto alle amministrazioni precedenti, da cristiano evangelico “fondamentalista” ha anche condotto coerenti politiche contro l’aborto, in difesa della famiglia naturale e per la libertà di educazione.

La storia di Bolsonaro, sopravvissuto a un attentato che per poco non lo uccise prima del voto, non è mai stata pacifica. Dal 2018 ad oggi è stato il presidente più odiato dai media internazionali, secondo solo a Donald Trump, di cui ricorda lo stile diretto, a tratti violento, sicuramente anti-diplomatico. Come Trump, è sempre stato amato in patria e odiato all’estero (in Europa, in particolar modo), ma ha visto rimettere in discussione la sua popolarità a causa di grandi eventi naturali: l’incendio dell’Amazzonia prima, poi l’epidemia di Covid-19. Per il primo, gli Stati del G7, senza neppure interpellarlo, proponevano di internazionalizzare gli Stati amazzoni del Brasile, sottraendoli alla sovranità del Paese. Nel secondo disastro, invece, Bolsonaro è nel mirino perché considerato “negazionista”. In realtà, la sua politica consiste semplicemente nel rimettere ai singoli Stati della federazione pieni poteri di gestione dell’epidemia. Ma le sue continue dichiarazioni contro-corrente, che mirano soprattutto a ridimensionare la paura e tenere alto il morale della popolazione, all’estero e nella sinistra brasiliana sono lette come un disinteresse nei confronti delle sofferenze del popolo.

Il Congresso brasiliano, prendendo esempio da quello statunitense, medita di imbastire un processo di impeachment per Bolsonaro, a un anno dal voto, per la sua gestione dell’epidemia. Come se non bastasse è scoppiato un altro caso Petrobras. L’attuale amministratore delegato della compagnia, Roberto Castello Branco, stimato in patria e all’estero per aver sanato una situazione disperata riducendo drasticamente il debito, verrà sostituito a fine mese da un generale, Joaqium Silva e Luna, privo di esperienza nel settore. Il motivo della sostituzione potrebbe essere più politico che amministrativo: vista la crisi post-Covid che sta montando, Bolsonaro vuole abbassare il prezzo dei carburanti, sussidiando l’industria petrolifera, ma Castello Branco, non senza ragioni, si oppone e sostiene che i sussidi possano essere un rimedio peggiore del male, come dimostra proprio l’esperienza di Lula. Assieme alla crisi Petrobras, che sta preoccupando investitori nazionali e internazionali, Bolsonaro rischia di tirarsi contro anche la polizia, perché ha licenziato Mauricio Valeixo, direttore dei federali e architetto dell’operazione Autolavaggio. E pare che lo abbia fatto perché aveva sentore di un’indagine sui suoi figli.

In questa congiuntura nazionale e internazionale a dir poco difficile, la Corte Suprema rimette in campo Lula, che ha ancora uno stuolo di sostenitori. E che, secondo sondaggi ancora tutti da verificare, nel 2018 avrebbe battuto Bolsonaro se avesse potuto candidarsi. Non bisogna dimenticare, poi, che il Brasile di Bolsonaro si relazionava con gli Stati Uniti di Donald Trump. Adesso a Washington siede Joe Biden. D’accordo che la Dottrina Monroe (“L’America agli americani”… del Nord) è finita da un secolo. Ma qualcosa resta e l’influenza dei Democratici Usa, ostili a Bolsonaro, non tarda a farsi sentire.