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LA SERIE SVEDESE

Anche la tv dei vescovi cede al fascino del crimine

Tv2000 trasmette una serie intitolata Omicidi fra i fiordi. Una scelta che solleva questioni di opportunità per una televisione non commerciale che dovrebbe rappresentare la voce dei cattolici. Il thriller televisivo o letterario ha una sua dignità artistica, ma perché la Tv dei vescovi non fa uno sforzo culturale diverso invece di conformarsi? Non è necessario che ci siano dei preti, ma c’è sete di normalità, bellezza, ragione, arte. E, magari, fede.

Cinema e tv 15_05_2018

La televisione della Conferenza Episcopale Italiana, Tv2000 trasmette per la seconda volta (dopo una prima trasmissione nel 2006) una serie di film tv tratti dai romanzi di Camilla Läckberg. Sono 6 puntate di una serie intitolata Omicidi fra i fiordi (Fjällbackamorden), prodotta nel 2012 che in sé non ha particolari meriti né demeriti – per questo è inutile entrare nello specifico di trame e temi – ma sollevano questioni di opportunità per una televisione non commerciale che dovrebbe rappresentare la voce dei cattolici. Sia chiaro, il thriller televisivo o letterario ha una sua dignità artistica e può essere un genere di intrattenimento non peggiore di altri. Ci sono serie televisive nelle quali il male (e magari anche il bene) viene scandagliato con intelligenza. Ma, questo è il punto, l’offerta è sovrabbondante, pletorica, eccessiva.

E quando non ci sono serial killer o assassini o abusatori ci sono vampiri, licantropi, fantasmi e morti viventi. La televisione pulsa di morte. Camilla Läckberg non è migliore né peggiore di altri scrittori del genere thriller e noir, alcuni suoi testi sono piacevoli sebbene il sottotesto anticristiano affiori nei discorsi dei personaggi fissi della scrittrice svedese, come il poliziotto Patrik Hedström e la scrittrice Erica Falck, alter ego della stessa autrice.

E qui si innesta il ragionamento che si vuole proporre al lettore, senza voler per questo alzare la bandiera contro la Läckberg.  Ci si chiede: non dovrebbe la televisione dei vescovi – visto che già profonde sforzi in tal senso  –  trasmettere esclusivamente serie non si dice edificanti ma perlomeno educative, che magari insegnino qualcosa della storia, dell’arte, delle grandi esplorazioni, della fatica delle grandi missioni, dei moltissimi, grandi personaggi cattolici, ma anche non cattolici, che hanno reso lustro e luce al mondo?

Non c’è bisogno che ci siano preti (magari detective) o suore (magari ballerine) ma persone, storia, realtà, intelligenza, creatività, avventurosità; non dovrebbe la televisione dei vescovi, soprattutto di questi tempi, sforzarsi ancor di più (e senza cedimenti alle mode) tentare una “rieducazione” del pubblico e rifiutare di inseguire il mondo e le sue mode? Non dovrebbe la televisione dei vescovi prendere le distanze, nei suoi palinsesti, dal mare di sangue che invade i mezzi di comunicazione e di intrattenimento (televisione, cinema, graphic novel, romanzo, fumetti, videogiochi…) in ogni parte?

Ogni spettatore sa, oggi, che tutti i canali televisivi generalisti della Rai, di Mediaset, de La 7, sono colmi, letteralmente zeppi, di film nei quali il fatto di sangue è centrale. Lo stesso accade per le televisioni digitali come Sky o in streaming (Netflix, Infinity, Amazon Prime ecc.). Le serie di investigazioni su assassinii, seriali o meno, sul crimine, sono la stragrande maggioranza, sono anzi la carne e il sangue di ogni palinsesto. Il sangue, l’omicidio, l’investigazione per scoprire orrori e crudeltà sono la cifra del nostro mondo e della comunicazione contemporanea. Sangue chiama sangue, il sangue della fiction richiama il sangue vero che a sua volta richiama il sangue fittizio in un cerchio rosso che non ha fine (chi scrive ne ha parlato in un libro che si intitola Meglio regnare all’inferno, che si occupa proprio di questo: il sangue dei palinsesti).

Al centro della trama, dello spettacolo di quasi ogni serata, c’è il crimine, magari preceduto da cuochi e talk show politici. A queste serie bisogna aggiungere gli spettacoli (semi)giornalistici dedicati ai crimini, alle investigazioni, più o meno crude, ai processi che avvengono nella realtà, alla vita post processuale dei criminali. Numerosissime sono le trasmissioni della cosiddetta televisione tabloid e reality e dei contenitori “da approfondimento” affollate di criminologi, medici legali, avvocati. Ancora più insistenti sui palinisesti sono i programmi “crime” (da Telefono giallo e Blu notte, passando per Quarto grado) che fanno diventare casi reali simili ai casi della Läckberg o di Carrisi e casi fittizi simili ai casi reali.

Programmi di questo genere, che si occupano di casi di cronaca sanguinari, con tanto di racconto delle investigazioni, delle autopsie. Ci sono poi le serie antologiche italiane, americane, inglesi e di altre nazioni nelle quali si raccontano con dovizia di particolari e spesso con drammatizzazioni (ricreazione di scene) crimini sanguinari. Questi argomenti sono tracimati persino nei talk show e nelle trasmissioni contenitore, un tempo dedicate alle famiglie, perché teoricamente in fascia protetta. Anche in queste, oggi, si vede letteralmente di tutto. E di sicuro il tasso di violenza negli schermi televisivi italiani è altissimo. Forse, per questo, si spererebbe che la televisione dei cattolici italiani fosse un esempio di originalità, di “rottura” vera e propria, scandalosa perché controcorrente, e coraggiosa. O il sangue (fittizio ma non meno reale, nell’immaginario) deve essere obbligatoriamente versato anche qui?

Si lascino l’abile Patrik Hedström e la brava scrittrice Erica Falck a indagare nei fiordi, a immergersi nelle motivazioni degli assassini come bravi mindhunter. Si disertino i loro medici legali, le loro prove tossicologiche, analisi del DNA, tavoli di dissezione e modus operandi degli assassini. Gli altri canali ne sono pieni ad ogni ora, ogni giorni, ogni mese, tutto l’anno. C’è sete di normalità, bellezza, ragione, arte. E, magari, fede.