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FEDE E POLITICA

A Hong Kong si gioca il futuro di tutta la Chiesa

Esattamente come un anno fa rimbalzano le voci sul prossimo annuncio del nuovo vescovo di Hong Kong, che dovrebbe essere Peter Choy, gradito al regime di Pechino. Ma se le voci trovassero conferma sarebbe un pessimo segnale per la Chiesa tutta, perché la Santa Sede avrebbe scelto la strada della sottomissione alla poliitca invece della libertà della Chiesa.

Editoriali 27_02_2021
Il cardinale Parolin, segretario di Stato vaticano, Peter Choy e il cardinale Tong

Esattamente un anno fa davamo conto del prossimo annuncio della nomina del nuovo vescovo di Hong Kong, che sarebbe stato Peter Choy Wai-man, vicario della diocesi. In realtà quell’annuncio non è mai arrivato: inizialmente si disse che era un ritardo dovuto all’emergenza Covid che nel frattempo era scoppiata. Poi in realtà si capì che la pratica si era bloccata probabilmente perché c’erano molte resistenze, in quanto Peter Choy era il candidato di Pechino e il segnale sarebbe stato fin troppo chiaro: anche la diocesi di Hong Kong - che formalmente non rientra nel tanto discusso accordo segreto tra Cina e Santa Sede – sarebbe stata regalata al regime comunista cinese.
E questo proprio nel momento in cui tale regime stava già violando l’accordo con il Regno Unito che garantiva a Hong Kong di mantenere il grado di libertà goduto fino al 1997 sotto il dominio della Corona britannica. La nomina di Choy, che avrebbe sorpassato la scelta naturale, ovvero il vescovo ausiliare Joseph Ha Chi-shing, suonava come uno schiaffo in faccia ai cattolici di Hong Kong, con tutte le conseguenze del caso.

Ora però da Hong Kong rimbalza ancora la stessa indiscrezione: tempo due settimane e sarà annunciata la nomina del nuovo vescovo, e ancora una volta il nome designato è quello di monsignor Peter Choy. Sarà vero questa volta? Purtroppo è possibile.

Teniamo conto che la guida della diocesi di Hong Kong è vacante da ormai oltre due anni, da quando nel gennaio 2019 morì improvvisamente il vescovo Michael Yeung Ming-cheung, e da allora la diocesi è retta provvisoriamente dall’81enne cardinale John Tong Hon, richiamato dalla pensione per svolgere il ruolo di amministratore apostolico. La situazione di stallo non può andare avanti a lungo, almeno se si ha a cuore la sorte dei cattolici di Hong Kong.

Inoltre la Santa Sede ha già chiaramente dimostrato di voler assecondare il regime di Pechino nel negare a monsignor Joseph Ha la naturale successione. E malgrado le evidenti dimostrazioni di forza da parte delle autorità comuniste – ultima la pubblicazione delle nuove misure per la nomina dei vescovi, che ignorano totalmente il ruolo del Papa – dal Vaticano si procede convinti sulla strada dell’accordo segreto, rinnovato lo scorso ottobre. Da quel che si è visto in questi due anni e mezzo, la strada implica che a decidere è Pechino e alla Santa Sede spetta il compito di dire sì.

Un altro elemento che rende verosimile l’ultima indiscrezione è il fatto che dopo la levata di scudi dell’anno scorso, quando la notizia della possibile nomina di Choy provocò molti mal di pancia a Hong Kong e non solo, si sa che da Roma si è provato veramente a percorrere altre strade, meno traumatiche. Ma nella situazione in cui si troverebbe il nuovo vescovo di Hong Kong con l’accordo tra Cina e Santa Sede, tutti i possibili candidati “terzi” avrebbero declinato l’offerta.

Quindi si torna al punto di partenza: se si esclude apriori monsignor Ha, resta monsignor Peter Choy. A questo punto diventa veramente difficile una soluzione di mezzo che permetta di evitare, o di mascherare, il dilemma: ovvero, la scelta tra la libertà della Chiesa – e quindi l’affermazione dell’autonomia della Chiesa nella nomina dei vescovi – e la sudditanza al potere politico.
È per questo che la decisione che sarà presa interessa tutti i cattolici, non solo quelli di Hong Kong e della Cina. Purtroppo abbiamo già visto dove batte al momento il cuore vaticano, anche se sarebbe bello essere smentiti.

Inoltre, rispetto a un anno fa la Santa Sede potrebbe sperare nel fatto che con il passare del tempo e con le vicende accadute nel frattempo a Hong Kong, anche la resistenza a una nomina filo-cinese potrebbe risultare affievolita.

Ad ogni modo quali che siano i calcoli che stanno facendo a Roma, questa lunga attesa nella nomina del vescovo di Hong Kong è già di per sé un segnale molto negativo. E se la nomina di monsignor Peter Choy fosse confermata possiamo aspettarci una profonda e dolorosa divisione nella Chiesa di Hong Kong, mentre ai cattolici di tutto il mondo sarebbe mandato il messaggio che è più saggio bruciare gli incensi all’imperatore piuttosto che offrire la vita per Cristo.