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Zuppi e Rep ammettono: «Leone freddo, rimpiangiamo Francesco»

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Ospite a Repubblica delle idee, il presidente della Cei sorride divertito a Francesco Merlo che definisce Papa Leone XIV freddo. E si unisce al coro: «Rimpiangiamo Francesco». Ma Prevost non è mai nominato. 

Editoriali 17_06_2025

Il festival dei rosiconi va in scena a Bologna dove il cardinale Matteo Maria Zuppi apre le porte come di consueto al suo giornale di riferimento, Repubblica. Per dire che «Papa Leone non ci piace». Il quotidiano fondato da Eugenio Scalfari lo dice papale papale in diverse occasioni, l’arcivescovo romano adottato da Bologna la rossa, lo lascia intendere con un silenzio davvero rivelatore nel corso dell’incontro con Francesco Merlo per Repubblica delle idee che si è chiuso domenica in piazza Maggiore.

Proprio con alle spalle la Basilica di San Petronio va in scena una storia di amichettismo e rosicate all’insegna di quanto era bella la Chiesa di Papa Francesco. E il suo successore? Non pervenuto, e nemmeno Zuppi, abile comunicatore della “teologia del volemosebbene” si perita più di tanto per correggere il tiro e infilare nel suo discorso qualche cosa di Papa Prevost. Macché.

Si ascolta per quasi 45 minuti un noioso monologo su quanto è stato importante Papa Francesco e ad un certo punto, visto che l’incontro era intitolato la Chiesa in piazza, un anno dopo (il riferimento è allo stesso incontro di un anno fa tra Merlo e il presidente Cei), ci si aspettava che i due avrebbero detto che cosa, nel frattempo, è successo in questo anno. Ad esempio, il cambio del pontificato con l’arrivo del primo Papa americano.

Niente da fare.

Del resto, che Repubblica facesse il tifo per Zuppi sul soglio pontificio lo si era capito fin da subito, già dalle lenzuolate pre Conclave. E infatti, il vicedirettore Stefano Cappellini, nel presentare i due ospiti non lo nasconde nemmeno: «Vi devo dire che questo è l’unico dibattito che qualcuno sperava che saltasse, per un motivo ovvio, perché si sperava che uno dei due avesse un impegno importante in un'altra città. Non è stato così». Il riferimento neanche tanto velato è proprio al fatto che Repubblica sperava che Zuppi entrando in Conclave, uscisse sulla loggia delle benedizioni vestito con la mozzetta e l’abito da Papa.

Quindi, il tifo per il quotidiano della Sinistra italiana è così smaccato che non ci si preoccupa nemmeno dell’antico adagio su chi entra Papa in conclave e poi…

Ma Merlo fa di più: «Un anno dopo, che cosa è cambiato? Non c’è Papa Francesco, noi siamo quelli che lo rimpiangiamo, tutti ci spiegano il Papa nuovo come è bello, fanno l’esegesi, a me sembra molto freddo. Dicono che ha reintrodotto la liturgia, dicono che fa il Papa, ma Papa Francesco meno faceva il papa e più diventava papa. Com’è?».

A quel punto il microfono passa nelle mani di Zuppi, il quale avrebbe potuto almeno abbozzare un moto di presa di distanza. Insomma, che un cardinale arcivescovo sia ospite a casa sua di un quotidiano orientato a Sinistra e si senta dire che si rimpiange il predecessore perché questo è freddo, magari, giusto per l’abito che porta, si sarebbe immaginata una difesa almeno d’ufficio di Prevost. Ma niente.

«Lo rimpiangiamo tutti (Papa Francesco ndr.) – attacca Zuppi -, un anno dopo non c’è, ma c’è. Nel suo ministero ha regalato tante chiavi di lettura per tutti. Pensate alla Terza guerra mondiale a pezzi, ai ponti e ai muri, alla Laudato sì».

Comincia il dialogo tra i due nel quale il parlarsi addosso è davvero preponderante, le analisi assenti e l’ironia la stella polare.

L’ironia «che era assente dai Vangeli e che aveva Papa Francesco», «l’ironia che fa assomigliare Zuppi così tanto a Papa Francesco», «l’ironia e il gusto del paradosso che aveva Papa Francesco per dare una lettura caricaturale, ma sempre rispettosa delle persone». Come faccia Zuppi a vedere in Papa Francesco una ironia caricaturale, ma rispettosa lo sa solo lui. Ma in piazza Maggiore domina il silenzio inerme di un pubblico tormentato da un caldo afoso e poco incline al battimani, mica vale la pena stare ad agitarsi più di tanto.

Merlo insiste: «Ci sono momenti di allegria con gli apostoli?». Aridaie. Zuppi risponde imbarazzato: «Ci sono momenti di grande intimità». Ma è una risposta fuori bersaglio. Bastava citare le nozze di Cana, a meno che non vogliamo pensare che quello dove Gesù compì il primo miracolo della sua vita pubblica, fosse l’unico matrimonio triste della storia dell’umanità, con gli apostoli immusoniti per il vino venuto a mancare. Oppure quando rimproveravano a Gesù di frequentare “mangioni e beoni”. Insomma, la convivialità presuppone anche l’ironia. Ma il punto è che l’ironia non è raccontata nei Vangeli perché non ci serve per andare in Paradiso e per riconoscere che Gesù Cristo è il salvatore del mondo. Anche di quei “somari” di Repubblica. Quindi, chisse ne importa.

Ma Prevost è sempre più assente dalle parole di Zuppi, tra ricordi vintage di quando le messe erano beat, di don Milani che ha tolto «dall’insegnamento la solennità che è ipocrisia come ha fatto Francesco con la liturgia» e di quando gli comunicarono la sua scalata all’ordine episcopale prima (sotto Benedetto XVI) e al cardinalato poi (sotto Francesco). Tanto che quando Merlo gli dice «sei bemiamino di due Papi, speriamo di tre», Zuppi ride imbarazzato senza spiaccicare parola e a denti stretti aggiunge: «Speriamo». Ma sembra non crederci. 

Forse perché sa già, da vecchia volpe qual è, che beniamino di Papa Leone XIV non lo diventerà mai. O forse perché nel nuovo corso vaticano non c’è più spazio per l’amichettismo?  



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CHIESA ITALIANA

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