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l'incontro della bussola

Vogliamo davvero la pace?

Mons. Paolo Pezzi, in collegamento da Mosca, e fra' Diego Dalla Gassa, da Gerusalemme, affrontano con il direttore Riccardo Cascioli l'apparente paradosso del nostro tempo: tutti parlano di pace ma nessuno la persegue realmente. Forse perché desideriamo una pace sganciata da Dio.

Attualità 05_01_2023

Vogliamo davvero la pace? Una domanda apparentemente scontata fa da filo conduttore del sesto e ultimo degli incontri per i 10 anni de La Nuova Bussola Quotidiana. E chi non la vorrebbe, tanto più con i venti di guerra che travolgono anche l’Europa? «Un paradosso» chiederlo, osserva il direttore Riccardo Cascioli aprendo l'incontro del 3 gennaio, ma purtroppo non è una domanda tanto paradossale, perché forse «c’è qualcosa che non funziona nel nostro concetto di pace», visto che tutti la invocano a parole e nessuno sembra perseguirla concretamente.

A parlarne ai lettori della Bussola sono due ospiti in collegamento da due luoghi “simbolo” dell’anelito alla pace e purtroppo di conflitti che paiono senza fine. Mons. Paolo Pezzi, dal 2007 è arcivescovo della Madre di Dio a Mosca, la principale diocesi cattolica della Russia. Fra’ Diego Dalla Gassa, francescano, invece vive da 12 anni in Terra Santa ed è responsabile del Romitaggio del Getsemani a Gerusalemme (ma prima di farsi frate era paracadutista: «sono stato in guerra», racconta, «so cosa significa impugnare un’arma e aver paura di dover premere il grilletto, per fortuna Dio mi ha preservato da questa pena»).

Il primo pericolo di cui parla fra’ Diego è il rischio dell’assuefazione quando conflitti e ternsioni sono all’ordine del giorno: «anche noi che viviamo qui ci stiamo abituando», ma «l’indifferenza e il silenzio possono favorire l’aggressività». L’altro rischio è quello di «schierarsi da una parte o dall’altra». Ma come si concretizza la possibilità di un dialogo? Fra’ Diego cita il patriarca di Gerusalemme, mons. Pierbattista Pizzaballa, sul «vero dialogo», che non può e non deve escludere né camuffare le differenze per piacere all’altro. Anzi, «avviene nel riconoscere l’altro per quello che è» e quindi «saper dialogare nelle rispettive differenze» che in Terra Santa sono evidenti («ci riconosciamo subito dagli abiti e logicamente anche nel credo»).

Riconoscersi nella diversità appare piuttosto complicato, osserva Cascioli, laddove (in Medio Oriente e non solo) «ci sono fazioni convinte che il mondo sarebbe migliore se l’altra parte non esistesse». Ma questo, risponde fra’ Diego, «è un problema non solo umano, anche teologico». Parte da «una difficoltà nel riconoscerci uomini» e persino tra cristiani (in fondo quello che avviene tra Russia e Ucraina è un conflitto tra popoli cristiani). E questa difficoltà nasce e si aggrava quando escludiamo Dio: «Dov’è? Dove lo mettiamo? Cosa sta pensando Dio di ciò che viviamo? Mi rendo conto che mi sarà chiesto conto del mio agire?». Ecco la dimensione teologica del problema. Se «l’uomo è al centro di tutto», allora finisce per mandare avanti «soltanto il proprio interesse».

«Il perdono è il mezzo principale per vincere il male, ristabilire i rapporti con Dio, in famiglia, in parrocchia, tra persone e nazioni», così scriveva mons. Pezzi a settembre, in una lettera diffusa da Agensir. Come vedremo, l’arcivescovo parla del perdono in termini molto concreti, senza nascondersi le difficoltà e i drammi del presente. A partire dalle persone che mancano all’appello, per esempio tra i giovani maschi chiamati alle armi («c’erano persone che vedevo abitualmente e che ora non vedo più», dice l’arcivescovo). Ma anche lontano dal fronte si vive un «clima di tensione, incertezza e sfiducia» e «una violenza verbale molto diffusa: io stesso ne sono vittima». Non ci sono persecuzioni come in quei Paesi che vedono le chiese sotto attacco ma «questo clima resta», dice mons. Pezzi. E in una situazione in cui i cattolici sono sparuta minoranza come testimonia il libro-intervista dell’arcivescovo: La piccola Chiesa nella grande Russia (Ares, Milano 2022).

Nella lettera di settembre diceva che la pace sembrava lontana, ma «adesso quali segnali coglie?», chiede Cascioli. «Purtroppo non colgo segnali positivi, di disponibilità al dialogo». Neanche il desiderio di «sedersi al tavolo per mangiare qualcosa di buono e bere un bicchiere di vodka». Occorre almeno «un briciolo di esperienza che questa pace è più conveniente. È difficile, ma non c’è altra strada oggi». In effetti, afferma Cascioli, «diventa veramente difficile parlare di perdono con le armi che ancora sparano», o quando hai visto morire figli e familiari.

Mons. Pezzi non risponde con teorie sul perdono, ma rievoca un episodio estremamente eloquente dei suoi anni da seminarista a Roma, quando incontrò una donna con tre figli, cui avevano ammazzato il marito. «Don Giussani le disse: “Cerca di perdonare, converrà a te e anche ai tuoi figli”. E questa signora mi diceva: “Sai, è vero. Non provo odio, vado a letto tranquilla. Certo, il dolore è grande, ma io sto costruendo la vita, la pace, il bene di questo Paese con il perdono”». E aggiungeva che era vero anche riguardo al bene dei suoi figli, che crescevano «senza la paura né il desiderio di farsi giustizia… Questa donna», continua mons. Pezzi, «aveva la chiara percezione che l’esperienza del perdono ricostruiva non solo la sua vita e quella della sua famiglia, ma il tessuto sociale dell’Italia. È questa coscienza che chiedo ai miei fedeli», confida l’arcivescovo, «finora con pochissimo successo...».

Ne deriva che «la pace di Cristo non è un fatto soltanto spirituale, privo di conseguenze sulla vita quotidiana. E persino politiche»: a tale proposito Cascioli riprende un altro elemento messo in evidenza da mons. Pezzi: «Trovare una via d’uscita che non faccia sentire nessuno sconfitto è possibile solamente con il sacrificio di sé». Forse è per questo, prosegue, che «tutti parlano di pace... ma alla fine nessuno cerca una soluzione». Mons. Pezzi conferma che «purtroppo è vero» e che l’unica voce a levarsi in tal senso è quella della Chiesa, con le offerte di mediazione avanzate in prima persona da papa Francesco. «Non per nulla noi vescovi cattolici qui in Russia abbiamo richiamato più volte la necessità di pregare e digiunare: non per un do ut des nei confronti di Dio ma per disporre noi stessi al sacrificio e quindi a iniziare a perdonarci, partendo dai vescovi, dalle famiglie, dalle parrocchie...».

Abbiamo un compito anche noi che siamo lontani (per ora) dai teatri di guerra. Mons. Pezzi torna di nuovo agli anni del seminario: «Il padre spirituale mi diceva: “Offri quello che stai facendo (la fatica, la malattia, lo studio, ecc.), offri tutto: tu non sai a cosa servirà, magari salverà un bambino da un aborto in Giappone e forse non lo saprai mai, ma il tuo sacrificio non resta senza frutto davanti a Dio”».

«Luce» e «pace» sono due parole ricorrenti nella liturgia del natale. Rivolgendosi ora a Gerusalemme (e a fra’ Diego) Cascioli rievoca l’ennnesimo paradosso: «proprio nella terra dove si è incarnato il Signore della pace, sembra addensarsi da tempo la voglia di guerra». La parola pace è persino inflazionata, risponde fra’ Diego, al punto che «stiamo attenti a pronunciarla, perché poi ciascuno la interpreta a modo suo... Ma solo nel Signore possiamo trovarla». Solo in quella visione che ci permette di guardare oltre: «Non dire a Dio quanto sono grandi i tuoi problemi, ma dì ai tuoi problemi quanto è grande Dio: cioè, bisogna avere una visione di fede anche su queste situazioni. È questo che ci permette di vivere l’appartenenza a Cristo pur trovandoci dentro un uragano».