Verbali Cts, scienza asservita a una spietata ragion di Stato
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Quel che emerge dalla pubblicazione dei verbali del Comitato Tecnico Scientifico ai tempi della campagna vaccinale di massa è una ragion di Stato sorda alle evidenze scientifiche, pronta a passare sopra tutto, anche la morte dei giovani vaccinati, pur di «servire le istituzioni».
- Il libro Vaccinocrazia

Raramente è successo che la pubblicazione di un resoconto di un organismo dello Stato, per quanto consultivo, suscitasse tanta indignazione e contemporaneamente non producesse la benché minima sollevazione politica e istituzionale. Il caso dei verbali del Cts, il comitato tecnico scientifico incaricato dal Ministero della Salute di supportare le decisioni sulla campagna vaccinale, resi pubblici dal quotidiano La Verità ci stanno offrendo uno spaccato inquietante di divisioni, errori, interessi politici e zuffe tra scienziati che all’epoca della vaccinazione di massa non si sarebbero mai sospettate.
Ricordate? Il Cts era diventato l’organo supremo, la “Cassazione” dietro la quale Roberto Speranza e tutti i governi pandemici si trinceravano per non rispondere alle numerose obiezioni che prima la gestione del Covid e poi la campagna vaccinale suscitavano. «L’ha detto il Cts»; «l’ha deciso il Cts»; «c’è il parere favorevole del Cts». Oggi sappiamo che quel parere è arrivato molto spesso dietro pressioni politiche più o meno velate, costringendo i suoi componenti dubbiosi ad essere tacitati e messi in minoranza perché quel che conta «è la posizione unitaria del comitato», come più volte il suo presidente Franco Locatelli (già presidente del Consiglio superiore di Sanità) andava dicendo ogni qual volta emergevano posizioni dissonanti sulle modalità di somministrazione di alcuni vaccini.
Ma è proprio dentro queste divisioni che si può comprendere come la campagna vaccinale di massa abbia proceduto per interessi politici, superiori addirittura alle evidenze scientifiche, che nel frattempo stavano emergendo e che stavano delineando i vaccini come un qualche cosa di estremamente più pericoloso per la salute dei cittadini, di quanto si diceva trionfalmente in pubblico.
Il merito del quotidiano diretto da Maurizio Belpietro, che ha pubblicato in diverse puntate i verbali del Cts acquisiti durante il processo penale a carico dei medici che vaccinarono Camilla Canepa, sta proprio nell’aver mostrato che la tanto esibita sicurezza scientifica mostrata dal ministro di allora, Roberto Speranza, non era altro che una forzatura.
Lo vi vede chiaramente guardando il video dell’11 giugno 2021, dunque appena dopo la morte della povera 18enne di Sestri Levante.
I membri del Comitato discutono sull’opportunità di proibire Astrazeneca sotto i 60 anni, di cambiare le modalità di somministrazione, di riservare la vaccinazione con quel vaccino solo a determinate fasce di età o a determinati generi o addirittura razze. E la consapevolezza dei rischi è tangibile presso quasi tutti. Poi però, sempre per il principio dell’unità, si deve arrivare ad una posizione univoca e le contrarietà devono essere assorbite.
Come quando Giovanni Rezza, della direzione della Prevenzione sanitaria del Ministero lamenta che non si può attendere per le decisioni il parere del Cts. E minaccia di chiedere di essere sollevato dall’incarico di componente del Comitato tecnico: «Una persona sta bloccando i lavori perché c’è una ragazza che è morta». A quel punto gli fa eco Fabio Ciciliano, della Protezione civile: «Non te lo consento perché se si fosse lavorato in maniera diversa non sarebbe morta». Sono frasi pesantissime, che esprimono il forte disagio di scienziati abituati a lavorare con evidenze scientifiche alla mano, doversi invece adattare alle esigenze politiche di «un Ministro che alle 16 deve andare in conferenza stampa e vuole avere una posizione del Comitato».
O come quando, sempre nella stessa seduta, Giuseppe Ippolito, infettivologo ed ex direttore generale del Ministero della Salute, avverte che sui vaccini a fattore adenovirale (Astrazeneca e Johnson and Johnson) il parere dei CDC americani è negativo perché su alcune donne in età il rischio è più alto. Rezza, allora, lo stoppa: «Attenzione perché sarebbe la prima volta che si introduce il genere in una vaccinazione di massa!». Considerazione condivisa da Locatelli.
Il quale poi, proprio verso la fine della seduta durata oltre tre ore, si rende protagonista con la frase più agghiacciante: «Dico una cosa anche io adesso: io rimango fermamente convinto delle evidenze che non supportano una decisione come questa, ma siccome mi hanno insegnato che le istituzioni si servono e non ci si serve delle istituzioni, per evitare lacerazioni do una mia approvazione non convinta, che non resta a verbale. Rimane a verbale l’approvazione, ma tra di noi dico che non sono affatto convinto e che non abbiamo valorizzato l’evidenza scientifica, ma per me va bene proprio per servire le istituzioni».
Una frase che si commenta da sé e che si spiega probabilmente soltanto se si entra dentro una ragione di Stato sorda a qualunque principio etico, refrattaria a considerare prima delle esigenze politiche la realtà scientifica, cinica e quasi spietata nel non fermarsi di fronte a nulla. Neppure di fronte alla morte di una giovane di 18 anni e non solo a quella.
Una ragion di Stato che è stato il principale motore della campagna vaccinale, che doveva vederci tutti vaccinati secondo il dettato draghiano del «non ti vaccini, ti ammali, fai morire, muori».
Per poter imporre i vaccini col Green pass, bisogna avere la comunità scientifica concorde e per nulla in disaccordo come invece era. Si è proceduto sul fronte mediatico aumentando l’infodemia, colpevolizzando i medici critici ed emarginandoli, dando spazio in tv, anzi sovraesponendo fino alla nausea solo i super entusiasti che magari non avevano nemmeno mai letto un solo report.
Ma bisognava anche addomesticare quegli scienziati che, pur essendo dentro la stanza delle decisioni, avevano anch’essi dubbi, perplessità, esponevano criticità palesi e motivate. Perché le istituzioni dovevano venire prima. E dunque le istituzioni sono la vera ragion di Stato per cui oggi di fronte a questi verbali non si sta sollevando un polverone politico mediatico che in altre occasioni e per altri argomenti, sarebbe sicuramente già scoppiato.
Molto lavoro dovrà fare la Commissione parlamentare di inchiesta Covid che ha già detto (anche dalle nostre colonne) di voler audire i membri del Cts e di acquisire quei video. Si troverà a dover lottare non contro i singoli scienziati, ma contro una ragion di Stato che è la vera responsabile delle morti inaspettate e delle migliaia di danneggiati da vaccino ancora oggi invalidi. Una ragion di Stato che però, calata nella realtà, dovrà avere dei nomi e dei cognomi ben precisi di fronte ai quali la Giustizia di questo Paese non dovrebbe restare inerte.