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Tutti via dal Niger, l'Italia resta a rifare la moschea

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L'unica rappresentanza occidentale rimasta dopo il golpe è quella italiana. Difficile condividere l'orgoglio dei nostri militari per il rifacimento del luogo di culto islamico della capitale, già teatro di attacchi anticristiani.

Attualità 16_04_2024
UFFICIO IMAGOECONOMICA

L’11 aprile il generale Francesco Paolo Figliuolo, durante la sua audizione alle Commissioni affari esteri e difesa di Camera e Senato, ha annunciato che la missione bilaterale italiana di supporto in Niger, Misin, continuerà perchè è di primaria importanza consolidare la presenza italiana nel Paese. A tal fine nei prossimi mesi il personale potrebbe essere raddoppiato e superare le 500 unità (attualmente sono circa 250). Inoltre è prevista la dotazione di altri cinque elicotteri e aerei che si aggiungeranno a quelli già in uso e ai mezzi di terra di cui la missione dispone.

La Misin è iniziata nel 2018 per aiutare a rafforzare il controllo dei territorio, oltre che in Niger, in Mali, Mauritania, Chad e Burkina Faso e per svolgere attività di formazione, addestramento, consulenza e assistenza delle istituzioni governative nigerine. Da allora gli istruttori italiani hanno svolto 381 corsi di formazione ai quali hanno partecipato 9.235 militari nigerini e sono state organizzate diverse attività destinate alla popolazione: donazione di materiale informatico, di attrezzature sanitarie e farmaci, formazione di personale paramedico, donazione di materiale didattico e tecnico per le scuole, contributi alla bonifica di aree a rischio malaria, donazione di attrezzature sportive destinate ai giovani.

Ma il 26 luglio 2023 i militari hanno destituito il presidente Mohamed Bozoum e hanno preso il potere. Nei mesi successivi hanno progressivamente reciso i rapporti con i Paesi europei, con gli Stati Uniti, presenti nel Paese con due basi militari, e con l’Ecowas, la Comunità economica dei Paesi dell’Africa occidentale. Hanno detto di voler d’ora in poi evitare ogni forma di dipendenza dall’Occidente, di voler fare da soli, in collaborazione con gli altri due stati vicini governati dai militari, Mali e Burkina Faso, anch’essi usciti dall’Ecowas che peraltro li aveva già sospesi in seguito ai golpe. Con la Francia – ex madrepatria – hanno interrotto anche i rapporti diplomatici. Entro la fine del 2023 tutti i Paesi europei hanno ritirato le loro truppe e gli Stati Uniti hanno ricevuto ordine di fare altrettanto.

Il Niger è un Paese di importanza strategica. È attraversato da una delle rotte più usate dalle reti criminali che organizzano i viaggi degli emigranti illegali ed è sede di uno dei maggiori hub, la città di Agadez, in cui gli emigranti si concentrano in attesa di provare a entrare in Libia e Algeria, attraversare il deserto del Sahara e raggiungere le coste meridionali del Mediterraneo. Accordi raggiunti con l’Unione Europea avevano ridotto i flussi illegali. Invece a fine 2023 la giunta militare ha abrogato la legge che perseguiva i trafficanti e subito le loro attività sono riprese. In Niger inoltre, nel 2022, la Francia e gli alleati europei avevano trasferito, su invito del presidente Bozoum, la base delle loro operazioni contro i gruppi jihadisti attivi nel Sahel, soprattutto in Mali, Burkina Faso e Niger, che per oltre 10 anni era stata nel vicino Mali, Paese divenuto sempre più inaffidabile da quando nel 2021 i militari hanno compiuto il secondo colpo di Stato.

Adesso quella italiana è l’unica rappresentanza occidentale rimasta, i pochi soldati Usa della base 201 potrebbero lasciare il Niger a giorni. Di qui deriverebbe l’importanza di rafforzare la Misin, d’accordo con gli alleati occidentali, per non lasciare «spazi di manovra all’allargamento della presenza di altri attori nella regione», ha spiegato il generale Figliuolo. «L’Italia è l’interlocutore privilegiato del Paese», ha assicurato. Mai quanto la Russia, però, come dimostrano gli ottimi rapporti stabiliti dalla giunta militare con Mosca, tradottisi nella promessa di aiuti militari, promessa che si è concretizzata il 12 aprile con l’arrivo di un primo gruppo di paramilitari del Russian Expeditionary Corps, incaricati di assistere e addestrare i soldati nigerini. Con loro è arrivato un cargo pieno di attrezzature militari speciali. La televisione di Stato nigerina ne ha ripreso le operazioni di scarico.

Si vedrà presto, già nei prossimi mesi, se l’Italia avrà fatto bene a rimanere in Niger diventando uno dei pochi Stati che legittimano di fatto la giunta militare. La stessa Unione Africana ha sospeso il Niger, come fa con tutti i Paesi in cui le istituzioni democratiche vengono meno. «Le autorità nigerine hanno dichiarato il prossimo avvio del processo di democratizzazione con un piano di transizione per il ritorno all’ordine costituzionale», ha spiegato il generale Figliuolo che è stato in Niger a marzo. Bisogna crederlo se si vuole restare nelle grazie dei militari, ma è quel che dicono tutti. In Sudan è dal golpe del 2019, in Mali da quello del 2020, in Burkina Faso e in Guinea Conakry dal 2022 che si aspetta l’avvio della transizione democratica promessa. In Mali, non solo, l’11 aprile la giunta militare ha sospeso tutte le attività politiche fino a nuovo ordine. Per ripristinare le istituzioni democratiche in Niger non c’è bisogno di un processo di transizione. Basterebbe che i militari liberassero il presidente Bozoum e gli consentissero di riassumere la sua carica. 

Rende ancora più delicata e insidiosa la solitaria missione italiana il problema di come porsi rispetto alla difficile situazione della minoranza cristiana. Il Niger è a maggioranza musulmana e oltre tutto è infestato da gruppi jihadisti. La classifica 2024 dell’onlus Open Doors dei 50 stati in cui i cristiani sono più duramente perseguitati lo colloca al 27 posto, dopo il Bangladesh e prima della Repubblica Centrafricana. Uno dei momenti peggiori per la piccola comunità cristiana fu quando nel 2015 la popolazione si scatenò contro di loro per reazione alla pubblicazione delle vignette satiriche su Maometto che costarono la vita ai redattori della rivista Charlie Hebdo. Attorno alla Grande Moschea della capitale Niamey si radunarono per giorni folle inferocite per poi attaccare e saccheggiare bar, alberghi, negozi e case di cristiani. Sette chiese furono saccheggiate e date alle fiamme.   

Davvero non è facile condividere la soddisfazione e l’orgoglio con cui le autorità militari italiane l’11 aprile hanno annunciato il completamento dei lavori di ristrutturazione della Grande Moschea, realizzati grazie al sostegno promesso dal generale Massimo Marceddu allo sceicco Djibril Djermakoye Karanta, imam della Grande Moschea e presidente dell’Associazione islamica del Niger. «Dal 1° al 29 marzo sono stati eseguiti i lavori di rifacimento di alcune parti della moschea, e sono stati donati sistemi di climatizzazione nelle stanze principali del luogo di culto musulmano – ha dichiarato il generale Marceddu – ogni soldato della Misin mette il cuore in quello che fa per questo bel Paese». 



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