Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
San Girolamo a cura di Ermes Dovico
MEDIO ORIENTE

Trump e Netanyahu raggiungono l'accordo: c'è il piano di pace per Gaza

Ascolta la versione audio dell'articolo

Netanyahu e Trump annunciano l'accordo di pace per Gaza, fra cui la deradicalizzazione della Striscia e la fine del governo di Hamas. Un'organizzazione internazionale gestirà la Striscia. 

Esteri 30_09_2025
Netanyahu e Trump (La Presse)

Dopo quasi due anni di guerra, l’accordo per il cessate il fuoco a Gaza e la liberazione degli ostaggi è stato raggiunto alla Casa Bianca, nel corso di un incontro tra Donald Trump e Benjamin Netanyahu. Il piano denominato “Pace per il Medio Oriente”, predisposto dall’Amministrazione americana, che è stato accettato, controvoglia, dal primo ministro israeliano, prevede, tra l’altro, che la Striscia di Gaza diventi una zona deradicalizzata e libera dal terrorismo, in modo da non rappresentare una minaccia per i paesi vicini, e riqualificata a beneficio della sua popolazione, che tanto ha sofferto in questi due anni. Gli ostaggi, nelle mani di Hamas, dovranno essere liberati entro 72 ore, vivi o morti; in cambio, Israele libererà decine di prigionieri palestinesi. Gaza non sarà amministrata dall’Autorità palestinese, ma da un’autorità civile, composta da personalità internazionali, anche arabe, mentre Israele conserverà il controllo della sicurezza. Nel corso del colloquio, su suggerimento del presidente americano Netanyahu ha contattato telefonicamente il suo omologo del Qatar, Mohammed bin Abdulrahman al-Thani, scusandosi per la violazione della sovranità qatariota nell'attacco di Doha, contro la dirigenza di Hamas, il 9 settembre scorso, assicurando che in futuro non sarebbero più accaduti simili fatti.

Al termine della conferenza stampa congiunta tra Netanyahu e Trump, Tahir al-Nunu, funzionario di Hamas, parlando sul canale televisivo Al-Arabi del Qatar, ha dichiarato: «La resistenza armata è un diritto del popolo palestinese finché esiste l'occupazione. Se il popolo palestinese sarà liberato e verrà creato uno Stato palestinese, allora non ci sarà più bisogno né di resistenza, né di armi». E ha poi concluso: «Siamo pronti a rilasciare tutti i prigionieri che deteniamo, sia vivi che morti, ma non accetteremo l'imposizione di una tutela straniera sul nostro popolo, siamo capaci di autogestirci».

Un faccia a faccia teso, quello tra Trump e Netanyahu. Pochi sorrisi. Ma i due leader, prima dell’incontro, sono apparsi, a beneficio delle telecamere, con il pollice innalzato. Poco prima del colloquio, l’emiro del Qatar aveva rassicurato il presidente americano di aver fatto pressione su Hamas per l’accettazione del piano. Anche gli Emirati Arabi, da parte loro, avevano intrapreso un’azione pressante sul primo ministro Netanyahu, affinché accogliesse la proposta del presidente americano e abbandonasse qualsiasi proposito di annessione della Cisgiordania.

Mentre a Washington si parlava di pace, nella Striscia l’aviazione e l’artiglieria israeliane intensificavano gli attacchi su Gaza City, provocando ancora morti e distruzione. Ieri e nella giornata di domenica scorsa, in tutte le chiese della Terra Santa, si è pregato per la pace in quella martoriata terra, che da oltre settecentoventi giorni, sta sopportando una dura e sanguinosa guerra. Una pace che tutti sognano: sia i palestinesi di Gaza che quelli della Cisgiordania, ma anche gli stessi israeliani, esausti nel vedere i propri figli costretti a combattere e morire, e nell’impotenza disperata di riportare a casa gli ostaggi ancora in vita. Le parole e il piano proposto dal presidente americano, Donald Trump, hanno riportato un po’ di fiducia e speranza. Una speranza che tutti si augurano non sia vana e illusoria, come invece sta accadendo da tanto, troppo tempo. L’aspettativa è di un cessate il fuoco duraturo, della liberazione degli ostaggi, e di un pasto da rimediare senza il rischio di essere ammazzati mentre si è in fila per ricevere qualcosa. Ma forse questa volta sarà diverso. Il progetto della “Riviera del Medio Oriente” sembra accantonato, ci si è probabilmente resi conto che un simile piano comportava, dopo l’eccidio di migliaia di palestinesi, ciò che non poteva che essere definita una vera e propria pulizia etnica. Nel frattempo, nella Striscia, la gente non ha più le forze per continuare a fuggire da un posto all’altro. Spera che quello che è stato deciso, ieri, nello Studio Ovale diventi realtà e non si dissolva, come nei precedenti negoziati, in reciproche accuse.

A Gaza, comunque, quello spiraglio di speranza si misura con l’istinto di conservazione, la ricerca di un riparo per la notte, in qualche rudere di un’abitazione ancora in piedi, sotto una tenda o ai bordi di quello che rimane di una strada. È l’istinto di sopravvivenza che spinge alla ricerca di un medicinale per curare le ferite inferte dalle bombe dell’esercito israeliano e il sogno di un padre di non ritrovarsi tra le braccia il figlio morto senza alcuna colpa. La speranza non abbandona neanche quei ragazzi malnutriti che sognano di andare a scuola, uscire dal recinto nel quale sono stati rinchiusi, in quei luoghi dove la loro dignità è stata calpestata, umiliata.

Negare che a Gaza l’umanità sia stata schiacciata è assurdo. Nonostante i vani discorsi, quei pochi cristiani, che ancora risiedono in quei luoghi devastati, e la maggioranza musulmana, sopravvivono solidali, accomunati nella sofferenza. La solidarietà, che ha radici ben più profonde di questo assurdo conflitto, è evidente: si vuole restare in quella terra da sempre condivisa. La testimonianza ha un valore immenso che sostituisce l’indifferenza e la disperazione. Cosa rimane dell’umanità se cancelliamo la testimonianza?

È in questo clima che si è alzata, in questi giorni, la voce di Jonathan Polin, di Gerusalemme, padre di Hersh Goldberg-Polin, 23 anni, il giovane rapito dal gruppo terroristico di Hamas durante il festival musicale Supernova, il 7 ottobre 2023, e assassinato durante la prigionia: «Non gioisco per le uccisioni. Neanche per la soppressione dell’uomo che ha ammazzato mio figlio. Non gioirò finché tutti gli ostaggi non saranno tornati nelle loro case».