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USA

Trump approva i piani di attacco all'Iran, ma per ora non interviene

Trump avrebbe già approvato un piano di intervento militare statunitense contro l'Iran, a sostegno di Israele. Ma non dà l'ordine di eseguirlo, spera ancora in una soluzione negoziale.

Esteri 19_06_2025
Trump con i giocatori della Juventus

Usa in guerra al fianco di Israele e contro l’Iran? Se ne è parlato per tutto ieri, mercoledì 18 giugno, al quinto giorno di conflitto Israele-Iran. Il presidente Donald Trump, nello Studio Ovale della Casa Bianca, mentre riceveva i giocatori della Juventus, ha ribadito il concetto che l’Iran fosse “a poche settimane dall’avere armi atomiche”, giustificando dunque l’attacco preventivo israeliano. Nel cortile della Casa Bianca, ha rimproverato un’altra giornalista che gli chiedeva se avesse o meno l’intenzione di condurre raid contro gli impianti nucleari iraniani. «Vuole veramente che risponda a questa domanda? – ha risposto Trump, concludendo – Posso farlo, così come posso non farlo».

In realtà tutte le opzioni sono sul tavolo e, come riferiscono fonti vicine alla Casa Bianca al Wall Street Journal, i piani di intervento sono pronti e sono anche stati già approvati dal presidente. Che poi Trump dia l’ordine di eseguirli o meno, è un altro discorso. Il presidente americano ha deciso di attendere e vedere come reagirà l’Iran, nel caso il regime di Teheran decidesse di accettare l’accordo sul nucleare proposto dagli Usa. Tutto il dire-disdire sull’attacco degli Usa va letto come una operazione di guerra psicologica per indurre Khamenei ad accettare le condizioni americane: smantellamento dell’attuale programma nucleare, rinuncia al materiale fissile, importazione del carburante per impianti nucleari civili da un consorzio di fornitori esteri.

La guerra a parole fra Iran e Usa è iniziata con lo scambio di battute a distanza, martedì 17 sera, fra Trump che chiede la “resa incondizionata” all’Iran e Khamenei che risponde, in un discorso che l’Iran “non si arrenderà mai” e che un eventuale intervento americano potrebbe portare a “danni irreparabili”. Per rendere più concrete le parole, gli Usa hanno notevolmente rafforzato il loro apparato militare nel Golfo Persico, inviando un altro gruppo da battaglia, centrato sulla portaerei Nimitz, ad unirsi a quello, già presente nell’area, della portaerei Vinson. Le basi di terra nel Golfo, in Qatar ed Emirati, hanno ricevuto rinforzi di nuove squadriglie di F-35. Una squadriglia di potenti caccia F-22 è stata trasferita in Europa, nel Regno Unito. E soprattutto, a mo’ di minaccia latente, a Diego Garcia stazionano i bombardieri strategici B-2. Questi ultimi sono in grado di portare bombe Gbu-57 “bunker buster”, considerate le uniche in grado di penetrare la roccia e gli strati di cemento armato che proteggono l’impianto di Fordow, uno dei siti nucleari principali in Iran.

Però, appunto, Trump si riserverà fino all’ultimo la possibilità di restare fuori dal conflitto (pur aiutando Israele) o di intervenire direttamente con missioni di bombardamento. Le fonti del Wall Street Journal affermano che il presidente degli Usa sia ancora dell’idea che la soluzione migliore sia ancora quella negoziale.

Intanto si scatena la battaglia politica, anche all’interno della stessa maggioranza repubblicana. Ad alimentare l’opposizione all’appoggio statunitense ad Israele sono soprattutto quegli stessi giornalisti e podcaster che hanno contribuito alla vittoria elettorale di Trump, come Tucker Carlson (che ieri si è preso a male parole con il senatore repubblicano Ted Cruz, favorevole all’intervento) e Joe Rogan. Anche all’interno dell’amministrazione, Tulsi Gabbard, direttrice dell’Intelligence Nazionale, dissente apertamente dalla linea del presidente. Il suo rapporto dello scorso marzo smentisce che l’Iran avesse l’intenzione di costruire armi nucleari. Trump, a domanda, risponde: "Non mi importa cosa abbia detto lei". Secondo fonti del quotidiano Politico, il rapporto fra la Gabbard e Trump si starebbe incrinando rapidamente. Al punto da ipotizzare, non solo il licenziamento della Gabbard, ma anche la soppressione del suo ufficio, che verrebbe inglobato dalla Cia.

Anche il Congresso si divide in modo trasversale: progressisti, nazionalisti “Maga” e libertari hanno formato un fronte anti-intervento nella guerra in Iran. Mentre Trump tornava dal G7 del Canada, il deputato repubblicano Thomas Massie e il suo collega democratico Ro Khanna, firmavano un progetto di legge per obbligare il presidente a chiedere l’autorizzazione del Congresso prima di qualsiasi azione armata contro l’Iran. Per motivi di fedeltà al presidente, Marjorie Taylor Greene, una delle donne più in vista del movimento Maga, non lo ha firmato, ma ha espresso tutta la sua opposizione alla politica di Trump sull’Iran. Fra due fuochi anche il vice presidente JD Vance: per ora si sgola per difendere le scelte di Trump, ma ha fatto rapidamente carriera come isolazionista, contrario a tutte le “guerre americane” ed era soprattutto per questo che era stato scelto (su suggerimento del figlio Donald Trump jr e di Tucker Carlson) come vice nel ticket presidenziale.

Anche per questo motivo, per non lacerare la sua stessa base di sostenitori, è difficile pensare che Trump ordini un intervento in Iran. Più facile prevedere che continui a sostenere Israele, con armi e intelligence, permettendo a Netanyahu di completare il lavoro di smantellamento del programma nucleare. Per gli isolazionisti è già inaccettabile questo tipo di impegno, a detta loro gli Usa non dovrebbero spendere neppure un solo dollaro per guerre all’estero. Ma l’amministrazione Trump, seguendo l'attuale linea di appoggio esterno a Israele (e neutralità formale), non correrebbe grossi rischi politici.