Tensioni in India alla St Rita School
Una studentessa musulmana ha preteso di frequentare la scuola cattolica indossando l’hijab sopra l’uniforme scolastica e ne è nato un contezioso

Open Doors, l’organizzazione che ogni anni pubblica un rapporto sui cristiani perseguitati nel mondo e la classifica dei 50 in cui essere cristiani è più difficile, distingue due tipi di persecuzione: quella violenta e quella che chiama “pressione”, fatta cioè di vessazioni. La frequenza e la gravità delle vessazioni può far sì che un paese occupi una posizione alta nella classifica di Open Doors anche se la violenza fisica è rara. È il caso dell’India che nel 2025 compare all’11° posto ed è uno dei 13 paesi in cui la persecuzione è considerata “estrema” anche se vi si sono registrati meno casi di violenza rispetto ad esempio alla Repubblica Democratica del Congo dove il gruppo jihadista ADF ogni anno attacca e uccide decine di cristiani e che tuttavia si trova al 35° posto. Rientra nella categoria delle vessazioni l’attacco nel Kerala, uno degli stati indiani, a una scuola, la St. Rita School di Palluruthy gestita dalla chiesa cattolica, accusata di intolleranza per aver probito a una studentessa musulmana di assistere alle lezioni indossando l’hijab, il velo islamico. La studentessa in questione, che per mesi aveva frequentato indossando l’uniforme prescritta, era arrivata a scuola il 7 ottobre indossando il velo e per questo le era stato negato l’ingresso, perché così vestita non rispettava il codice di abbigliamento prescritto dalla scuola. Con gentilezza, le autorità scolastiche spiegano, le era stato chiesto di togliere il velo e lei lo aveva fatto. Poi però il 10 ottobre la stessa studentessa si è di nuovo presentata con l’hijab e il caso è degenerato in una lite accesa tra la direzione scolastica e i genitori della ragazzina secondo i quali le autorità scolastiche hanno assunto un atteggiamento duro e offensivo nei loro confronti. Per evitare ulteriori tensioni genitori e insegnanti hanno chiuso la scuola per due giorni. La direzione scolastica alla riapertura ha poi chiesto la presenza della polizia. Sulla questione è intervenuto anche il ministro dell’istruzione del Kerala, Vasudevan Sivankutty, che dapprima ha dato ragione alla scuola, dicendo che l’uniforme prescritta dall’istituto doveva essere rispetta, poi però ha cambiato atteggiamento ed è arrivato a ingiungere alla scuola di consentire alla ragazza di frequentare le lezioni con l’hijab invocando “diritti costuzionali” inviolabili – la libertà di religione e il diritto allo studio – e ad accusare la scuola di gravi mancanze che sarebbero state rilevate da una indagine. La direzione scolastica ha negato con delle prove l’esistenza di mancanze e ha richiamato una ordinanza dell’Alta corte del Kerala del 2018 che riconosce il diritto delle scuole private di decidere le loro uniformi. A quel punto un partito, il National’s People Party, si è schierato a sua volta con la scuola sostenendo che il caso della St Rita School “fa parte di una più ampia e ben orchestrata cospirazione volta a creare paura e tensione religiosa”. In un editoriale il quotidiano cattolico Deepika a questo proposito osserva: “coloro che hanno chiesto sale di preghiera nelle scuole cristiane ora si sono fatti avanti per rivendicare il diritto di indossare l’hijab”. “Coloro che cercano di creare disordini in altre istituzioni in nome dell’hijab, usando i bambini – aggiunge l’editoriale – devono essere puniti. Altrimenti non ci sarà bisogno di indagare a fondo sulle cause dell’islamofobia”.