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LA DERIVA

Sinodo italiano, la Cei vuole una Chiesa senza maestri

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Un libretto della CEI (Si avvicinò e camminava con loro) parla di una «fraternità culturale» che escluda «intenti apologetici». Alle risposte del Magistero si preferiscono le domande, nel segno di una Chiesa fluida.

Editoriali 21_08_2023

Non di solo Sinodo sulla sinodalità vivrà l’uomo. Esistono anche i sinodi nazionali. A questo proposito ci perdoneranno i lettori più devoti, ma non ci eravamo proprio accorti di essere nel pieno del Cammino sinodale italiano, iniziato due anni fa con la fase narrativa. Ora siamo nella fase sapienziale che durerà fino al 2024. Poi tra il 2024 e il 2025, se lo Spirito Santo acconsentirà e non ci saranno cose più importanti da fare, si aprirà la fase profetica.

La Conferenza Episcopale Italiana (CEI) ha pubblicato un libretto dal titolo Si avvicinò e camminava con loro il cui sottotitolo così recita: Linee guida per la fase sapienziale delle Chiese in Italia. “Chiese” al plurale. Ambiguità voluta: si fa riferimento alle singole Chiese diocesane, ma allo stesso tempo si smercia sottobanco il pluralismo ecclesiale. Un giorno quell’“una” riferita alla Chiesa e presente nel Credo starà ad indicare una confederazione di chiese. Basta avere pazienza e attendere.

Torniamo al libretto. È il solito documento anarco-clericale – “anarco” perché propone una chiesa in cui regna il “liberi tutti” e non gerarchica – madido di noia: 34 pagine, il cui percepito si aggira intorno alle 300. Nulla di nuovo sotto il sole. Le parole chiave, per aprire porte sul vuoto, sono sempre le stesse: cammino, accoglienza, inclusività, ascolto, dialogo, esperienza, discernimento. Insomma una chiesa che è una via di mezzo tra un B&B e un consultorio. La verbosità elevata al cubo di questo documento, che per generazione spontanea produrrà altri documenti simili e altri e altri ancora, trova un parallelo nel numero di organismi coinvolti nel processo sinodale: abbiamo un Comitato nazionale del Cammino sinodale, l’Assemblea dei referenti diocesani, Commissioni locali «che si coordineranno, per il tramite della Segreteria Generale e nell’ambito delle proprie competenze anche con i Vescovi delle Commissioni episcopali, i Direttori e i Responsabili degli Uffici, dei Servizi e degli Organismi della CEI». Tutto questo lavoro, ça va sans dire, non sfiorerà minimamente il credente ordinario. Ed è solo un bene.

Il contenuto è vario e avariato. Infiniti sarebbero gli esempi. Peschiamo allora nel mucchio. Capitoletto La sfida della fraternità culturale. Leggiamo: «Impegnarsi per una fraternità culturale non deve portare con sé intenti apologetici, ma intenzioni di ascolto e di condivisione. Sono le domande dell’uomo di oggi che possono suscitare nuove luci dalla rivelazione evangelica. In questo senso, l’annuncio non sarà lo sforzo di veicolare in modo più accattivante formule consolidate, ma di trovare insieme una rinnovata sintesi cristiana scaturita dal confronto con la reale condizione umana odierna, con i suoi saperi, le sue conoscenze del mondo. Si sente il bisogno di un nuovo discorso cristiano che si lasci sollecitare, in una vera fraternità culturale, dal contesto contemporaneo».

Dalla fraternità di fede – concetto già abbastanza liquido – siamo passati ad una fraternità meramente culturale. Nemmeno fondata su princìpi comuni, ma sulle differenze. Differenze che, a quanto pare, sempre arricchiscono e mai impoveriscono, anche quando sono contrarie alla dottrina. Insomma tutti fratelli perché tutti ascoltano tutti (mera utopia, tra l’altro). Le risposte magisteriali sono sostituite da domande e da queste, magicamente, sorgeranno «nuove luci». Il dubbio scalza la verità. Bandita allora l’apologetica ossia la difesa, alla luce della ragione, delle verità di fede e di morale. San Pietro ci comandava di dare ragione della speranza che è in noi (1 Pietro 3,15). La Cei ci comanda di prendere appunti e imparare quando gli altri parlano. Fossero anche atei.

Il processo è schiettamente hegeliano: la sintesi viene dagli apporti antitetici di chi ascoltiamo. Si trova una via comune, un compromesso che a sua volta sarà la tesi o l’antitesi di un nuovo processo dialettico. La verità nasce dal basso, non certo dall’alto, ossia da Dio che l’ha depositata nella Chiesa. Divieto d’accesso dunque per le «formule consolidate», ossia per la dottrina, i dogmi, le verità rivelate. Così corriamo il rischio di essere rigidi. Occorre invece essere elastici, fluidi, sinuosi. Che si bruci tutto il vecchiume. La Cei ci fa capire che occorre ripartire da capo. Da portare al macero tutti i concili (eccetto il Vaticano II), la patristica, Tommaso d’Aquino, il Catechismo e le encicliche, ad esclusione di quelle pauperiste e green. Insomma tutto da rifare e senza maestri. In breve una chiesa in autogestione e piena di fedeli autodidatti.



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