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spagna

Sanchez, aborto in Costituzione negando la sindrome post aborto

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La proposta di legge del premier spagnolo che vuol inserire il diritto all'aborto in Costituzione negando la sindrome post aborto. Che invece esiste ed è documentatissima in letteratura scientifica. 

Vita e bioetica 15_10_2025

Il premier spagnolo Pedro Sanchez ha annunciato che porterà al Congresso dei Deputati una proposta di riforma costituzionale che vuole inserire in Costituzione il diritto d’aborto, così come è avvenuto in Francia. Molto difficilmente la proposta vedrà la luce perché per pamesassare è necessaria la maggioranza qualificata di due terzi del Congresso dei deputati.

Pare che la decisione sia stata presa dopo che Partido Popular e Vox sono riusciti a fare passare una mozione presso il comune di Madrid che obbliga il personale sanitario ad informare la donna che vuole abortire sui rischi della sindrome del post-aborto, ossia sui rischi psicologici connessi alla pratica abortiva, tra cui depressione, sensi di colpa, isolamento, anoressia, bulimia, ansia, irritabilità, preoccupazione, insonnia, difficoltà di concentrazione, abuso di alcol e droghe. Dopo le polemiche che inevitabilmente si sono accese, il sindaco di Madrid, José Luis Martinez Almeida, del Pp, ha assicurato che tale informazione sarà data solo «in maniera volontaria».

Il governo a questo proposito ha annunciato che si adopererà affinchè «tutte le informazioni che siano date in materia di Ivg abbiano base scientifica e siano sostenute dalle istituzioni internazionali, come l'Organizzazione Mondiale della salute (Oms) e l'Associazione Americana di Psichiatria (Apa), che non contemplano la pseudo sindrome post-aborto». Dunque il ragionamento è il seguente: dato che l’OMS e l’APA non riconoscono formalmente l’esistenza della espressione “sindrome post-aborto”, questa non esisterebbe, dunque abortire non provocherebbe nessun danno psicologico in capo alla donna.

Se andiamo a leggere la lettura scientifica sul tema dei danni psicologici del post-aborto scopriamo, invece, che moltissimi studi, seppur spesso non ricorrano alla locuzione “sindrome post-abortiva”, riconoscono che l’aborto provoca conseguenze psicologiche negative (tra i moltissimi esempi clicca qui, studio recente e di ampia portata e per ragioni di spazio in fondo a questo articolo i link in forma estesa).

In merito alla possibilità di attribuire dignità autonoma all’espressione “sindrome post-abortiva” citiamo due pareri, tra loro simili. Il primo è quello della dott.ssa Cinzia Baccaglini, psicologa e psicoterapeuta, che sulla Bussola così si espresse: «Nel mondo scientifico non c'è unità di vedute sul fatto che esista una "sindrome", ossia un insieme di correlati psicopatologici sempre uguali che ricorrono tutti insieme in qualsiasi persona dopo un aborto. Non dovrebbero, invece, esserci problemi da parte di nessuno nel riconoscere che a seguito di un aborto volontario vi siano importanti conseguenze psichiche e l'onere della prova dell'opposto spetta a chi dice non esse esistano, non a chi le cura». Il secondo parere è quello dei ricercatori Lavín Gómez e García Zapata che nel loro articolo scientifico Categorizzazione diagnostica della sindrome post-aborto proposero questa soluzione: «la Sindrome Post-Aborto dovrebbe essere considerata un'ulteriore tipologia del Disturbo da Stress Post-Traumatico (PTSD)» dato che presenta alcune caratteristiche specifiche accanto ad altre che potrebbero rientrare nel PTSD.

Altrettanti studi, però, negano questo rapporto di causa ed effetto tra aborto e danni psicologici. Ma questi ultimi, in una significativa quota, o sono affetti da bias metodologici o limitano il follow-up al periodo temporale prossimo all’avvenuto aborto (la donna in genere sperimenta un senso di sollievo solo immediatamente dopo l’aborto, non nel periodo successivo) o addebitano i danni di carattere psicologico dell’aborto a condizioni psicologiche previe all’aborto. A motivo di questo quadro variegato e per il fatto che i danni del post-aborto non si presentano sempre tutti insieme nella donna tanto da poter parlare di sindrome, l’OMS e l’APA, organizzazioni con orientamento pro-choice, hanno avuto facile gioco a non riconoscere l’esistenza di una sindrome post-abortiva. Inoltre occorre ricordare che l’OMS e l’APA non rappresentano la comunità scientifica che, rispetto a queste due organizzazioni, rimane indipendente e strutturalmente aperta al confronto tra pari.

Torniamo all’esigenza del governo Sanchez volta ad assicurare che la donna che vuole abortire riceva informazioni scientificamente solide. Questa giusta preoccupazione si salda alla disciplina del consenso informato: dato che l’aborto è un intervento di carattere medico occorre che la donna sia messa in grado di sapere cosa sta facendo, ossia cosa comporti la sua scelta. E dunque: perché non farle ascoltare il battito cardiaco del feto? Perché non mostrarlo a lei? Perché non spiegarle le tecniche mediche di soppressione del feto? Perché non informarla che moltissimi studi registrano danni importanti di carattere psicologico a danno della donna? E quindi infine: se per Sanchez abortire è un diritto, addirittura un diritto costituzionale, perché non mettere in grado la donna di esercitarlo in piena consapevolezza?

DANNI PSICOLOGICI DELL'ABORTO Bibliografia essenziale

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