San Francesco, modello del genio italico
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Il ripristino della festa nazionale per il 4 ottobre ha suscitato una discussione su come considerare l’Assisiate: italiano tipico o anomalo? Se guardiamo storicamente all’essenza del “genio italico”, non c’è dubbio che Francesco sia stato un italiano modello e il più italiano dei santi.

Com’è noto, il Parlamento italiano ha approvato la legge per cui la giornata del 4 ottobre, data della festa liturgica di san Francesco d’Assisi (1181/1182-1226), dall’anno prossimo tornerà ad essere festa civile nazionale. Questa iniziativa ha suscitato una discussione su come qualificare l’esempio personale dato dal Patrono d’Italia, ossia se possiamo considerarlo come un italiano tipico o anomalo o addirittura deviante. Ovviamente, una discussione del genere è possibile solo se riusciamo a individuare una categoria-modello d’italiano che ci permetta innanzitutto di distinguere tra la “italianità” storica del prestigioso passato e quella sociologica del penoso presente, poi di applicare quella categoria alla figura del Serafico Padre per evidenziarne la conformità o la difformità.
Noti autori del passato hanno elogiato san Francesco come «il più santo degli italiani e il più italiano dei santi». Purtroppo, ormai gli odierni italiani hanno scarsa chiarezza e scarsissima considerazione riguardo a ciò che può essere qualificato come “italiano tipico”. Tuttavia, possiamo comunque tentare un giudizio sulla “italianità” di san Francesco, se sottraiamo questa categoria all’equivoco geografico, lo purifichiamo dalla droga nazionalista e lo colleghiamo all’indole dimostrata dalla italica civiltà durante la sua lunga storia.
Caratteristiche del “genio italico”
Le vicende della nostra penisola ci dimostrano l’esistenza di un “genio italico” diventato modello e segno di riconoscimento dei veri italiani. Essendo cattolico per vocazione religiosa e per missione storica, questo genio è essenzialmente aperto e inclusivo, quindi universale e cosmopolita. Queste qualità hanno permesso al nostro popolo di esportare la ragione, la fede e la virtù, condurre i ribelli all’ordine, i barbari alla civiltà, gli empi alla santità, gli eretici all’ortodossia, dimostrando quanto possono la virtù, l’intelligenza, il sacrificio, il coraggio, l’industriosità, la creatività e lo spirito di avventura. Ne deriva il successo avuto da molti italiani come esploratori, commercianti, conquistatori, civilizzatori, missionari, politici, giuristi, diplomatici, artisti di ogni genere.
Il genio italico è portato a cogliere gli elementi primari delle cose, a unire e armonizzare le verità, i valori e i beni fondamentali sottomettendoli a quel principio unitario che permette di realizzare nell’ordine le creazioni più varie e complesse. L’universalità dello spirito italico si manifesta nella capacità di realizzare la coesione tra le pluralità e l’armonia tra le diversità, riuscendo così a risolvere quel grande problema non solo filosofico ma anche etico e politico-sociale che è il rapporto tra l’uno e il molteplice.
Il genio italico intuisce ciò che è fondamentale nella cultura e nella vita, ciò che dà forma universale all’agire umano elevandolo a norma, regola, legge valida erga omnes, inserendolo in un ordine di rapporti gerarchici che lo rendono fecondo e duraturo. Nel considerare una esperienza storica o una conquista intellettuale o morale, lo spirito italico sa toglierle ciò che di particolare e relativo l’ha generata, allo scopo di elevarla a una forma universale che possa costituire una eredità perenne (thèma eis aèin, come dicevano gli antichi greci).
Quest’abilità ha permesso al genio italico di correggere numerose civiltà che, assolutizzando il relativo e generalizzando lo specifico, finiscono col favorire l’eccesso, la separazione, la discordia e l’anarchia. Grazie a questa capacità correttiva, il genio italico riesce ad assimilare, purificare e nobilitare le intuizioni, le qualità e le conquiste dei popoli, rendendole universali e diffondendole a beneficio dell’umanità intera. In tal modo, l’Italia esprime l’unità delle esperienze storiche nel linguaggio della tradizione, realizzando la pienezza della sapienza umana alla luce della Sapienza divina e mettendola al servizio della suprema Causa. Fu praticando queste qualità che l’Italia diventò terra di santi, sapienti, giuristi, artisti, eroi, esploratori, ma soprattutto fu scelta dalla Divina Provvidenza per diventare culla del Papato, animatrice delle prime missioni, civilizzatrice dei popoli, ispiratrice dell’Impero cristiano.
All’Italia, primogenita delle nazioni cristiane, spetta il ruolo storico di esortare le altre nazioni a considerare la visione cattolica come «verità, via e vita» per il mondo intero. In particolare, le spetta il compito di ricordare ai popoli che la salvezza si realizza solo nella verità, che la verità scaturisce dalla duplice fonte della fede e della ragione, che la civiltà nasce dall’unione gerarchica tra loro. Di conseguenza, nella vita pratica, all’Italia spetta il compito di realizzare l’armonia tra religione e politica, Chiesa e Stati, diritto ecclesiastico e diritto civile.
San Francesco tipico italiano
Se questo è il genio italico, se questo è stato il ruolo storico svolto dal popolo italiano, allora – pur mantenendo significato, valore ed esempio di universale comprensione e apertura dimostrato dal francescanesimo – il Serafico Padre può essere considerato come il più italiano dei santi. Infatti, «in tutti gli aspetti della sua poliedrica fisionomia, egli rappresenta il popolo italiano, ed in ogni momento della vita di lui il popolo italiano può ritrovare sé stesso» (Agostino Gemelli O.F.M., San Francesco d’Assisi e la sua “gente poverella”, Edizioni O. R., Milano 1984, pp. 92-93); «per la sua appartenenza alla comune patria e per l’abbondanza di benefìci da lui ricevuti, gli italiani devono a Francesco maggior gratitudine e devozione degli altri» (Leone XIII, Auspicato concessum, enciclica del 17-9-1882 per il VII centenario della nascita di san Francesco, § 29); non a caso la liturgia della Chiesa lo esalta come «luce della patria» italiana (Breviario dei Frati Minori, antifona dei Vespri, comm. per l’ottava della festa di san Francesco d’Assisi).
Nella sua persona, san Francesco ha unito in sé le caratteristiche fondamentali dello spirito umano – quella religiosa, quella amorosa, quella artistica e quella militante – armonizzate e sviluppate con un equilibrio e un senso pratico tipicamente romani. In lui ritroviamo molte qualità schiettamente italiane: equilibrio spirituale, armonia tra virtù opposte, senso della realtà, spirito di sacrificio e di adattamento, generosità nel darsi e nel dare, spirito artistico, “cortesia” cavalleresca, intuizione e fantasia capaci di trovare sempre nuove soluzioni.
Purtroppo, in questi ultimi tempi, l’italico spirito di adattamento alle circostanze è degenerato sempre più, fino a diventare uno scettico e cinico opportunismo che ha ormai distrutto quasi completamente quella creatività, generosità e combattività di cui un tempo il nostro popolo ha dato luminosi esempi al mondo intero.
Pertanto, oggi la testimonianza del Serafico costituisce un implicito ma netto rimprovero alla gens italica, perché ne rammenta l’originaria spiritualità e ne ripropone l’autentica missione storica: zelo per la gloria di Dio e rinuncia al mondo, servizio della verità e del bene, lotta contro l’errore e il vizio, dedizione alla religione, alla Chiesa e in particolare al Papato.
Ben si comprende quindi come mai, anche in Italia, i “progressisti” si sforzino con tanta ostinazione di falsificare e strumentalizzare la figura e l’esempio dell’Assisiate presentandocelo come un disobbediente, un sovversivo, un ecologista, un pacifista e un ecumenista. Per smentirli e contrastarli, bisogna ripulire il sacro volto di Francesco da queste ingiuriose e interessate incrostazioni per ripresentarne la vera immagine ai suoi odierni eredi e compatrioti.