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LIBERTA' RELIGIOSA

Samir: «Attacco a chiese, nuova fase della strategia»

L'esperto di islam: «Il problema è ideologico e si affronta con l'educazione e la sfida all'uso della ragione».
- La caccia ai copti arriva in Europa
- DOSSIER - I cristiani in Medio Oriente 

Attualità 04_01_2011
egitto copti «Strategia di violenza che ha di mira i cristiani», aveva detto il Papa all’Angelus del 2 gennaio; «Ingerenza negli affari interni dell’Egitto», aveva replicato il Gran Sceicco dell’Università Al-Ahzar del Cairo, Ahmed al-Tayeb. Parole quest’ultime che hanno generato una certa sorpresa, visto che al-Tayeb – una laurea alla Sorbona di Parigi, ottima conoscenza di francese e inglese - è conosciuto come un leader moderato, spesso presente agli incontri internazionali interreligiosi. «Ma non è così strano se si conosce il mondo islamico», dice padre Samir Khalil Samir, teologo gesuita e uno dei massimi esperti di islam.

Padre Samir, perché non è strana la reazione di al-Tayeb?
Perché nell’islam manca qualsiasi senso di autocritica, qualsiasi riflessione sull’islam. Forse in un incontro privato tra poche persone, al-Tayeb potrebbe dire altre cose, ma ogni intervento pubblico è sempre apologetico, non si mette mai in discussione l’islam. Leggevo ieri ad esempio un forum di un giornale egiziano: c’erano sessanta interventi; tutti, dicasi tutti, sostenevano che l’attentato non aveva niente a che fare con l’islam, questo è un atto esterno. La maggior parte puntava il dito contro Israele e gli Usa. Neanche uno che si sia almeno posto la domanda su come mai nel mondo islamico si è arrivati a fare questo.

Il papa ha parlato chiaramente di “strategia di violenze che mira ai cristiani”.
Chiunque può vedere che la violenza sta aumentando ed è una violenza sempre più cieca. Inoltre, c’è un fatto nuovo: questo uccidere la gente in chiesa o davanti alla chiesa, ora in Egitto così come era accaduto due mesi fa a Baghdad.  C’è un salto di qualità, una connotazione religiosa più evidente, che prende di mira i cristiani. E’ un fatto indiscutibile: in Nigeria, in Vietnam, in Pakistan e così via. Non tutta, ma la gran parte di questa violenza viene dal mondo islamico, e prende di mira soprattutto i cristiani anche se non esclusivamente.
 
«Strategia di violenze», fa pensare a una regia unica.
C’è sicuramente una tendenza unica. Cioè da alcuni decenni emerge nell’islam una tendenza radicale, e che si radicalizza ogni giorno di più in tutto il mondo islamico, ma che è più penetrante nei paesi con governi più deboli. La tendenza dei fondamentalisti islamici è di voler instaurare uno stato islamico, che vuole dire uno stato fondato sull’applicazione della sharia in modo rigoroso, come in Iran, in Arabia saudita, in Pakistan e in dodici province della Nigeria. Proprio in Nigeria, ad esempio, in pochi anni abbiamo visto crescere questo movimento prima con una provincia, poi due, sei, adesso 12, forse di più. Lo vediamo anche nelle Filippine, a Mindanao, o in alcune province dell’Indonesia. E anche in Malaysia dove addirittura ai cristiani è vietato da anni di usare la parola Allah, che è l’unica – sebbene di origine araba – a indicare Dio in lingua malese. Ma gli islamici considerano questa parola un loro monopolio, e fa niente che sia una parola araba che noi cristiani abbiamo usato prima dei musulmani e che gli ebrei hanno usato ancora prima in arabo. C’è quindi una tendenza che si diffonde ed è sostenuta qua e là da una strategia di diffusione. Ci sono diverse istituzioni che si occupano di questo, anche in America: c’è un centro negli Usa, ad esempio, per l’islamizzazione della cultura, che ha pubblicato una trentina di volumi in arabo, diffusi poi nei paesi mediorientali.
C’è un progetto di islamizzazione della cultura, dell’economia, della politica, della scienza. Questo non vuol dire automaticamente violenza, ma facilmente può essere trasformato in violenza dai movimenti radicali. Ed è quello che vediamo sempre più spesso in questi ultimi tempi. E la violenza fa un salto importante quando si attaccano le chiese. Una cosa finora inaudita. Perciò il papa ha lanciato un appello perché c’è questo doppio fattore: c’è una strategia e si rivolge contro i cristiani.

Il Gran sceicco di al-Ahzar rimprovera però al Papa di non usare la stessa sollecitudine quando a essere uccisi sono i musulmani.
Questo poi non è vero. Se si fa allusione all’invasione americana in Iraq, se qualcuno ha detto con autorità che questa invasione non è ammissibile questo è stato Giovanni Paolo II, e dopo di lui Benedetto XVI. Mai la Santa Sede ha sostenuto la legittimità dell’aggressione contro l’Iraq e contro Saddam Hussein. E comunque questa aggressione, condannata dalla Chiesa, non era contro i musulmani. E mi sorprende che una persona colta come il Gran sceicco di al-Ahzar, faccia questo miscuglio tra politica e religione. L’America ha aggredito l’Iraq, non sono i cristiani d’America che hanno aggredito i musulmani d’Iraq. Si deve dire basta, e con chiarezza, a questa confusione continua tra religione e stato. L’Iraq non è musulmano, non è stata un’aggressione contro l’islam. In realtà esiste una aggressione contro l’islam, ma è una aggressione di musulmani contro altri musulmani, di sunniti che aggrediscono gli sciiti e di sciiti che aggrediscono i sunniti. Quando in Iraq qualcuno si fa esplodere dentro una moschea è inaccettabile, ma questo è compiuto da altri musulmani. Lo stesso succede in Pakistan , così come è successo in Libano. Ma l’aggressione di un paese contro un altro non ha niente a che vedere con la religione. Nel caso di questi giorni invece c’è un’aggressione di musulmani contro i cristiani, in una chiesa. Quando si prende di mira una chiesa il messaggio è chiaro. Lo stesso accade in Iraq, per cacciare i cristiani.

Perché vogliono eliminare i cristiani?
I cristiani vanno eliminati anzitutto perché non sono islamici, e sono quindi un ostacolo per creare uno stato islamico. In Iraq poi c’è un progetto per dividere il paese in tre parti: sunniti, sciiti e curdi. Per i cristiani non c’è spazio. Al momento sono spinti dalla violenza verso il Kurdistan, nel nord est dell’Iraq, ma i cristiani sanno che questa non è la loro terra: i curdi oggi li accolgono, domani possono ucciderli come è già successo in passato.
I cristiani poi in tutto il Medio Oriente sono gli artefici dello sviluppo culturale ed economico, sono un movimento di modernità, e c’è chi non vuole la modernità. Oppure, ed è una terza ragione, per puro fanatismo: i cristiani devono essere sottomessi, al limite li proteggiamo purché rimangano sottomessi.

Lei diceva prima che c’è una tendenza, ma anche dei centri di diffusione di questa tendenza. Chi è che li guida?
In Medio Oriente i soldi vengono dai paesi islamici petroliferi, Arabia Saudita in testa, ma l’ideologia viene dall’Egitto, sia dal movimento dei Fratelli musulmani sia dalle tendenze più radicali che sono nate da questo movimento. Nel subcontinente indiano - Pakistan, Afghanistan – l’ideologia è partita da un altro movimento simile oppure  dai talebani. L’Iran ha a sua volta la sua ideologia, partita da Khomeini e che arriva fino in Libano con gli hezbollah. La tendenza in realtà è la stessa, prende forme particolari a seconda dei paesi e delle divisioni tra sunniti e sciiti. Poi l’aspetto militante e militare viene dal fatto che viviamo in paesi che sono tutti, più o meno, corrotti.
In Medio Oriente abbiamo solo due sistemi: dittatoriale o semi-dittatoriale, come era l’Iraq al tempo di Saddam e come è ancora oggi la Siria di Assad: c’è sicurezza, ma senza libertà. Oppure abbiamo il sistema islamista fondamentalista. Unica eccezione a questo bipolarismo è forse la Giordania.  In ogni caso siamo presi tra due estremi.

Ma allora tentare di portare la democrazia era un’idea sbagliata?
Ma non si può esportare la democrazia, già il fatto di volerla esportare è un atto antidemocratico. La democrazia dobbiamo crearla noi: sarà diversa da popolo a popolo, ma con l’accettazione del principio che ci sia uno stato di diritto dove non è la tribù che decide o il gruppo di pressione.
Purtroppo oggi le cose vanno nella direzione sbagliata: le elezioni in Egitto, ad esempio, sono state visibilmente truccate. E questo per la gente è inaccettabile perché ormai – con la globalizzazione dei media - tutti sanno ciò che accade, anche gli analfabeti. Però i modi di fare non sono cambiati. Basta guardare: in Libia Gheddafi è presidente da 40 anni. In Tunisia, paese progredito, di nuovo c’è una forma di dittatura, in Egitto adesso arriva il figlio di Mubarak, Gamal, in Siria c’è la dinastia di Assad. E sto parlando dei paesi che non sono arretrati. E’ una situazione insostenibile che suscita movimenti che vogliono una trasformazione. Ora, l’unico movimento capace di mettere insieme le folle è quello islamico. Perché, da noi, basta dire religione e non c’è più discussione.

Ma nel mondo islamico, oltre ai movimenti fondamentalisti, si muove qualcos’altro che possa andare nella direzione opposta?
Qualcosa di diverso lo vediamo In Tunisia, ad esempio: alla facoltà di teologia di Tunisi c’è un’apertura diversa che inizia con l’obbligo per gli studenti di imparare obbligatoriamente una lingua non musulmana (inglese, francese, italiano, quello che uno vuole) per avere un’apertura sul mondo non musulmano. Perché se leggo solo l’arabo non esco mai da questo giro mentale. La prima cosa perciò è la conoscenza attiva di una lingua occidentale che permette di confrontarsi con un altro punto di vista sul mondo islamico, sugli studi, ecc. Poi c’è un approccio diverso della storia, per  uscire da una visione ripetitiva dove un buon imam è qualcuno che ripete perfettamente ciò che è stato detto nei primi secoli dell’islam. Si comincia a capire che non si deve solo imparare il Corano a memoria – questo non è un male – ma imparare a capirlo, a interpretarlo, a studiarlo.

Gli imam sparsi per il mondo però non si formano in Tunisia.
Questo è vero, ed è vero che dall’Università al-Azhar del Cairo escono migliaia di imam di tutti i paesi che assorbono anche l’ideologia fondamentalista, però è proprio sull’educazione che dobbiamo puntare. Perché il problema non è militare o economico, anche se questo ha la sua importanza. Il problema è essenzialmente ideologico. E nei paesi islamici, il modello religioso implica che l’islam sia la risposta a tutto. Il partito dei Fratelli Musulmani, che ha un grande influsso su tutto il mondo arabo, usa una formula semplicissima, che consiste in due parole: “l’islam è la soluzione”. Qualunque domanda si ponga, la risposta è data: “l’islam è la soluzione”. Come mai non riesco a trovare lavoro? “L’islam è la soluzione”. Come mai non ho la casa? “L’islam è la soluzione”. Il che significa che l’islam, ad esempio, predica la solidarietà dunque se applichiamo l’islam non ci saranno poveri. Questo ovviamente è un mito, ma ripetere sempre questa formula per la gente è convincente. Parlare di giustizia, di diritto, in questo modello non ha senso: l’islam ha il suo diritto, la sharia. Dov’è il problema? Il problema è che la sharia è stata stabilita nel IX secolo e noi viviamo nel XXI secolo e nel frattempo ci sono altre pretese da parte della gente.

Come se ne esce?
La grande sfida, ripeto, è quella dell’educazione, dell’uso della ragione. Se prendiamo la sharia, ad esempio, vediamo che – a parte qualche eccezione - nessun paese islamico la applica quando si tratta di tagliare la mano a chi ruba. Tutti hanno sospeso questa applicazione. Ciò vuol dire che anche nei paesi islamici si ritiene che la sharia presa tale e quale non è applicabile, però nessuno vuole tirare le conclusioni e iniziare a ripensare un progetto di società islamica che faccia i conti con la modernità. Oppure, prendiamo l’esempio del suicidio: l’islam lo rifiuta, addirittura – tra tutte le religioni che conosco -  l’islam è la più dura contro chi si suicida perché non ha neanche il diritto alla sepoltura, deve essere lasciato nel deserto e mangiato dalle bestie. Allora come si spiega il fenomeno dei kamikaze, come mai tanti si suicidano? Ah no – dicono - è diverso perché lì lo fanno per amore di Dio e della comunità islamica. Due pesi e due misure. Invece bisogna aiutare a riflettere: perché l’islam, il cristianesimo e altre religioni, sono contrarie al suicidio? Perché il suicidio significa una disperazione riguardo a Dio, mancanza di fede. Ecco, allora si riflette e, riflettendo, ad esempio la Chiesa ha riconosciuto che spesso il suicidio è un fenomeno psicopatico, non una ribellione contro Dio. Allora si è detto: diamo la sepoltura anche religiosa ai suicidi. Per noi questa riflessione continua sulla realtà è normale, ma nel mondo islamico è bloccata dal XII secolo, non c’è più. E qui sta la sfida, riprendere questo cammino di riflessione. In Egitto, situazione che conosco bene, ci sono migliaia di personalità eccezionali, che sono già su questa strada. Il problema è che sono intellettuali, universitari laici, e non essendo religiosi non hanno peso. E’ importante ora che questo processo inizi anche tra i religiosi.