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VIOLENZA SULLE DONNE

Saman e le altre vittime ignote dei matrimoni forzati

Quest’anno nella ricorrenza del 25 novembre, giornata mondiale contro la violenza sulle donne. Proprio in questi giorni è stato arrestato Shabbar Abbas, padre di Saman, la ragazza pakistana assassinata in Emilia l'anno scorso, perché non voleva sposare il cugino scelto dalla famiglia. Quante, nel mondo islamico, subiscono la stessa sorte?

Famiglia 25_11_2022
Novellara, ricerche del corpo di Saman

Quest’anno nella ricorrenza del 25 novembre, giornata mondiale contro la violenza sulle donne, una vicenda in particolare richiama l’attenzione e ci ricorda quante donne al mondo – centinaia di milioni – sono tuttora vittime di istituzioni che violano i loro diritti.

La prima è l’arresto in Pakistan di Shabbar Abbas, il padre di Saman Abbas, la ragazza pakistana che abitava con i genitori in un paese dell’Emilia Romagna e che nell’aprile del 2021 è stata uccisa dai famigliari perché rifiutava di sposare il marito scelto per lei dai genitori: un cugino, residente in Pakistan, che forse neanche conosceva. Le pratiche per l’estradizione di Shabbar Abbas in Italia sono in corso e continuano intanto le ricerche da parte della polizia pakistana della moglie, ancora latitante, altrettanto colpevole. Nel frattempo uno zio di Saman, già in carcere in Italia, ha finalmente rivelato dove è stato sepolto il corpo della nipote e nuovi particolari, agghiaccianti, del delitto sono stati rivelati dalla intercettazione di conversazioni tra uno dei cugini di Saman, che ha preso parte all’omicidio, e lo zio stesso.

C’è da domandarsi quante giovani donne nel mondo ogni anno seguano, senza che se ne abbia notizia, il destino di Saman, se a salvare lei non è bastato il fatto di vivere in Italia, in una società così lontana e diversa da quelle in cui tuttora le famiglie hanno facoltà di decidere con chi i figli si devono sposare.

Il matrimonio combinato diventa imposto, forzato, quando i figli, e succede quasi sempre, non possono disobbedire, pena gravi conseguenze e persino la morte. È imposto, per definizione, nel caso delle figlie date in spose ancora minorenni. L’Unicef, il fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia, stima che attualmente ci siano nel mondo oltre 650 milioni di donne che si sono sposate prima di diventare maggiorenni. Il fenomeno è concentrato nei paesi a basso sviluppo ed è particolarmente persistente in Africa sub sahariana e in Asia meridionale dove il 40% delle donne si sposano quando ancora sono minorenni e il 12% prima di compiere 15 anni. Questa istituzione di per sé così lesiva dei diritti umani ha spesso conseguenze ancora più dolorose quando la ragazzina è costretta a sposare una persona del tutto sconosciuta e di età molto superiore e quando viene maritata a un uomo che ha già altre mogli.

Il caso di Saman getta luce anche su un’altra istituzione, il cosiddetto delitto d’onore, presente soprattutto nelle società governate dalla shari’a, la legge islamica, e nelle quali si ritiene che i capifamiglia abbiano il diritto e il dovere di punire anche con la morte i famigliari che con il loro comportamento mettono in pericolo l’onore, il decoro, la rispettabilità della famiglia e quindi la sua posizione sociale ed economica. Può bastare anche solo che una donna si attardi più volte a chiacchierare con un estraneo per strada perché vicini e parenti esprimano critiche e disapprovazione. Un capo famiglia deve allora dimostrare di avere l’intenzione e la capacità di farsi obbedire, è suo dovere far valere la propria autorità intervenendo severamente. Secondo questa morale, a essere colpevole di trasgressione, di disobbedienza, è chi ai nostri occhi è una vittima e l’azione punitiva dei famigliari, che noi chiamiamo delitto, è ritenuta invece un legittimo atto di riparazione. 

L’islam nasce tra popolazioni di pastori. È la religione di società tribali patriarcali, gerontocratiche e autoritarie. Ha adottato gran parte delle loro istituzioni e le ha rafforzate attribuendole alla volontà divina, mentre prima il loro rispetto era chiesto in nome degli antenati fondatori dei lignaggi e dei clan tribali. Fanno eccezione le mutilazioni genitali femminili (Mgf), anch’esse preesistenti all’Islam, alle quali si dice che il profeta Maometto abbia accondisceso senza ordinare di praticarle. Tuttavia tanto è bastato perché l’istituzione fosse ammessa e infine imposta. Presenti in origine in 31 Stati in gran parte africani e qualcuno mediorientale, ma ormai anche in molti altri stati inclusi almeno 13 europei, sono praticate a prescindere dal credo. Nelle tre modalità più comuni – clitoridectomia, escissione e infibulazione – hanno la funzione di controllare la vita sessuale delle donne allo scopo di garantire che generino figli solo per l’uomo e per la famiglia a cui apparterranno per matrimonio.

Vanno ricordate nel ricorrere della giornata contro la violenza sulle donne come una delle peggiori forme di violenza istituzionalizzata e una delle più diffuse. L’Unicef stima infatti che oggi nel mondo ci siano circa 200 milioni di donne che sono state sottoposte a interventi di Mgf e per il 2022 si è calcolato che le bambine a rischio di subirle siano 4,2 milioni. Nei 25 stati in cui sono più diffuse si ritiene inoltre che tra il 2015 e il 2030 saranno circa 68 milioni le bambine che verranno mutilate, nonostante che nel 2015 la loro totale eliminazione fosse stata inserita tra gli Obiettivi di sviluppo sostenibile, un ambizioso programma di interventi in ambito sociale, ambientale ed economico articolato in 17 obiettivi e 169 traguardi che le Nazioni Unite si prefiggono di realizzare entro il 2030.