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TRUMP

Russiagate, "rivelazioni" che non portano a nulla

McCabe, ex vicedirettore dell'Fbi, rivela che in un momento di crisi, il vice-segretario alla Giustizia avrebbe chiesto di dimissionare Trump. Intanto il procuratore Mueller, chiede una pena severa per Paul Manafort, ex manager della campagna di Trump, per lavoro di lobby illegale con Yanukovich. E quindi? Si chiederebbe una "casalinga di Voghera"...

Esteri 19_02_2019
Donald Trump

Andrew McCabe, 51 anni a metà marzo, è un avvocato degli Stati Uniti d’America. Dal febbraio 2016 al gennaio 2018 è stato vicedirettore nientemeno che dell’FBI. Il 17 febbraio è stato intervistato da Scott Pelley in una puntata della notissima trasmissione 60 Minutes, in onda sulla rete televisiva CBS.

Ha raccontato un mucchio di cose sul presidente Donald J. Trump, segnatamente che il viceministro statunitense della Giustizia, Rod Rosenstein, avrebbe a suo tempo avanzato l’ipotesi di destituire l’inquilino della Casa Bianca, ponderando quanti membri dell’esecutivo lo avrebbero seguito in una specie di citazione della drammatica scena in cui, nel lungometraggio Air Force One, diretto nel 2017 dal regista tedesco Wolfgang Petersen, la vicepresidente Kathryn Bennett (Glenn Close) sta per rilevare il presidente James Marshall (Harrison Ford) disperso in mani nemiche chiedendo ai membri del governo di apporre la propria firma in calce alla dichiarazione formale di decadimento del POTUS. Questo drammone da film sarebbe successo appena dopo che Trump ebbe licenziato il direttore dell’FBI, James Comey, e il motivo di tanto ardire sarebbe stato proprio quello.

A questa notizia se ne accavalla un’altra. Il procuratore speciale dell’FBI, Robert Mueller, ha chiesto per Paul Manafort una pena compresa fra i 19 e i 24 anni di carcere per truffa aggravata e continuata ai danni degli Stati Uniti avendo il Manafort sottratto al fisco svariati milioni nell’esercizio fraudolento del proprio mestiere di lobbysta a favore dell’Ucraina filorussa di Viktor F. Yanukovich, presidente a Kiev dal 2010 al 2014. Ed ecco che, mescolando il tutto, i media riprendono a cantilenare come un disco rotto: “Russiagate, e siamo sempre più vicini a Trump”.

La casalinga di Voghera, però, mentre affetta la cipolla per il soffritto, ragiona mettendo tutto in ordine e in fila come si fa per mandare avanti la famiglia. Dicono, dice la sagace regina della casa, che l’uomo più potente del mondo, Trump, sia colluso pesantemente con Vladimir Putin sin dai tempi della campagna elettorale del 2016 con illecito enorme, forse persino annusandosi l’odore del tradimento. Ma allora perché dal 2016 a oggi non è emersa una prova, anche piccina, di questo losco traffico? Perché l’FBI, che non è certo l’Asilo Mariuccia, non spiattella sul grugno a Trump tutte le prove, incriminandolo? Perché il procuratore generale Robert Mueller sta sempre un passo indietro, al massimo rilascia qualche battuta sibillina, ma poi non schiaccia Trump? Perché Trump, che ha addosso i media, mezzo mondo, i poteri forti e i nazisti dell’Illinois, non viene inchiodato con le evidenze? Perché il Partito Democratico statunitense, che adesso controlla persino la Camera federale, non lo sbugiarda in pubblico? Perché su Trump e la Russia non è mai saltato fuori nulla? Perché se Trump e Putin fossero davvero amiconi adesso sarebbero ai ferri corti, divisi su tutto, in quella che a tratti sembra una nuova “guerra fredda”?

Perché McCabe parla solo ora? Perché McCabe parla solo ora in tivù? Perché McCabe parla solo ora in tivù, ora che deve lanciare il proprio libro, The Threat: How the FBI Protects America in the Age of Terror and Trump (St. Martin’s Press, New York)? Perché Rosenstein, interrogato sulle parole di McCabe, ha smentito? Perché, incalzato dal conduttore Pelley, McCabe ha detto di non sapere se davvero Rosenstein volesse liberarsi di Trump, ma che comunque era molto preoccupato? Come si fa a dare credito a uno così che cerca di piazzarti il suo libro come un’aspirapolvere? E come fanno i media a titolare su una bufala così con uno che risponde così? Perché, a proposito di quel che McCabe dice che Rosenstein avrebbe detto ma Rosenstein nega e McCabe dice “l’ho supposto io”, i media parlano di “Russiagate”? Il licenziamento di Comey, infatti, che secondo le pensate di McCabe avrebbe dovuto spingere Rosenstein ad accarezzare l’idea di silurare addirittura il presidente degli Statti Uniti, non c’entra con il “Russiagate”. Primo perché il “Russiagate” non è dimostrato, secondo perché non uno straccio di prova c’è per legare Trump a illeciti con Putin, terzo perché a dire tutto questo è stato Comey stesso. Perché Comey, nel giugno 2017, ha sputato veleno su Trump durante una deposizione spontanea alla vigilia dell’audizione sotto giuramento davanti alla Commissione sui servizi segreti del Senato federale e dopo due anni le sue accuse di fuoco non hanno ancora ottenuto il conforto di una conferma, restando sospese in un limbo sereno quando sarebbero invece da querela?

Cosa c’entra la pesante richiesta di carcere per Manafort con Trump? Lo sanno tutti che Manafort fu il direttore della campagna elettorale di Trump nel 2016 ma che lo fu solo per il periodo 20 giugno -19 agosto e che i suoi guai enormi con la giustizia sono legati all’evasione fiscale, reato per il quale, se è colpevole, il responsabile è lui e semmai i suoi soci in affari tra i quali Trump non figura? Manafort ha forse incontrato lobbysti e faccendieri russi, forse li ha incontrati anche qualcuno dell’entourage di Trump. Ma dove sono le prove che poi tra le parti sia stato concluso qualche affare losco? Chi ha detto, e soprattutto chi prova, che Trump sapesse? Chi ha dubbi su queste domande torni, come nel Gioco dell’oca, alla partenza, ricominciando dalla prima delle domande della casalinga di Voghera, scarpe grosse e cervello fino. Davvero il mondo crede che se i poteri forti avessero uno prova anche minuscola per tenere Trump per il bavero non lo farebbero?

Adesso che il soffritto è bello dorato, la casalinga di Voghera attende risposte, pronta a farsene una ragione, in nome del principio non negoziabile “carta canta”, qualora uno qualsiasi dei potenti che stanno rosicando le caviglie di Trump dal giorno in cui è stato eletto presidente degli Stati Uniti mostrasse una prova una. Fino ad allora, con quello che ci scrivono i giornali continua ad arrotolarci gli scarti della cipolla finemente affettata.