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MIGRAZIONI

Rifugiati, quando gli esperti sono ignoranti

Significativo scambio di battute tra funzionari dell'Alto Commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr) e alcuni noti esperti di diritti dei rifugiati: questi ultimi dimostrano sia il prevalere dell'ideologia sulla realtà sia una notevole ignoranza della materia di cui dovrebbero essere esperti, come la Convenzione di Ginevra.

Editoriali 26_08_2019

Un recente scambio di vedute tra due funzionari dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) e alcuni esperti merita di essere riportato.

Vincent Cochetel dirige l’ufficio europeo dell’Unhcr dal 2016. In un tweet del 18 agosto, pur dicendosi consapevole della difficile situazione a bordo della nave, Cochetel ha commentato il rifiuto di Open Arms di raggiungere un porto sicuro in Spagna scrivendo: “Sono molto preoccupato per la radicalizzazione dei sogni dei migranti e per le richieste di alcuni emigranti e rifugiati in Libia e nei paesi limitrofi”. Non l’avesse mai fatto. È stato inondato di tweet increduli e indignati, Medici senza frontiere per primi.

Allora Euronews. ha cercato di mettersi in contatto con lui per “chiarire” e, non essendoci riuscito, si è rivolto al portavoce dell’Unhcr per Africa, Mediterraneo e Libia, Charlie Yaxley: “Stiamo assistendo a un trend in crescita, anche se i numeri sono ancora piccoli, di persone che insistono a voler chiedere asilo solamente in Europa – ha risposto Yaxley, dando ragione a Cochetel – ci sono stati alcuni casi in cui i richiedenti asilo hanno rifiutato la possibilità di protezione altrove. Chi scappa dalle guerre nell'Africa orientale e occidentale tipicamente fa domanda di asilo nei Paesi vicini. Il sistema in vigore dalla Convenzione sui Rifugiati del 1951 richiede di fare domanda nel Paese in cui ci si trova, i richiedenti asilo non hanno scelta su dove chiederlo. Esistono sì meccanismi di ricollocamento verso stati terzi, ma i posti disponibili sono molto inferiori rispetto ai bisogni, e in diminuzione, per cui la priorità viene data ai rifugiati più vulnerabili”.

A quel punto sono scesi in campo gli “esperti”: Omer Shatz, ad esempio, l’avvocato e docente di diritto internazionale a Sciences Po che, insieme al collega Juan Branco, all’inizio di giugno ha chiesto alla Corte penale internazionale di perseguire l’UE e i suoi stati membri per crimini contro l’umanità per la morte di migliaia di migranti nel Mediterraneo. Shatz ha paragonato l'affermazione di Cochetel a quella di “un leader di estrema destra come Salvini”. L’avvocato spiega che “usare come scudo” la Convenzione di Ginevra non è legittimo: “Non c'è alcun riferimento alla necessità di presentare una domanda di asilo nel primo stato di arrivo. Li invito a dimostrarlo. Se così fosse stato, tutti i rifugiati sarebbero rimasti bloccati nei paesi vicini, come il Ciad per il Sudan oppure il Guatemala, per coloro che provengono dall'Honduras e vogliono raggiungere gli Stati Uniti”.

Dello stesso avviso è Adel-Naim Reyhani, del Ludwig Boltzmann Institute of Human Rights, secondo cui “nel diritto internazionale non ci sono obblighi per i rifugiati sul luogo in cui chiedere asilo. La Convenzione del 1951 non fa riferimento al problema né forza i rifugiati in alcun modo”. Anche James Hathaway, direttore del programma della Michigan Law School sul diritto dei rifugiati, è d’accordo che non esista obbligo internazionale per i rifugiati di cercare protezione in un determinato stato: “Gli individui sono liberi di viaggiare in qualsiasi Stato vogliano fare domanda”.

Questi sarebbero degli autorevoli esperti in diritto dei rifugiati, degni di fede.
Allora dovrebbero sapere che Charlie Yaxley ha risposto rifacendosi all’articolo 31 della Convenzione di Ginevra che recita: “Gli stati contraenti non adotteranno sanzioni penali a motivo del loro ingresso o del loro soggiorno illegali contro i rifugiati che provengono direttamente da un territorio in cui la loro vita o la loro libertà erano minacciate, ai sensi dell’articolo 1, a condizione che si presentino senza indugio alle autorità e offrano motivi validi per il loro ingresso o il loro soggiorno illegali”.

Sembra quindi che quegli esperti abbiano torto. In base all’articolo 31 i profughi che espatriano per mettersi in salvo sono “liberi di viaggiare in qualsiasi stato vogliano fare domanda” solo nel senso che possono decidere a quale frontiera presentarsi per chiedere aiuto se arrivano direttamente dal paese in cui erano in pericolo. In altre parole, se un pakistano cristiano minacciato di morte per presunte offese a Maometto lascia il suo paese con un volo aereo che lo porta a Londra, ha diritto di dichiararsi profugo e chiedere di conseguenza asilo in Gran Bretagna, essendoci arrivato direttamente dal Pakistan. Se invece lascia il suo paese via terra, la prima frontiera a cui si presenta può essere ad esempio quella dell’Iran o dell’Afghanistan ed è lì che si deve identificare presentandosi senza indugio alle autorità locali.

Che degli esperti, questi come altri, abusino della Convenzione di Ginevra per dimostrare quel che sta loro a cuore già è grave. Ma che non sappiano neanche di che cosa stanno parlando lo è di più. Omer Shatz è uno che non lo sa. Per provare che i rifugiati hanno diritto ad andare dove pare a loro dice che, se fosse vero il contrario, cioè quel che affermano Cochetel e Yaxley, “tutti i rifugiati sarebbero rimasti bloccati nei paesi vicini, come il Ciad per il Sudan”.

Shats non lo sa, ma è esattamente quel che succede: dal Sudan in Ciad, dalla Somalia in Kenya ed Etiopia, dalla Siria in Libano e in Turchia, dal Burundi in Tanzania, dal Rwanda in Repubblica democratica del Congo, dal Pakistan in Afghanistan, dal Myanmar in Bangladesh…

L’80% dei rifugiati vive nei paesi confinanti con quelli da cui sono fuggiti perché questo prevede la Convenzione di Ginevra. Se anche così non fosse, i profughi, rifugiati e sfollati, nel mettersi al sicuro cercano di restare il più possibile vicino a casa nella tenace speranza di poter tornare.