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EMILIA ROMAGNA

Regionali, votare bene, votare con criterio

In vista delle elezioni regionali in Emilia-Romagna, domenica 26 gennaio) un cattolico dovrebbe adoperare sia la sua retta ragione che i contenuti della sua fede anche per decidere dove mettere la crocetta. Non tutti i temi politici hanno lo stesso valore. Famiglia, vita e libertà di educazione restano i pilastri di ogni società.

Editoriali 19_01_2020

Le prossime elezioni regionali in Emilia Romagna previste per domenica prossima 26 gennaio non faranno eccezione: anche in questo caso non si tratterà solamente di esprimere un rito civico di cui si nutre la nostra democrazia formale, ma si tratterà di prendere posizione sui contenuti e quindi sui fini della politica qui, lungo la via Emilia.

Inutile continuare a dire, per cavarsela, che la politica è l’ambito del relativo. La politica intercetta anche molti principi assoluti e valori indisponibili, tali che nemmeno la politica ha diritto di maneggiarli.

Non soffermiamoci solo sul dovere di votare, concentriamoci sul dovere di votare bene. Anche il voto, come ogni altra azione umana, non si giustifica in sé ma per i contenuti che promuove e i fini che persegue. Se uno va a votare ma vota male, nel senso che con il suo voto apre la strada a politiche o leggi disumane, non ha fatto il suo dovere, anche se formalmente ha fatto felice Mattarella. I numeri dell’affluenza al voto di per sé non dicono niente: se sono alti può essere una iattura nel caso appoggino cause sbagliate. Non dobbiamo fermarci al come, ma andare al cosa: se questo è giusto allora anche il come conta.

Un cattolico dovrebbe adoperare sia la sua retta ragione che i contenuti della sua fede anche per decidere dove mettere la crocetta. Altrimenti la coerenza dove va a finire? Questa coerenza ci porta facilmente a concludere che non tutti i temi politici sono uguali. Famiglia e lotta alla povertà: quale dei due è più importante? La crisi della famiglia è la principale causa di povertà oggi. Il divorzio diffusissimo impoverisce. La formazione del capitale umano nei rapporti tra generazioni è in gravi difficoltà. I figli di famiglie monoparentali o divise fanno peggio a scuola e crescono fragili. Ai disagi preoccupati dalla distruzione della famiglia rispondiamo con il gonfiamento di costosi e spesso autoreferenziali apparati di welfare. Non ci sono i soldi per la famiglia perché li spendiamo nei Sert. La denatalità seguita alla rarefazione delle famiglie è fattore di povertà economica, di scarsa fiducia nel futuro, di carenza di propulsione nei consumi veramente produttivi.

Si capisce allora che la famiglia non può mancare dalle politiche di lotta alla povertà, mentre le politiche della famiglia non devono essere impostate come forma di lotta alla povertà. La famiglia infatti è una risorsa e non una forma di disagio. Tornando alla domanda: quale dei due criteri viene prima? La risposta è evidente e dovrebbe essere tenuta presente soprattutto in Emilia Romagna, date le inquietanti politiche familiari qui portate avanti.

La famiglia è un contenuto che deve venire prima di altri, perché è innestato in modo sostanziale nel bene comune, il quale non ci può essere se manca la famiglia, mentre è compatibile con varie forme di lotta alla povertà, o di disciplina delle immigrazioni o di altri temi politici. Il giudizio sui partiti non può non tenere conto di questi contenuti – famiglia, vita, libertà di educazione – che hanno una loro assolutezza in quanto indispensabili al bene comune mentre altri sono importanti ma non indispensabili e, comunque, vanno perseguiti insieme a questi e non indipendentemente o contro questi.

Nell’analizzare i partiti in vista della cabina elettorale, allora bisogna prima di tutto vedere se questi contenuti centrali e indisponibili sono difesi o se sono messi in pericolo, prima di tutto nel testo del programma e poi anche dalla cultura e dalla storia del partito. Se un partito scrive chiaro e tondo che vuole manometterli non è votabile per nessun motivo. Se poi la cosa è confermata dalla sua cultura e dal fatto che finora ha sempre fatto così, allora ancora meno. Però ha fatto cose buone… ma non può averle fatte se non ha rispettato questi contenuti imprescindibili per fare cose buone. Saranno state cose apparentemente o limitatamente buone, ma non costruttive di bene comune. Se un partito non lo scrive nel programma ma la sua cultura e il suo passato dicono che comunque farà così, non è votabile, perché vuol dire che l’omissione è dovuta a tattica.

Un altro elemento di valutazione utile e interessante riguarda la distinzione tra fare una legge e fare una politica. È molto più grave approvare una legge contro la famiglia naturale piuttosto che togliere risorse alla famiglia per assegnarle ad altri capitoli di bilancio. La legge, infatti, è qualcosa di strutturale, rimane ed è difficile eliminarla, disciplina i comportamenti collettivi per lungo tempo, obbliga le istituzioni ad agire in un certo modo. Un partito può non aver fatto tutto quello che doveva essere fatto per la famiglia, e va criticato ma lo si può votare, ma un partito che ha prodotto leggi, magari in forma seriale, contro la famiglia come può essere votato?

Nei criteri di voto il candidato viene per ultimo. Se è una brava e competente persona ma, una volta eletto, si collocherà in un partito che promuove politiche e leggi contro la famiglia – per continuare con questo esempio – anche lui, pur dissociandosi di quando in quando, porterà acqua a quel mulino. Nemmeno che il candidato si dica “cattolico” può essere un criterio primario. Si pensi che oggi per alcuni cattolici la 194 non si tocca, per altri la si deve mantenere ma applicandola bene, per altri ancora va abolita. Dirsi cattolico oggi in politica non significa più nulla. Anche qui bisogna andare ai contenuti e ai fini.