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POLITICA

Referendum su taglio parlamentari rimescola le carte

Torna ad aleggiare lo spettro delle elezioni anticipate. Il raggiungimento del numero di firme necessarie per chiedere il referendum sul taglio del numero dei parlamentari, riforma costituzionale approvata a inizio ottobre dal Parlamento, potrebbe spalancare le porte alla caduta del governo e allo scioglimento delle Camere.

Politica 20_12_2019

Nei corridoi del Transatlantico torna ad aleggiare lo spettro delle elezioni anticipate. Il raggiungimento del numero di firme necessarie per chiedere il referendum sul taglio del numero dei parlamentari, riforma costituzionale approvata a inizio ottobre dal Parlamento, potrebbe spalancare le porte alla caduta del governo e allo scioglimento delle Camere. La finalità è semplice: andare a votare per l’ultima volta con un Parlamento di 945 membri e consentire ai partiti di fare l’ultima scorpacciata di poltrone, prima che il taglio di 230 deputati e 115 senatori diventi operativo. E’ scontata, infatti, la vittoria dei “si” a quel referendum, che si svolgerebbe tra il 15 aprile e il 15 giugno. Gli elettori presumibilmente esprimerebbero una preferenza anti-casta e a quel punto la legislatura durerebbe fino alla scadenza naturale, visto e considerato che gran parte degli attuali parlamentari non verrebbe più ricandidata o non verrebbe più rieletta, stante anche la contrazione del numero di scranni.

Come si sa, due giorni fa è stato raggiunto il numero di firme necessario per chiedere quel referendum. La legge che introduce il taglio sarebbe dovuta entrare in vigore a gennaio e di fatto viene sospesa. I nomi dei 64 senatori firmatari saranno consegnati alla Corte di Cassazione nei prossimi giorni e, se non saranno riscontrati problemi, probabilmente tra la metà di maggio e la metà di giugno si andrà a votare per il referendum costituzionale. A meno che, come detto, non prevalga l’istinto di autoconservazione della casta, con la tentazione di rovesciare il tavolo e provocare le elezioni anticipate.

La riforma prevede la riduzione di un terzo dei parlamentari (si passerebbe a 400 deputati e 200 senatori) e taglia anche il numero dei parlamentari eletti all’estero, destinati a passare da 12 a 8 alla Camera e da 6 a 4 al Senato. Votata da tutti i partiti, la riforma era stata criticata da esperti e giuristi perché, riducendo il numero di parlamentari, diminuiva la rappresentanza degli elettori, rendendo i gruppi parlamentari più piccoli e facilmente controllabili da leader e segretari, e perché rischiava di allontanare ulteriormente l’elettorato dalla politica.

Trattandosi di una riforma costituzionale, la legge sul taglio dei parlamentari è stata approvata in doppia lettura, passando due volte alla Camera e due volte al Senato. La legge sarebbe dovuta entrare in vigore nei tre mesi successivi alla pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale, a meno che non fosse stata presentata una richiesta di referendum confermativo, come è successo. L’articolo 138 della Costituzione prevede infatti: «Le leggi stesse sono sottoposte a referendum popolare quando, entro tre mesi dalla loro pubblicazione, ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali. La legge sottoposta a referendum non è promulgata, se non è approvata dalla maggioranza dei voti validi». Per questo tipo di referendum non è necessario il quorum degli elettori, in quanto si conferma o meno una legge (da qui l’espressione referendum confermativo che indica, di fatto, un referendum costituzionale). Ecco perché l’esito appare scontato: a recarsi alle urne saranno soprattutto i sostenitori del si al taglio, che dunque numericamente prevarranno, a prescindere dalla percentuale di votanti.

I firmatari della richiesta di referendum sono 41 senatori di Forza Italia – la forza che corre maggiormente il rischio di perdere rappresentanza, considerando anche il recente calo nei sondaggi – rappresentanti del Gruppo Misto, del Partito Democratico e del Movimento 5 Stelle. Ci sono pure personalità del calibro di Emma Bonino e Carlo Rubbia.

Al momento lo scenario delle elezioni anticipate potrebbe concretizzarsi qualora l’Emilia Romagna e la Calabria, il 26 gennaio, finissero nelle mani della Lega e del centrodestra. Secondo alcuni sarebbe immediata la crisi del governo giallo-rosso e ci sarebbero i tempi tecnici per lo scioglimento delle Camere, Mattarella permettendo, con indizione dei comizi elettorali e automatico slittamento del referendum costituzionale.

Il paradosso sarebbe eleggere un Parlamento con gli attuali 945 membri e, subito dopo, registrare la volontà dei cittadini di ridurre di un terzo quel numero. Ci troveremmo di fronte a un Parlamento delegittimato ma che resterebbe in carica fino al 2025 ed eleggerebbe anche il nuovo Presidente della Repubblica, nel 2022.
Mentre alla Lega o al Pd possono andare bene entrambe le soluzioni, partiti come Forza Italia o il Movimento Cinque Stelle, che temono di perdere tanti voti in caso di elezioni anticipate, avrebbero maggiore convenienza a prolungare la vita dell’attuale legislatura, al fine di poter risultare decisivi o quanto meno non ininfluenti nell’elezione del successore di Sergio Mattarella.

Intanto, però, un effetto il traguardo delle firme necessarie per il referendum sul taglio dei parlamentari lo ha prodotto: la riforma della legge elettorale. Come spiega l’Ansa, potrebbe succedere che la mancata promulgazione definitiva del taglio dei parlamentari a gennaio faciliti l’ammissione presso la Corte Costituzionale del referendum chiesto dalla Lega per modificare il Rosatellum bis, eliminando il proporzionale e lasciando solo il maggioritario con i collegi uninominali. La Consulta si pronuncerà su questo il 15 gennaio. Altra ipotesi, quindi, è quella di un “referendum day” in primavera, con due consultazioni: il referendum costituzionale confermativo senza quorum sul taglio del numero di parlamentari e il referendum abrogativo della quota proporzionale del Rosatellum bis con il quorum.