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L'AMBASCIATORE

Referendum, gli Usa con Renzi votano “Sì”

L’ambasciatore americano in Italia, John Phillips, si schiera per il “Sì” al referendum costituzionale («il "No” sarebbe un passo indietro») e accende lo scontro politico. Per le opposizioni, da Forza Italia alla Lega, passando per i Cinque Stelle, si tratta di indebite ingerenze nell’esercizio della sovranità nazionale. 

Politica 14_09_2016
L’ambasciatore americano in Italia, John Phillips

Mentre divampa la polemica sull’Italicum, con l’approssimarsi della pronuncia della Corte Costituzionale, il premier intensifica la sua campagna per il “Si” al referendum, girando in lungo e in largo l’Italia. Inoltre, nelle ultime ore, ha anche ricevuto un doppio appoggio (inaspettato?) dai cosiddetti “poteri forti”. 

L’ambasciatore Usa a Roma, John R. Phillips, parlando a un  convegno del centro studi americani sugli effetti della Brexit, ha annunciato il suo endorsement a favore del “si”, dichiarandosi convinto che «ciò che serve all’Italia è la stabilità, e le riforme assicurano stabilità» e che «il referendum apre una speranza». E ha aggiunto che «in Italia ci sono stati 63 governi in 70 anni e questo non è un fatto positivo, mentre Renzi ha assicurato un periodo di governo abbastanza lungo».

Il secondo “aiutino” a Palazzo Chigi è arrivato dal managing director dell’agenzia di rating Fitch, Edward Parker, che ha asserito di temere una vittoria dei “No” al referendum per i suoi deleteri effetti sull’economia. Per le opposizioni, da Forza Italia alla Lega, passando per i Cinque Stelle, si tratta di indebite ingerenze nell’esercizio della sovranità nazionale, che, stando all’art.1 della Costituzione italiana, appartiene al popolo. Perfino Pier Luigi Bersani, che pure è dello stesso partito di Renzi, biasima le uscite di Fitch e ambasciata Usa, temendo che questo clima possa enfatizzare la portata del referendum e dare fiato alle trombe della speculazione finanziaria.

Ma le sorti del governo e della legislatura non dipendono solo dall’esito della consultazione referendaria, bensì anche dalla legge elettorale. Pochi evidenziano che il premier, dopo aver messo la fiducia sull’Italicum, ora si dice pronto a modificarlo. Da una parte spera che la Consulta gli tolga le castagne dal fuoco nell’udienza del 4 ottobre bocciando le parti di quella legge che al momento non piacciono alla sinistra dem; dall’altra potrebbe trarre beneficio da un eventuale rinvio della decisione della Corte Costituzionale, che lascerebbe nelle sue mani l’arma della trattativa con la minoranza interna, consentendogli di usarla per ammorbidire il “No” di Speranza e Cuperlo alla riforma Boschi. 

Si parla con insistenza di una spaccatura, dentro la Consulta, tra chi preferirebbe rinviare la decisione sull’Italicum a dopo il referendum e chi, invece, vorrebbe fin da subito pronunciarsi sulla legge elettorale, magari bocciando il premio di maggioranza alla coalizione, le candidature multiple o il ballottaggio. Non è escluso, secondo alcuni costituzionalisti, che la soluzione prescelta dalla Corte Costituzionale possa essere salomonicamente quella dell’”emendamento Lauricella”, in base al quale l’Italicum, essendo pensato per la sola Camera dei deputati, verrebbe automaticamente superato in caso di permanenza in vita del Senato attuale, e quindi nell’eventualità di un successo dei “no” al referendum. In questo modo, la Corte non assumerebbe alcuna posizione “politica” e lascerebbe agli elettori il compito di approvare o respingere il “combinato disposto” di riforma costituzionale e legge elettorale.

Ma Renzi, a prescindere dalla legge elettorale, si sta impegnando anche sul fronte socio-economico per allargare al centro la sua base di gradimento in vista del referendum. Di qui le aperture dei giorni scorsi agli operatori turistici (albergatori e ristoratori) e ad altre categorie che possano garantirgli altri “si” al referendum. Senza contare i pensionati, che rappresentano una fascia consistente dell’elettorato e che, in caso di gradimento della riforma del sistema previdenziale in dirittura d’arrivo, potrebbero schierarsi in maniera compatta a favore della riforma Boschi. 

Queste aperture del premier ai ceti moderati, ai piccoli e medi imprenditori e alle categorie produttive allontanano, però, dal suo bacino di consensi una parte cospicua della sinistra, da quella dalemiana, segnatamente contro Palazzo Chigi, ad altre anime della minoranza dem, senza contare Sinistra Italiana e gli altri cespugli della cosiddetta sinistra ideologica. Il presidente del Consiglio intenderebbe convincere una parte di elettori di centrodestra e perfino una porzione di grillini a votare per il “si” al referendum, in nome di un cambiamento che possa favorire la riduzione dei costi della politica e la semplificazione amministrativa e burocratica. 

Se riuscisse a far passare questo messaggio, potrebbe spuntarla. Tuttavia, dall’accoglienza ricevuta negli ultimi giorni a Bari, Lecce, Catania e Napoli, dove è stato duramente contestato, si percepisce che le tensioni sociali e le pulsioni antigovernative stanno crescendo e che il vento dell’antipolitica soffia sempre più forte sui palazzi del potere.