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IRAQ

Ramadi, la vittoria sunnita contro l'Isis

L'esercito iracheno ha riconquistato la città di Ramadi, caduta nelle mani dell'Isis lo scorso maggio. Non si tratta tanto di una grande vittoria militare (1/3 della città è ancora nelle mani dei jihadisti), ma una svolta politica: sono truppe regolari sunnite che hanno sloggiato altri sunniti del Califfato.

Esteri 29_12_2015
Ramadi in macerie

Ramadi è di nuovo nelle mani dell’esercito regolare iracheno dopo sette mesi di occupazione dell’Isis. Era finita nelle mani degli jihadisti dopo un’offensiva-lampo il 17 maggio scorso. Il 25 già si parlava di un’operazione di riconquista, ma si è atteso solo fino all’inizio di novembre per avviare le operazioni militari. E solo quest’ultima settimana è scattata l’offensiva per la liberazione della città. La bandiera irachena sventola di nuovo sul palazzo del governatore, semi-distrutto dai bombardamenti. E la Tv di Stato irachena non lesina aggettivi per definire la vittoria “epica” e “un momento di orgoglio per l’Iraq”. Anche se il governo della provincia di Al Anbar mette in guardia: “ci sono ancora sacche di resistenza dell’Isis”.

Le operazioni per la liberazione della città, a maggioranza sunnita, sono procedute così a rilento proprio per timore dello scoppio di nuovi scontri settari. Ramadi è infatti un nome tragicamente celebre per gli americani che vi hanno combattuto. Il tiratore scelto Chris Kyle, che è stato immortalato in American Sniper, da Clint Eastwood, era noto agli iracheni come “il diavolo di Ramadi”, dove fece strage di jihadisti. Nel corso della guerra di contro-insurrezione, la città era parte del “triangolo sunnita”, il nerbo dell’area sotto il controllo dei sunniti fedeli a Saddam e della guerriglia jihadista, che allora era monopolizzata da Al Qaeda. Nel decennio successivo, due anni e mezzo dopo il ritiro degli americani, l’esercito iracheno è quasi completamente collassato sotto il peso dell’offensiva dell’Isis dell’estate del 2014. Ed è imploso sempre per motivi settari, perché truppe e popolazione locali, a stragrande maggioranza sunnita, si identificavano maggiormente nelle forze jihadista (coordinate da ex ufficiali dell’esercito di Saddam Hussein) che non nel governo di Baghdad e nell’esercito regolare a maggioranza sciita. Con successive puntate offensive, l’Isis si è impossessato di gran parte dell’Iraq centro-settentrionale, fino ad arrivare a Ramadi e a Falluja, a meno di cento chilometri da Baghdad, nel maggio scorso. L’area è dunque strategicamente importante, ma delicatissima da un punto di vista politico. Lanciare una controffensiva con truppe e milizie sciite, addestrate ed equipaggiate dagli iraniani, avrebbe potuto provocare un nuovo conflitto di religione. Impiegare truppe sunnite, invece, avrebbe creato il rischio di ulteriori diserzioni di massa.

La presa di Ramadi, dunque, rappresenta una svolta politica nel conflitto: è la prima grande battaglia in cui sunniti iracheni, ben inquadrati nell’esercito regolare, hanno espugnato una città retta da altri sunniti fedeli al Califfato. Ci sono voluti mesi per ottenere questo risultato, ma alla fine l’obiettivo è stato raggiunto. Da un punto di vista strategico, la presa di Ramadi isola gli jihadisti a Falluja e impedisce loro di infastidire troppo da vicino Baghdad. Al tempo stesso, libera uomini e risorse dell’esercito regolare per lanciare un attacco verso Mosul, l’epicentro del Califfato in territorio iracheno. Da un punto di vista operativo, appoggiati da raid aerei della Coalizione a guida Usa, i regolari hanno bonificato la città da un intrico di trappole esplosive (circa 300 nella sola area del palazzo del governatore), cecchini, postazioni fortificate e kamikaze, due dei quali, alla guida di auto-bomba, si sono fatti esplodere fra i regolari mentre a Baghdad si cantava già vittoria. Durante la loro ritirata verso Mosul, gli jihadisti hanno anche catturato un gran numero di civili, usati come scudi umani, stando alla testimonianza di Ali Dawd, presidente dei giudici di Khalidia, a Est della città. Il centro urbano appare ora come un cumulo di macerie. Il campus universitario, occupato dall’Isis come posizione di resistenza e più volte bombardato dagli aerei della Coalizione, è completamente raso al suolo. Anche il palazzo del governatore e i dintorni sono ormai irriconoscibili. L’esercito iracheno ha però dimostrato di poter sconfiggere l’Isis in una guerriglia urbana, quella per cui gli uomini del Califfo sono più attrezzati.

Il futuro è però ancora completamente incerto. Infatti, complessivamente, il Califfato ha perso solo il 14% del suo territorio, stando ai calcoli dell’Ihs Jane’s di Londra. E nella stessa Ramadi, le “sacche di resistenza” ammesse dal governo locale sono tutt’altro che trascurabili. Secondo lo stesso generale Ismail al Mahlawi, comandante iracheno delle operazioni militari nella provincia di Al Anbar, gli jihadisti controllano ancora un terzo della città. Quindi si combatterà ancora per giorni. Lungi dal voler celebrare con troppo anticipo la sconfitta del Califfato, la battaglia di ieri resta però una dimostrazione pratica che lo Stato Islamico si può sconfiggere, anche senza interventi internazionali e senza provocare sanguinosi scontri fra sciiti e sunniti.