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EDITORIALE

Quell'idea confusa di Dio che ci richiama a evangelizzare

La recente vicenda del terremoto, con la diffusa chiamata in causa di Dio come responsabile della tragedia, dimostra che il nostro popolo ha bisogno di un'opera generosa di evangelizzazione ed educazione che proclami con forza e chiarezza la novità della presenza di Dio in Gesù Cristo come grande evento che rende buona la vita.

Editoriali 07_09_2016
Terremoto ad Amatrice

La terribile prova del terremoto che il nostro popolo ha subìto recentemente mi trova profondamente solidale con tutti coloro che hanno sofferto, soffrono e soffriranno per i prossimi anni. Sono anche ammirato per il grande coraggio, la grande capacità di sopportazione delle persone e per la dedizione dimostrata dalle centinaia e centinaia di volontari che sono immediatamente intervenuti: è una testimonianza che è stata data in maniera corale. Il popolo italiano è veramente un popolo che ha un’ultima ragionevolezza di fondo e una benevolenza che gli impedisce di tradurre tutto in termini di ideologie e di reazione.

Ma proprio per questo occorre esplicitare alcune considerazioni che soprattutto per chi ha come me una responsabilità di educazione della comunità ecclesiale si impongono.

È evidente che c’è una differenza tra due parti del nostro popolo: ci sono coloro che – più avanti negli anni - conservano la consapevolezza di una tradizione cristiana che li fa stare nelle tragedie e fronteggiarle con un ultimo e fiducioso abbandono alla presenza di Dio, che è padre, che non mente e non compie ingiustizie. Ma è anche vero che una parte più consistente del popolo, vive la quotidianità senza riferimento alla presenza di Dio, che viene tirato fuori in questi momenti come il presunto o reale colpevole di tutto quello che accade.

Così si finisce per accettare che Dio sia messo in un tribunale, diventi un imputato di colpe che innanzitutto dimostrano una assoluta inconsapevolezza e una assoluta confusione nel concetto di Dio. Molti hanno gravissime responsabilità in questo senso. Dio è diventato un termine che viene diffuso senza una sufficiente consapevolezza della sua identità, della sua realtà e delle differenze che esistono tra le varie confessioni e professioni di fede in Dio.

Diversi vescovi e sacerdoti sono dovuti scendere in campo per difendere Dio dall’accusa di essere stato il responsabile del terremoto, ma tutto questo dimostra che è molto diffusa nel mondo una concezione di Dio che almeno a me cristiano, cattolico e vescovo risulta lontanissima dal Dio che io proclamo, padre del Nostro Signore Gesù Cristo, padre della misericordia. E secondo tale inaccettabile concezione Dio può essere chiamato a divenire responsabile di vicende nelle quali si gioca l’autonomia della realtà naturale, i suoi ritmi, le sue leggi; si giocano le difficoltà delle condizioni di vita di molti ambienti ma soprattutto si gioca la irresponsabilità di alcune realtà umane storiche e sociali, come comincia a risultare evidente per quel che riguarda la gestione irresponsabile e incosciente delle opere di ristrutturazione programmate quando era necessario programmarle.

Questo Dio che è lontano viene chiamato in causa secondo una impostazione irragionevole, prima che non cattolica. Si sono usate espressioni come “il silenzio di Dio”, che non hanno alcun contenuto di carattere ideale e pratico. 

Mi ha molto colpito questa confusione sul termine Dio; questo relativismo, come avrebbe detto Benedetto XVI. Questo Dio di cui ciascuno ha il suo. Colpisce un aspetto particolare della grande vicenda della presenza di Dio nel mondo e nella storia. Perché Dio, in Cristo, è una presenza nel mondo e nella storia, abita corporalmente fra di noi, come dicevano i padri della Chiesa. È presente come un evento guardando il quale, seguendo il quale, non mutano le circostanze della vita - nel senso che vengono forzosamente eliminati i condizionamenti e le contraddizioni - ma l’uomo che crede in Gesù Cristo è in grado di stare di fronte alla vita con un’ultima consistenza che gli impedisce la disperazione.

Il nostro popolo – sia cattolico che non – ha bisogno di un’opera generosa di evangelizzazione e di rievangelizzazione. In questo contesto, dove le vicende sembrano dilagare nella vita dell’uomo e spingerlo ad atteggiamenti inconsulti e reattivi, è necessario che la Chiesa proclami con forza e con chiarezza la novità della presenza di Dio in Gesù Cristo come grande evento che rende buona la vita e che fa vivere nella buona e nella cattiva sorte un legame che nessuna circostanza materiale storica e nessuna colpa morale potrà mai distruggere. Il dolore è stato forte e il dolore è forte, ma il dolore cristiano non è disperato.

Credo che questa opera di evangelizzazione debba indicare anche i tempi e i modi di una educazione cristiana del popolo. E consenta al popolo di non essere travolto dalle vicende, ma di vivere nelle vicende quotidiane della storia - personale sociale e storica – con un’ultima certezza, che non deriva dalla ragione, dalla scienza o dalla politica; con una pace che deriva dalla presenza di Cristo.

Noi uomini di Chiesa, guardando a questo momento e vivendo con forza la condivisione di queste fatiche e dolori come esemplarmente hanno fatto i vescovi delle zone terremotate, dobbiamo sentirci richiamati a rinnovare la nostra opera educativa, davanti a una cosa terribile che sconvolge la vita della persona e della società.

Il terremoto distrugge la quotidianità della vita e crea una situazione di artificiosa riduzione della libertà degli uomini e dei gruppi perché non possono più impostare l’esistenza secondo quella libertà che costituisce l’elemento fondamentale della vita sociale. Il terremoto è grave non per il momento in cui si produce, ma per quella situazione di precarietà, di incertezza, di insicurezza, di limitazione della libertà umana personale e sociale che è la vera tragedia. 

Credo che questa sia la cosa che dobbiamo capire: la Chiesa non può sottrarsi al compito di evangelizzazione e di educazione, altrimenti Dio sarà sempre più assente dalla vita quotidiana, diventerà sempre più un concetto su cui si dibatte in modo artificioso e forzoso, nei mezzi di comunicazione sociale. E su questo Dio di cui si discute o su cui si discute, non scalda il cuore. Mentre in Cristo Dio è venuto per scaldare il cuore dell’uomo, di ogni uomo, in qualsiasi momento e in qualsiasi circostanza. 

Insomma noi siamo sfidati sulla evangelizzazione e sulla educazione di un popolo cristiano capace poi di interloquire efficacemente con tutti i nostri fratelli che vivono con noi nelle varie situazioni della vita, e dare perciò il nostro contributo originale e significativo a una società in cui le differenze di cultura, di identità, di professione, di fede, devono esprimere la ricchezza della vita umana. E non omologare forzosamente il popolo dentro una concezione materialista, edonista, tecno-scientifica che vive tutti i giorni senza Dio e lo chiama improvvisamente in causa in cose in cui Egli non c’entra assolutamente.

*Arcivescovo di Ferrara-Comacchio