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PRIMARIE PD

Quante armate ha Renzi? Le sinistre alla resa dei conti

Da una parte il week-end alla Leopolda dall’altra la “contro-Leopolda”, promossa a Roma al Teatro Vittoria dall’opposizione interna dem. A sinistra, in vista delle primarie per le amministrative di primavera, c’è grande fibrillazione. La posta in palio non è solo la scelta dei candidati, la battaglia non è solo sulle alleanze. 

Politica 12_12_2015
Il premier Matteo Renzi

Da una parte il week-end alla Leopolda, la storica stazione ferroviaria di Firenze; dall’altra la “contro-Leopolda”, promossa a Roma al Teatro Vittoria dall’opposizione interna dem. A sinistra, in vista delle primarie per le amministrative di primavera, c’è grande fibrillazione. La posta in palio non è solo la scelta dei candidati, la battaglia non è solo sulle alleanze. In gioco c’è il futuro del Paese e nel mirino degli antirenziani c’è il doppio ruolo (segretario del partito e premier) dell’ex sindaco di Firenze.

Gli eventi internazionali e la paura di nuovi attacchi terroristici hanno svelenito i toni dello scontro tra le diverse anime della sinistra ma non hanno ridotto le distanze tra chi punta a un centrosinistra allargato alle componenti moderate e a spezzoni di un centrodestra in ricostruzione e chi intenderebbe tornare al modello Ulivo, con un percorso di riunificazione tra Pd, Sel e movimenti civici. Alcuni giorni fa a lanciare l’affondo contro Palazzo Chigi erano stati Giuliano Pisapia, Massimo Zedda e Marco Doria, i primi cittadini “arancioni” eletti a Milano, Cagliari e Genova, che avevano invocato il superamento dell’attuale assetto imperniato sul matrimonio tra Pd e centristi, in nome di un recupero dello spirito di sinistra che aveva permesso la loro vittoria nelle rispettive città capoluogo.

Renzi non aveva accolto bene quell’iniziativa e aveva adombrato il sospetto che dietro quella sortita ci fosse lo zampino di Pierluigi Bersani. Non è da escludere. Peraltro oggi la sinistra dem si dà appuntamento a Roma e c’è da scommettere che con Speranza, Cuperlo, Bersani e l’ex civatiano Lo Giudice ci saranno i tre sindaci o quanto meno alcuni di loro. Risultano invitati, bisognerà capire se accetteranno di partecipare. Il rafforzamento delle componenti di sinistra interne alla coalizione è il leitmotiv che guida questo raggruppamento, che tuttavia non appare coeso al suo interno. E lo si vede soprattutto nelle città che andranno al voto in primavera. Li’ la sinistra ha diversi candidati e non è detto che le primarie bastino a sanare le divisioni.

A Milano, ad esempio, ben sette assessori della giunta Pisapia si sono detti pronti ad appoggiare alle primarie l’amministratore delegato di Expo 2015, Giuseppe Sala, mentre il sindaco uscente sembra propendere per la sua vice, Francesca Balzani. Anche a Napoli il Pd potrebbe avere un suo candidato, mentre l’uscente De Magistris conterà sull’appoggio di Sel. Senza escludere l’incognita Bassolino. A Torino su Piero Fassino non converge l’intero centrosinistra, mentre a Bologna l’uscente Merola non sembra godere del gradimento del premier. Una geografia composita, quella del centrosinistra, che potrebbe favorire le opposizioni, soprattutto il Movimento Cinque Stelle.

Se le amministrative dovessero consentire al centrodestra o ai grillini di strappare qualche città al centrosinistra, potrebbe aprirsi il “processo” a Renzi e i suoi oppositori tornerebbero a chiedere la sua testa come segretario del partito, lamentando le difficoltà da lui incontrate nella contestuale gestione dei due incarichi. Sembra di rivivere il film già visto con Massimo D’Alema, che perse prima la segreteria del partito, poi la guida dell’esecutivo. È quello che sotto sotto si augurano i fuoriusciti come Civati e Fassina, ma anche, con ogni probabilità, gli esponenti della sinistra dem, che in questo modo potrebbero negoziare da una posizione di forza le candidature per le prossime politiche, ammesso che si tengano a scadenza naturale. Pesa, infatti, anche l’incertezza sull’esito del referendum sul Nuovo Senato. Renzi su quello si gioca gran parte del suo futuro politico. 

In questi due anni ha puntato fortemente sulla disintermediazione, facendo a meno del Pd e provando a instaurare un dialogo diretto con il suo potenziale elettorato. Si spiegano così provvedimenti come quelli sugli ottanta euro o sui sussidi ai futuri diciottenni. Ma ora che si rende conto che senza partito probabilmente sul territorio rischia di lasciare campo libero ai cosiddetti “cacicchi” locali, sta provando a riprendere in mano le periferie e a riorganizzare le truppe. Ci riuscirà?