Pressione su Maduro, Trump mira a cacciare il dittatore venezuelano
Ascolta la versione audio dell'articolo
Arriva anche la portaerei Ford nei Caraibi e il Cartello dei Soli venezuelano (di cui farebbe parte Maduro) entrerà nella lista nera del terrorismo, dal 24 novembre. Trump dichiara di voler trattare. L'oppositrice Machado invoca la rivoluzione.
«Potremmo avere delle discussioni con Nicolas Maduro (dittatore del Venezuela, ndr) e vedremo come andrà a finire», ha detto Trump ai giornalisti domenica sera. «Vorrebbero parlare», dice il presidente dei vertici venezuelani. Questa dichiarazione distensiva giunge come una sorpresa alle orecchie dei giornalisti, dopo un’escalation di preparazione militare nella regione caraibica che non ha precedenti, se non nella crisi dei missili di Cuba del 1962.
Negli ultimi due mesi, contro il Venezuela, Trump ha radunato una flotta di otto navi di superficie (fra cui un incrociatore lanciamissili) e un sottomarino nel Mar dei Caraibi, ha ordinato ai bombardieri strategici B-52 e B-1 di sorvolare la costa venezuelana e ha schierato più di 10mila soldati, soprattutto marines, nella regione. La più grande portaerei americana, la USS Gerald R. Ford, è entrata anch’essa nel Mar dei Caraibi. L’arrivo è stato ufficializzato domenica da un comunicato del Comando Sud degli Stati Uniti. Strumento per eccellenza della proiezione di potenza americana, la presenza di una portaerei nucleare è l’annuncio che sta per compiersi un’azione in grande stile, non una semplice lotta al narcotraffico.
Sempre domenica, il Dipartimento di Stato americano ha dichiarato di voler designare il Cartello dei Soli “organizzazione terroristica straniera” (Fto). Il Cartello venezuelano è impegnato nel narcotraffico e secondo la magistratura statunitense, lo stesso Nicolas Maduro ne fa parte. Designare Maduro terrorista straniero potrebbe essere l’ultimo passo per la sua completa delegittimazione. Ma anziché farlo immediatamente, il Dipartimento di Stato ha affermato che la misura entrerà in vigore il 24 novembre.
Questa dilazione fa presupporre la volontà di giungere ad una soluzione negoziale. Ma l’obiettivo del negoziato non è facile, perché non basta ottenere concessioni: l’unico scopo è l’allontanamento di Maduro. Questo per tre motivi fondamentali. Primo: essendo incriminato (dalla magistratura statunitense) per narcotraffico, Maduro è un obiettivo primario, se non l'obiettivo primario, della lotta al narcotraffico che, sotto Trump, è diventata una priorità nazionale. Trump ha raddoppiato la ricompensa offerta per informazioni che portino alla sua cattura, portandola a 50 milioni di dollari. Secondo: Maduro ha iniziato il secondo mandato presidenziale a seguito delle elezioni del 2024, riconosciute come fraudolente da quasi tutta la comunità internazionale. Terzo: cacciare Maduro sposterebbe gli equilibri del Sud America, dalla prevalenza di governi di sinistra (e alleati di Cina e Russia) ad una condizione di rinnovata egemonia di governi filo-Usa.
Da agosto, la marina statunitense ha lanciato un'operazione contro i barchini veloci usati dai corrieri della droga. Colpevoli o innocenti, semplici pescatori o narcos, la marina li ha fatti saltare in gran numero, senza prima chiedere il “chi va là”: da allora, 17 barche sono state affondate e si stima che più di 80 persone siano state uccise nei raid.
Secondo altre indiscrezioni lasciate trapelare alla stampa, le opzioni militari presentate a Trump la scorsa settimana da funzionari del Pentagono includevano l'impiego di forze speciali e attacchi aerei contro strutture governative e militari, come hanno affermato fonti anonime del governo federale al Wall Street Journal.
Il dittatore venezuelano Nicolás Maduro, sotto tutta questa pressione, ha dichiarato di essere disposto a tenere colloqui faccia a faccia con i rappresentanti dell'amministrazione Trump. Maduro, non a caso, lo ha detto poche ore dopo che Trump aveva dichiarato di non aver escluso neppure un intervento militare di terra. Lunedì 17, Maduro ha lanciato un raro messaggio in lingua inglese, rivolto ad un pubblico americano, chiedendo pace e dialogo e respingendo l’idea di una guerra americana.
Gli scenari possibili, a questo punto sono due. O Trump prosegue con la pressione e ottiene da Maduro una transizione pacifica del potere, oppure si prospetta un intervento militare per un cambio di regime. Ma il Venezuela non è facile da conquistare, per nulla. Secondo gli esperti del Foreign Affairs occorrono dai 50mila ai 100mila uomini per un’operazione in Venezuela, non bastano i 10mila marines attualmente schierati.
Come hanno scritto i politologi Alexander Downes e Lindsey O'Rourke su Foreign Affairs, i soli attacchi aerei e navali non hanno mai rovesciato un leader. Anche se venisse ucciso il dittatore, l'esercito venezuelano sostituirebbe quasi certamente Maduro con un altro leader bolivariano. E anche se, contro ogni previsione, l'opposizione venezuelana prendesse improvvisamente il controllo del Paese, non c'è garanzia che si arrivi a una transizione democratica di successo.
«Per avere successo, tuttavia, Washington deve capire – si legge nell’editoriale del Foreign Affairs - che le transizioni democratiche non avvengono dall'oggi al domani. Al contrario, tendono a verificarsi dopo lunghe negoziazioni in cui la dittatura accetta di iniziare a condividere l'autorità con i suoi oppositori. Elezioni libere ed eque arrivano alla fine, non all'inizio, di queste transizioni, perché riforme istituzionali e un periodo di coesistenza con il regime uscente sono necessari per rendere fattibile una transizione pacifica». La precedente amministrazione Trump aveva adottato questa linea, elaborando il Quadro di Transizione Democratica per il Venezuela. Redatto nel 2020, avrebbe creato un Consiglio di Stato composto da rappresentanti sia del governo che dell'opposizione per supervisionare la transizione verso elezioni libere ed eque.
Per ora, però, la via del dialogo fra Maduro e gli oppositori non sembra avere successo. I colloqui, mediati dalla Norvegia e tenutisi a Barbados, si sono interrotti, così come era fallito un precedente tentativo sostenuto dal Vaticano.
Maria Corina Machado, leader dell’opposizione, fresca di premio Nobel per la Pace, martedì 18 novembre ha caricato sui social media quello che ha definito un manifesto per la libertà, in cui ha delineato la sua visione per un Venezuela post-Maduro. Quel che la Machado propone è una rivoluzione, simile, per principi e finalità a quella Americana del 1776. Nel suo manifesto, infatti, afferma che «siamo sull’orlo di una nuova era, un’era in cui i nostri diritti naturali prevarranno» perché «noi venezuelani ci appelliamo al nostro diritto naturale alla libertà che non è una graziosa concessione del governo, ma è inerente alla vera essenza dell’uomo e nessun governo, fazione o potere tirannico può sottrarcelo».
Lotta al narcotraffico, la flotta americana assedia il regime di Maduro
Un'imponente forza navale americana incrocia al largo delle coste venezuelane. L'obiettivo dichiarato è quello di fermare il traffico di droga. Ma si capisce che il vero obiettivo è Nicolas Maduro, il leader del regime di estrema sinistra venezuelano su cui pende una taglia per la cattura.
Venezuela al bivio: oggi giurano sia González sia il golpista Maduro
In una Caracas militarizzata, oggi Maduro giurerà in parlamento come presidente del Venezuela. Ma è atteso anche l’arrivo nella capitale e il giuramento del leader dell’opposizione e presidente legittimo González, su cui il regime socialista ha emesso un mandato di cattura. Ieri, arrestata Maria C. Machado, poi liberata.
L'Onu boccia Maduro: nessuna trasparenza nel voto
Secondo l’Onu, il Consiglio Nazionale Elettorale del Venezuela di Maduro non ha rispettato nessun criterio di trasparenza e obiettività nel valutare i risultati delle elezioni. Sul piano internazionale prosegue la mediazione per una transizione democratica ma la presenza di Brasile, Messico e Colombia non deve fare illudere.
Elezioni in Venezuela, Maduro tenta l'ennesimo golpe
Con l'80% dei voti scrutinati, la commissione elettorale dà il presidente socialista Maduro al 51,2%; ma era evidente la vittoria delle opposizioni, malgrado le operazioni di voto fossero pesantemente condizionate dall'apparato repressivo del governo.

