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Fine della cristianità, per Zuppi non è un fatto ma un dogma

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Non solo è finita, la vecchia società cristiana è un fardello inutile per il presidente della CEI, che all'assemblea generale annuncia la nuova "buona novella": la secolarizzazione vi farà liberi. Un dato elevato a principio, in base al quale la Chiesa dovrebbe lasciare che il mondo la illumini sulla fede.

Ecclesia 19_11_2025
ALESSANDRO AMORUSO - IMAGOECONOMICA

Per il cardinale Zuppi la secolarizzazione è un kairos, il tempo voluto da Dio, l’opportunità designata dalla provvidenza, la volontà divina che si fa presente nella storia. Lo ha detto nella prolusione dell’Assemblea dei vescovi italiani apertasi ad Assisi il 17 novembre scorso, sostenendo che con la secolarizzazione «ciò che tramonta è un ordine di potere e cultura, non la forza viva del Vangelo … il credente  di oggi non è più il custode di un mondo cristiano, ma il pellegrino di una speranza che continua a farsi strada nei cuori … la fine della cristianità non è una sconfitta, ma un kairos: l’occasione di tornare all’essenziale, alla libertà degli inizi, a quel sì pronunciato per amore, senza paura e senza garanzie».

Abbiamo riportato qui alcuni passaggi significativi di una tesi da respingere nettamente. Intendiamoci, niente di nuovo, l’aveva già sostenuta, non molto tempo fa, il vescovo emerito di Malines-Bruxelles, Josef de Kesel (si veda la rivista Teologia 1/2025) pressappoco con le stesse parole di Zuppi. L’avevano sostenuta molti teologi fin dagli anni Sessanta del secolo scorso, e anche prima. Però che lo ripeta nuovamente il presidente dei vescovi italiani infastidisce comunque.

Se si pensa che la fine della cristianità sia un kairos, allora si pensa anche che la cristianità sia stata un errore durato secoli. Anche questa valutazione non è stata inventata da Zuppi, infatti per esempio è presente in modo organico in Umanesimo integrale di Maritain che risale a circa novant’anni fa. Come è noto, Maritain voleva sostituire alla cristianità una “nuova cristianità”, ma chi ha visto la brutta fine di quest’ultima ha finito per rimpiangere alla grande quella antica. Zuppi pensa che la cristianità non sia stata un kairos e che il Vangelo sia stato coperto e offuscato dalla “civiltà cristiana”.

Di conseguenza apprezza la distruzione che di quella ricchezza spirituale è stata fatta, e ringrazia Dio che sia stata fatta. Egli assimila quella grandiosa epopea cristiana – il lettore si concentri un attimo a pensare cosa abbiano significato quei secoli cristiani … – al potere, alla paura, ad una fede imposta, alla guerra ai nemici, alla difesa di qualcosa da proteggere, alla mancanza di accoglienza e di coraggio. (”Ma come si permette!”, verrebbe da dire).

Suscita fastidio che dica che ora, grazie alla secolarizzazione, si può finalmente annunciare il Vangelo in modo luminoso, come se i santi e i cristiani del passato lo avessero fatto in modo offuscato; che solo ora finalmente si possa «sperimentare la maternità della Chiesa e vivere d’ascolto della parola che diventa vita», come se i nostri padri nella fede non lo avessero già fatto. La societas christiana non è stato un errore, errata è la stupefacente superficialità di questa condanna da parte di chi sostiene, grazie alla secolarizzazione, di non più condannare.

A parte questo enorme svarione della condanna della christianitas, il problema serio è l’applicazione da parte di Zuppi di un dogma, ormai molto diffuso in questa Chiesa priva di dogmi. La società secolarizzata è un dato di fatto. Chi nega che quella di oggi lo sia? Ma i dati di fatto, se considerati solo come tali, sono privi di senso, non esprimono nessuna assiologia; non sono né un valore né un disvalore. Zuppi però la considera un valore e trasforma un dato di fatto in un principio di senso. Un principio addirittura da cui partire per avere luci sulla fede cristiana. La secolarizzazione di oggi è il dogma, giudica il cristianesimo, la Chiesa, la rivelazione, insieme ai secoli cristiani da Teodosio in poi, visti come una zavorra.

Questo atteggiamento mentale è ormai largamente diffuso nei teologi: si parte dalla situazione dell’uomo moderno secolarizzato, tecnologico, scientifico e si ripensa in sua funzione la dottrina cattolica. Ma la situazione attuale secolarizzata non è nata spontaneamente come l’erba, ma è stata prodotta da filosofie e teologie sbagliate, a cominciare dalla Riforma in giù. Essa è stata prodotta da un lungo processo condotto contro la Chiesa. Forze anticristiane hanno prodotto questa secolarizzazione e ora la Chiesa parte da questa secolarizzazione – considerata un kairos – e rivede la propria missione in funzione di una situazione creata da forze anticristiane.

Zuppi fa precisamente questo e in ciò è animato da una mentalità storicistica per cui la situazione attuale è sempre e comunque più giusta e conveniente di quella precedente, dalla quale bisogna liberarsi. Il kairos di oggi è superiore a quello di ieri, anzi quello di ieri non lo era.  Non ci si fa interrogare dal kairos, lo si interroga e gli si fa dire quello che vogliamo che dica. Il kairos indica il tempo qualitativo, ma così diventa tempo quantitativo, ossia sociologia.

Questo spiacevole intervento del cardinale Zuppi avviene nel centenario della Quas primas di Pio XI sulla Regalità sociale di Cristo. Più precisamente ad una ventina di giorni della data della sua pubblicazione, l’11 dicembre 1925. Secondo Zuppi Quas primas non esprimeva nessun kairos, era un errore perché voleva una società cristiana, era un imprigionamento della fede dentro le esigenze inquinanti del potere politico, era la ricerca di un consenso. La Quas primas, stando al discorso di Zuppi, pensava che il Vangelo avesse bisogno di protezione politica e non di cuori che lo incarnassero. Per fortuna dopo di essa sono arrivati la secolarizzazione e il cardinale Zuppi.


Il numero di dicembre della Bussola mensile dedica il primo piano al centenario dell'enciclica Quas Primas e alla regalità sociale di Cristo. Per chiederne una copia o per ulteriori informazioni scrivere a distribuzione@lanuovabq.it



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