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AUSTRALIA

Pell prosciolto, ma sempre nel mirino

Il padre di una delle due presunte vittime torna ad accusare il cardinale George Pell chiedendo un risarcimento per lo shock subito. Il prelato ancora nell’occhio del ciclone, nonostante la sentenza della Corte Suprema, che nel 2020 lo ha prosciolto, ponendo fine a oltre un anno di carcere.

Ecclesia 20_07_2022

Oltreoceano è cominciata una nuova campagna mediatico-giudiziaria ai danni del cardinale George Pell. Più di due anni dopo la sentenza unanime con cui l’Alta Corte d’Australia lo ha scagionato dall’accusa di pedofilia, il porporato è ritornato al centro delle polemiche nel suo Paese. Il padre di una delle due presunte vittime del reato da cui è stato pienamente assolto, infatti, ha avviato una causa civile contro di lui e contro l’arcidiocesi di Melbourne. Il figlio era uno dei due coristi tredicenni che, secondo quanto sosteneva la pubblica accusa, sarebbero stati molestati sessualmente nella sacrestia della cattedrale, al termine di una Messa celebrata nel 1996. A differenza dell’altro protagonista, il ragazzo non ha potuto testimoniare contro Pell perché è morto di overdose appena trentenne nel 2014, dopo una vita difficile per via della dipendenza dalla droga.

E proprio la vita sfortunata del figlio è finita al centro delle recriminazioni del padre contro il porporato. «Davvero, incolpo George Pell. Sento che mi ha portato via mio figlio e non sono solo io, ma anche sua sorella e sua madre», aveva confidato l’uomo al quotidiano The Age nel 2019. Ora è arrivata la notizia dell’azione civile con cui ha chiesto un risarcimento per lo shock di nervi subìto a seguito della morte del figlio e della successiva scoperta della presunta violenza che sarebbe avvenuta nel 1996. Secondo i documenti depositati in tribunale, l’uomo avrebbe sofferto di disturbo cronico e disturbo da lutto persistente, con ansia mista e umore depresso. Circostanze che gli avrebbero fatto spendere soldi per le visite mediche e quindi che avrebbero indebolito la sua capacità di spesa.

A quanto pare la sentenza della Corte Suprema pronunciata il 7 aprile 2020 non è bastata a mettere fine alla vicenda giudiziaria già costata a Pell tredici mesi di detenzione in due penitenziari di massima sicurezza e il divieto di celebrare Messa. La nuova tegola legale arriva mentre il cardinale si trova attualmente in Australia, dove trascorre la stagione estiva per ripararsi dal caldo romano in attesa di tornare nella Città Eterna a fine agosto per la riunione in Vaticano sulla nuova Costituzione apostolica Praedicate Evangelium. In queste settimane, nonostante la ripresa del clamore mediatico su di lui, il prefetto emerito della Segreteria per l’Economia – forte delle recenti parole di apprezzamento di Papa Francesco che lo ha definito un "genio" per la gestione economica – ha girato la sua ex diocesi, visitando l’eparchia di San Tommaso Apostolo e partecipando ad un concerto organizzato dal Progetto Cattolico di Musica Sacra e dall’Istituto Benedetto XVI per la Musica Sacra e il Culto Divino.

C’è poi la questione dell’azione civile contro la Chiesa. L’avvocatessa Geraldine Gray, che difende l’arcidiocesi di Melbourne, non ha escluso che nella difesa opterà per la cosiddetta “strategia Ellis”. Si tratta di una strategia adottata su un caso giudiziario del 2007, quando l’avvocato e vittima di abusi John Ellis fece una causa civile contro l’arcidiocesi, ma la corte d’appello del New South Wales ritenne che i beni ecclesiastici non potessero essere presi di mira come un risarcimento perché la Chiesa non poteva essere ritenuta responsabile di crimini individuali. Questa sentenza ha fatto giurisprudenza sull’argomento. Peraltro, la strategia Ellis venne adottata per la prima volta proprio nel periodo in cui alla guida dell’arcidiocesi di Melbourne c’era il cardinale George Pell. Adesso la legale dell’arcidiocesi, di fronte alla richiesta avanzata dal padre della presunta vittima, ha fatto sapere che il ricorso a quel precedente potrebbe essere la "conclusione logica".