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TRE ANNI FA INIZIò TUTTO

Paura, censura e danneggiati: la pesante eredità del Covid

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A tre anni dallo scoppio della pandemia - con l'isolamento del paziente 1 di Codogno - che cosa resta della stagione pandemica che ci sembra alle spalle? Una pesante eredità di 7 questioni irrisolte e una nuova idea di uomo più vulnerabile di fronte all’emergenzialismo. Dalla paura alla censura, passando per la discriminazione, la Chiesa di Stato, i danneggiati da vaccino e la povertà. Ecco perché sono una predisposizione a reagire allo stesso modo qualora un potere sempre più totalitario dovesse individuare un nuovo nemico col quale fare i conti. 

Attualità 21_02_2023

Tre anni dopo. Il 20 febbraio è passato in sordina, nuove emergenze si affacciano nel presente (la guerra) e nel futuro (la sostenibilità ambientale). Eppure, a tre anni dal tracciamento del paziente 1 di Codogno che ha dato il via alla stagione pandemica, sembra che tutto sia ancora fermo a quel giorno. Certo, il covid non fa più paura, perché la narrazione mediatico politica ha detto che grazie ai vaccini lo abbiamo sconfitto, ma non è altro che una narrazione. La gestione del covid ha cambiato la nostra vita lasciandoci in eredità questioni sospese e irrisolte e soprattutto una nuova idea di uomo e di società più vulnerabili di fronte all’emergenzialismo, che è diventata ormai la cifra di ogni agire.

Cosa resta dunque quella stagione che tre anni fa di questi tempi vedeva il suo inizio? Restano almeno 7 macro-problemi che condizionano ancora la nostra quotidianità e la orientano verso la prossima emergenza. Sono una predisposizione a reagire allo stesso modo qualora un potere sempre più autoreferenziale e totalitario individuerà un nemico col quale fare i conti. Vediamole

  1. 1) Paura. Col covid ci siamo avviati verso la civiltà del panico e dell’irrazionalità. Un’irrazionalità che ancora oggi non è spiegabile con criteri di logica. C’è stato un momento in cui per poter bere il caffè seduti al tavolino serviva il green pass, mentre se si rimaneva al bancone la carta verde non era richiesta. Che ratio aveva quel provvedimento? Nessuna, eppure il governo di allora lo aveva deciso. E ci è andato bene così. E che dire del concetto di congiunti? In macchina non più di due, se si andava a trovare i nonni in un altro comune, anche tre. Gli amici? Se sono affetti stabili – disse il viceministro Sileri – vanno bene, se invece sono amici per modo di dire, compagni di sbicchierate e basta, no. Non puoi andare a trovarli. Contraddizioni evidenti della logica e del buon senso, calpestato per alimentare la paura.
    Abbiamo accettato, in nome della paura, di farci misurare la febbre in ogni momento, di sacrificare la nostra privacy, abbiamo accettato di non usare la ragione. In nome della paura abbiamo lasciato che il nostro corpo venisse abbandonato senza cure, in nome della paura e del panico abbiamo lasciato la ragione in balìa dell’emotività. Il simbolo di questa paura è la MASCHERINA, che è diventata un totem, un lasciapassare. Abbiamo accettato di farcela imporre persino fuori, all’aperto, mentre camminavamo a diversi metri di distanza dagli altri. Ancora oggi c’è chi crede che le mascherine possano proteggerci più del loro limitatissimo uso. Abbiamo visto – e vediamo ancora - adulti in macchina da soli indossarla, abbiamo visto Klaus Davi e tanti altri cantori dell’emergenzialismo fare il bagno al mare con la museruola Ffp2. Abbiamo visto persone con non una, ma due mascherine sul volto. La paura ci ha costretto a rinunciare alla socialità, a rinunciare a viaggi, a mandare all’aria i nostri incontri.
  2. 2) Censura. La narrazione pandemista ha drammaticamente intaccato il nostro concetto di libertà. Abbiamo assistito a censure di parola, censure di libertà di stampa, i social della galassia Zuckerberg hanno svolto volentieri il ruolo di poliziotti del pensiero oscurando ancora oggi chi ha provato a opporsi a questa narrazione; e poi ancora: censure nelle manifestazioni, il giornalismo mainstream ci ha inculcato nella testa neologismi d’infamia, i no mask, i no vax, i negazionisti. Tutto ha avuto il sapore di una immensa strategia orwelliana per farci rinunciare al nostro pezzetto di intangibilità. I portuali di Trieste sono stati trattati alla stregua di guerriglieri urbani, il terrorismo mediatico si è imposto e il bollettino quotidiano è stato il metronomo delle nostre giornate, come un oracolo indiscutibile e onnisciente, con la sicumera di poter essere in grado di spiegare tutto.
    Servivano immagini evocative. Ecco che il sistema politico mediatico si è incaricato di produrle: i camion-bara di Bergamo, le terapie intensive con sottofondo di respiratori meccanici, le zone off limits transennate, i centri storici blindati, Papa Bergoglio da solo in San Pietro, gli idranti contro i portuali di Trieste, le persone sbattute giù dal treno perché senza mascherina, i preti sanzionati perché dicevano messa o svolgevano processioni. Abbiamo dato la caccia ai runner sulla spiaggia non perché fossero un pericolo ma – parola del Governatore emiliano Bonaccini – perché dovevamo dare un messaggio forte.
    Ma anche la libertà di fare è stata messa alla prova. A questo serviva il GREEN PASS, che è assurto a simbolo di questa censura di massa. Un lasciapassare di antico retaggio nazifascista fatto passare come presidio di libertà dai vertici dello Stato, dal Quirinale a Palazzo Chigi in giù. «Il green pass ci darà la certezza di essere insieme a persone non contagiose», disse Mario Draghi nell’introdurlo. Non era vero, non è mai stato vero e oggi lo sanno anche gli alberi. Eppure, lo abbiamo digerito e assimilato, accettato e – alcuni – persino benedetto. La libertà di svolgere il proprio lavoro è stata condizionata, la libertà di andare ad assistere un malato fortemente preclusa, quella di piangerlo in una degna sepoltura… neanche a parlarne. Ma anche la libertà di pensare è stata limitata. Fin da quel 20 febbraio il Ministero della Salute di Speranza aveva deciso con un tratto di penna che per il covid non c’era cura. Ha dato per assodato che non ci fosse alcuna terapia, permettendo che il governo imponesse il criminale protocollo della Tachipirina e vigile attesa, ha accettato il vaccino come Santo Graal raccontandone con toni epici l’arrivo al Brennero. La stampa si è unita in una unica, immensa cooperativa della propaganda.
  3. 3) Discriminazioni. Nel triennio ’20-’22, mentre tutti si riempivano la bocca di pari opportunità e di civiltà dell’inclusione, nessuno ha chiesto scusa per la più grande discriminazione operata sui cittadini dai tempi delle grandi ideologie totalitarie. Chi aveva cani poteva uscire, chi aveva bambini no. Si divideranno in casa padre contro figlio madre contro fratello, e così è stato. Le famiglie chiuse tra quattro mura domestiche hanno sperimentato la solitudine. Il meccanismo impostoci è stato il lockdown. Il risultato è che oggi tanti giovani sono hikikomori, adulti spaventati dalla vita sociale, ancor più attaccati di prima ai loro smartphone, che sono diventati l’unica connessione col mondo nelle loro camere, diventate le loro celle. 
    In fatto di divisione, la più grande è stata quella tra vaccinati e non vaccinati: abbiamo visto fratelli accusare i fratelli di essere untori, irresponsabili, criminali. Libero titolò: “Criminali no vax” e loro, poveretti, in fila in farmacia a farsi il tampone per provare a difendersi dall’accusa di essere irresponsabili. Le delazioni sono state premiate con il volto di Alessandro Gassmann, delatore numero 1. I sani sono stati isolati e i malati in regola con il Gp hanno potuto circolare indisturbati. Il simbolo di questa ubriacatura di discriminazione è stata L’AUTOCERTIFICAZIONE, un foglio nel quale dover giustificare alle autorità tutti i propri spostamenti, senza il quale scattavano multe salate di oltre 400 euro.
  4. 4) Sanità a pezzi. Col medico ridotto a burocrate e passacarte, la sanità è stata massacrata. Oggi la fiducia nella Scienzah come ideologia è altissima, mentre la fiducia nel medico bassa, perché il covid ha mostrato lo stato terribile e pietoso della medicina pubblica. Trovare un medico che va a visitare a casa oggi è impensabile. Ci sono stati medici indagati per aver curato e medici che non hanno curato, ma sono andati in tv e sono diventati virostar, spesso al soldo delle case farmaceutiche, con conflitti di interesse giganteschi da non dover neppure giustificare. Il simbolo di questa deriva? TACHIPIRINA e vigile attesa, una raccomandazione che ha costretto migliaia di persone a morire o ad aggravarsi perché si era deciso di non seguire quei pochi, ma coraggiosi medici, che invece fin da subito hanno affrontato il covid cercando prima di tutto di curarlo a casa in maniera precoce. I Bassetti, i Crisanti e i Pregliasco hanno cantato il jingle natalizio va-va-va vaccinatevi mentre tantissimi camici bianchi sono stati sospesi perché non si sono piegati all’arroganza della Scienzah che imponeva il vaccino senza alcun riscontro. Intanto, le diagnosi di tumori e di altre gravi patologie sono aumentate perché durante la pandemia sono stati sospesi gli screening periodici per affrontare un nemico, il covid, che era curabilissimo nelle sue fasi iniziali con antinfiammatori e antitrombotici.
  5. 5) I danneggiati da vaccino. Sono l’elefante nella stanza che ancora non si vuole vedere. Sono i feriti rimasti sul campo di battaglia, non raccolti e abbandonati a loro stessi, umiliati due volte, prima come vittime e poi come no vax, proprio loro che si erano vaccinati con convinzione. Sono il pulviscolo nell’occhio che inceppa l’ingranaggio della narrazione che il vaccino ci ha salvato e che vede nella SIRINGA il suo simbolo. Sono la prova che i rischi per molti – moltissimi – hanno superato i benefici. La Bussola ha iniziato a raccontare i loro drammi fin dall’inizio nel silenzio assordante del circolo mediatico e a chiede ancora oggi che le istituzioni si facciano carico di questo problema sociale che coinvolge, da una stima spannometrica, almeno 5000 persone che non trovano ascolto e che vengono definiti dai loro stessi medici malati psichiatrici.  
  6. 6) Una Chiesa di Stato. Col covid abbiamo fatto anche le prove generali per una Chiesa di Stato. Il punto più basso fu toccato in diocesi di Cremona, con don Lino Viola, un parroco che un bel giorno si vide piombare in chiesa durante la consacrazione un carabiniere perché la presenza di alcuni fedeli non era autorizzata. Abbiamo vietato i sacramenti, la confessione, abbiamo costretto i fedeli a rinunciare al precetto festivo, che oggi si traduce in una pratica più ridotta, abbiamo cancellato le Messe, abbiamo trascorso Pasque e Natali in anonimato, come una Chiesa del silenzio, ci siamo lasciati dettare dallo Stato anche le regole liturgiche, abbiamo vietato i funerali; ci siamo piegati alla logica igienista tanto che ancora oggi abbiamo preti irriducibili che distribuiscono la comunione don mascherina e GEL antisettici, il simbolo di questa Chiesa di Stato che ha sostituito all’acqua santa il miracoloso disinfettante.
  7. 7) Povertà. La politica dell’emergenza, la salute prima della libertà, l’emergenza che approva farmaci sperimentali, le chiusure indiscriminate di esercizi commerciali e di attività economiche hanno prodotto una crisi economica di fronte alla quale lo Stato ha pensato bene di far fronte con sussidi a pioggia insufficienti per risollevare le sorti dell’economia, ma sufficienti per farla dipendere da un assistenzialismo, che ha visto nella politica dei bonus il suo volto più decadente. In compenso, con il PNRR abbiamo raccontato a tutti che è solo indebitandoci ancora di più con l’Unione Europea che avremmo finalmente svoltato e rimesso l’Italia sul binario giusto. Il simbolo? Un lenzuolo bianco appeso ai balconi con su sritto #ANDRATUTTOBENE E #NEUSCIREMOMIGLIORI.