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IL CASO

Ordine di Malta, invasione di campo sulla Messa antica

Nuove frizioni sulla gestione dell'Ordine di Malta. Una lettera del Gran Maestro impone l'obbligo di non celebrare secondo la forma straordinaria, la cosiddetta messa in latino. La solita guerra tra tedeschi e inglesi. Ma anche - secondo i bene informati - una invasione di campo giuridicamente scorretta. 

Ecclesia 13_06_2019

Una lettera ufficiale firmata dal Gran Maestro Fra' Giacomo dalla Torre del Tempio di Sanguinetto impone l'obbligo interno al Sovrano militare ordine di Malta di celebrare la santa Messa secondo la forma ordinaria del rito romano. La veridicità della missiva è stata confermata al vaticanista americano Edward Pentin da un portavoce di Via Condotti. Una disposizione presa - si legge nel testo indirizzato a Gran Priori e Procuratori dei Gran Priorati, Reggenti dei Sottopriorati e Presidenti delle Associazioni nazionali e datato 10 giugno, per assicurare la comunione dell'Ordine.

Eppure, la notizia della proibizione ha suscitato sentimenti di delusione in non pochi membri. Alcuni di loro, consultati al telefono da la Nuova BQ, hanno rivelato di far risalire la decisione alle tensioni interne che stanno attraversando lo Smom dal 2017, anno della crisi nata per il caso della distribuzione in Myanmar. Al centro ci sarebbe la faida tra la componente tedesca e quella anglosassone: nel mondo inglese, infatti, sono molto comuni le celebrazioni nella forma straordinaria, a differenza di quanto avviene, per esempio, in Italia. Il provvedimento, quindi, secondo le fonti interne ascoltate potrebbe finire per scontentare soprattutto l'ala anglosassone, già uscita sconfitta dalle burrascose dimissioni dell'ex Gran Maestro Matthew Festing.

Una possibile conferma di questa interpretazione potrebbe venire dalla lettera stessa, scritta e diffusa in lingua inglese nonostante la lingua ufficiale del Sovrano militare ordine di Malta sia l'italiano. Analizzando le righe della missiva, sono subito emerse anche agli occhi dei meno attenti delle imprecisioni che per ore hanno fatto persino dubitare dell'autenticità del documento: ad esempio, si parla di "rito ordinario di San Paolo VI" o - successivamente - di "straordinario rito", anziché "forma straordinaria del rito romano" secondo la definizione data nel “Summorum Pontificum” di Benedetto XVI. 

Nella missiva c'è un riferimento esplicito alla Lettera Apostolica del 2007 quando viene scritto che questa "afferma tuttavia che all'interno di un istituto religioso la questione deve essere decisa dal Superiore maggiore a norma di legge e i loro statuti particolari". L'articolo 3 tirato in ballo, però, sancisce che "se una singola comunità o un intero Istituto o Società vuole compiere tali celebrazioni spesso o abitualmente o permanentemente, la cosa deve essere decisa dai Superiori maggiori a norma del diritto e secondo le leggi e gli statuti particolari".

I membri dello Smom consultati hanno evidenziato alla Bussola i loro dubbi sulla correttezza giuridica di questo provvedimento: da parte loro, infatti, si fa notare come potrebbe trattarsi di un "invasione di campo" del Gran Maestro in campo liturgico. E c'è chi non esclude che la questione potrebbe finire all'attenzione della Sezione competente della Congregazione per la Dottrina della Fede operativa dopo la soppressione della Pontificia Commissione Ecclesia Dei. I delusi dal contenuto della lettera, però,  non hanno intenzione di mettere Frà Giacomo Dalla Torre del Tempio di Sanguinetto sul "banco degli imputati": resta immutato, infatti, il rispetto e l'apprezzamento per la figura del Gran Maestro di cui si ricorda anche la non ostilità nei confronti della forma straordinaria del rito romano, ben prima dell'Indulto di San Giovanni Paolo II. Al contrario tendono ad attribuire la presunta paternità dell'operazione esclusivamente ai "tedeschi".

C'è il timore che questa proibizione possa comportare, al contrario dell'intento dichiarato, un allargamento della frattura già esistente tra le diverse anime dell'ordine religioso cavalleresco. Chi non ha apprezzato questa decisione, non ne contesta soltanto la correttezza giuridica, ma soprattutto l'opportunità pastorale dal momento che si teme possa fomentare ulteriormente la divisione interna, oltre che confermare l'affermazione definitiva della cosiddetta ala tedesca su quella anglosassone. Non certo le condizioni migliori per garantire la comunione dell'ordine.