Non solo Namibia, gli altri genocidi in Africa
Ascolta la versione audio dell'articolo
Gli storici hanno definito quello commesso dai tedeschi in Namibia come il primo genocidio del XX secolo. Dopo di esso, ce ne sono stati altri di un certo rilievo, come in Zimbabwe, in Ruanda e, ancora in corso, nel Darfur.

Genocidio e pulizia etnica sono due espressioni che molte volte ormai vengono usate impropriamente, per indicare atti di violenza che, per quanto efferati, non possono e non si dovrebbero definire tali. Il rischio concreto è che in questo modo molti finiscano per non rendersi conto della reale, spaventosa specificità che questi due termini esprimono. Genocidio è l’intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico o religioso. Pulizia etnica è l’uso di intimidazioni e forza per eliminare da un’area un gruppo etnico o religioso.
Nei giorni scorsi è stato rievocato quello che gli storici hanno definito il primo genocidio del XX secolo, commesso nell’attuale Namibia, che all’epoca si chiamava Africa sud-occidentale, e che fu anche una operazione di pulizia etnica. La Germania nel 1884 vi aveva creato una colonia che mantenne fino al 1919 quando, sconfitta nella prima guerra mondiale, perse i territori conquistati in Africa. A differenza dei Boeri, che nel vicino Sudafrica avanzarono nell’interno del continente insediandosi in territori pressoché disabitati, i coloni tedeschi ebbero a contendere i terreni agricoli e da pascolo agli Herero e ai Nama, due etnie in parte nomadi, dedite alla pastorizia transumante, e in parte stanziali, agricole. «Il popolo Herero deve lasciare il paese – ordinò il 2 ottobre 1904 il generale Lothar von Trotha, capo delle truppe tedesche – ogni Herero che sarà trovato all’interno dei confini tedeschi, con o senza un’arma, con o senza bestiame, verrà ucciso. Se non lo fa, lo costringerò a farlo usando l'artiglieria. Qualunque Herero maschio, armato o inerme, con o senza bestiame, trovato entro la frontiera tedesca sarà fucilato. Non accoglierò più né donne né bambini, li ricaccerò alla loro gente o farò sparare loro addosso. Queste sono le mie parole per il popolo Herero».
Fu l’inizio del massacro. Tra il 1904 e il 1908 il rifiuto degli Herero, e dei Nama, di obbedire all’ordine scatenò una serie di campagne militari. Inoltre furono creati dei campi di concentramento nei quali migliaia di persone vennero torturate e uccise. Quasi 40 anni prima dell’Olocausto, i tedeschi idearono e sperimentarono sugli Herero e i Nama metodi e tecniche di sterminio che, perfezionati, avrebbero poi usato contro gli ebrei. In tutto furono uccisi almeno 65 mila Herero su un probabile totale di 80 mila, quindi circa l’81%. Complessivamente, calcolando anche circa 10 mila vittime Nama, si stima che i morti furono più di 70 mila, inclusi donne, bambini e anziani.
Quello degli Herero e dei Nama è stato soprannominato “il genocidio tedesco dimenticato” perché è stato a lungo ignorato, sottostimato, persino smentito. Solo nel 2021 per la prima volta la Germania ha ufficialmente definito il massacro africano un genocidio e solo quest’anno il governo della Namibia per la prima volta ha deciso di commemorarne le vittime istituendo una giornata celebrativa. La scelta è caduta sul 28 maggio perché è il giorno in cui nel 1907 le autorità coloniali tedesche ordinarono la chiusura dei campi di concentramento.
Durante la giornata, che è stata dichiarata festiva, nei giardini del parlamento si sono svolte delle cerimonie ufficiali, seguite da una veglia a lume di candela. Membri della comunità Herero e Nama si sono esibiti nel loro tradizionale grido di guerra, quello che gli uomini un tempo lanciavano prima di una battaglia mentre le donne li esortavano a mostrare coraggio. «È un passo importante per costruire una memoria condivisa e segna l’inizio di un percorso di guarigione nazionale» ha dichiarato il governo namibiano che ha insistito perché la popolazione partecipasse numerosa anche nei piccoli centri e non soltanto nella capitale Windhoek. Tuttavia alcuni rappresentanti Herero e Nama hanno boicottato le celebrazioni. Protestano perché non ritengono adeguato il risarcimento offerto dalla Germania e che il governo namibiano ha accettato. Si tratta di 1,2 miliardi di dollari che verranno spesi nell’arco di trent’anni per finanziare progetti di sviluppo. Troppo poco, dicono, insoddisfatti inoltre per il fatto che Berlino ha rifiutato di prendere in considerazione dei risarcimenti ai singoli discendenti delle vittime. «Dovremmo trovare un certo conforto – ha commentato il presidente namibiano Netumbo Nandi-Ndaitwah durante la solenne cerimonia commemorativa – nel fatto che la Germania ha riconosciuto il genocidio. Possiamo non essere d’accordo sull’ammontare del risarcimento offerto, ma questo rientra nei complessi negoziati che stiamo portando avanti con il governo tedesco dal 2013».
Dopo il 1904 altri genocidi, altre pulizie etniche sono stati compiuti in Africa. Su tutti, per numero di vittime, c’è il genocidio dei Tutsi, nel 1994, in Ruanda: 940 mila morti, uccisi dall’etnia Hutu in cento giorni. Ma altri se ne contano, prima e dopo, perché l’avversione etnica è il fattore strutturale che attraversa tutta la storia del continente. Prima, ad esempio, fu genocidio quello quasi del tutto dimenticato degli Ndebele in Zimbabwe, compiuto tra il 1983 e il 1984, ordinato da Robert Mugabe, di etnia Shona, per aprirsi la via al potere e assicurarselo decimando gli avversari che più temeva. Riuscì nell’intento al costo di 20 mila Ndebele uccisi. Dopo il Ruanda, sotto minaccia di genocidio e pulizia etnica, più di tutte e da più tempo sono le popolazioni agricole di origine africana del Darfur, sulle quali da oltre vent’anni infieriscono le etnie di origine araba. È venuto a ricordarcelo qualche giorno fa, invitato a Roma dalla Comunità di Sant’Egidio, Saad Abdelrhaman Bahareldin, il sultano di una delle etnie vittime di violenza, i Masalit. I civili finora uccisi in Darfur sono oltre mezzo milione e ogni giorno altri se ne aggiungono.