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AFRICA

Nigeria, tensioni e conflitti in attesa del buon governo

Incidenti al nord per l'insediamento del nuovo presidente Goodluck Jonathan, cristiano. Ma anche al sud le cose non vanno meglio.

Attualità 06_06_2011
goodluck jonathan

Il 29 maggio il neo eletto presidente della Nigeria, Goodluck Jonathan, ha prestato giuramento nella capitale federale Abuja, per l’occasione militarizzata così come molte delle capitali statali in cui si sono svolte contemporaneamente le cerimonie di insediamento dei governatori eletti ad aprile. Tuttavia a Bauchi, capitale dell’omonimo stato settentrionale, un attentato è andato a segno: l’esplosione di tre ordigni collocati nei pressi di un mercato ha provocato la morte di 10 persone.
Le vittime di Bauchi aggravano il già drammatico bilancio delle violenze scoppiate in diverse località del nord del paese a partire dal 18 aprile quando la Commissione elettorale nazionale indipendente ha dato la notizia della vittoria elettorale di Jonathan, riconfermato dal voto del 16 aprile nella carica già da lui ricoperta fin dal gennaio 2010 allorchè, in qualità di vicepresidente, era stato incaricato di subentrare al presidente Umaru Yar’Adua, seriamente ammalato e in seguito deceduto.

La collera del Nord, popolato da etnie di religione islamica, si spiega con il fatto che Jonathan è un cristiano del Sud, il primo presidente eletto originario del Delta del Niger, dove si concentrano i giacimenti di petrolio che fanno la ricchezza del paese. La reazione islamica è stata tanto più violenta in quanto il Nord fin dall’inizio ha contestato la candidatura di Jonathan da parte del partito di governo giudicandola una violazione della regola dell’alternanza nord-sud alla massima carica. D’altra parte Jonathan ha governato soltanto per poco più di un anno, il suo predecessore era un islamico del nord ed è questa la considerazione che ha prevalso.

Fatto sta che si contano 800 morti, a cui si devono aggiungere danni materiali consistenti – negozi saccheggiati, case e beni distrutti – e il consueto, inevitabile calvario degli sfollati – decine di migliaia – in cerca di scampo: una realtà alla quale d’altra parte la Nigeria è abituata data la frequenza degli scontri a carattere etnico e religioso, specialmente negli stati centrosettentrionali in cui devono convivere etnie diverse non solo per fede religiosa, in lotta per il controllo dei centri di potere politico e amministrativo, ma anche di risorse economiche vitali come i pascoli, le terre fertili e le sorgenti da cui dipende la sopravvivenza delle comunità rurali delle aride regioni del nord.

La povertà persistente non aiuta certo le oltre 250 etnie nigeriane a convivere e a fondersi in un’unica nazione. A sua volta il tribalismo è un ostacolo insormontabile allo sviluppo. Ed è questa la sfida – “insieme per una nuova Nigeria” – che il presidente Jonathan, nel giorno della sua investitura, ha chiesto alla popolazione di affrontare e finalmente vincere. 12 anni di governi democratici – dopo la lunga era delle dittature militari e della corruzione più sfrenata – non hanno valso a migliorare la vita economica e sociale del paese che da decenni è il primo produttore africano di petrolio. Inoltre, proprio quando la fine delle dittature sembrava portare stabilità e attenuare le tensioni sociali, 12 stati islamici del nord, violando la costituzione, hanno deciso di adottare la legge coranica, assecondando la componente integralista e consentendole di fare proseliti.

Se al centro e al nord il conflitto etnico e religioso crea insicurezza e instabilità, al sud le tensioni derivano dal paradosso di una concentrazione astronomica di ricchezze senza benefiche ricadute sulla popolazione. Il Mend e altri movimenti armati denunciano l’ingiustizia di un popolo in miseria mentre immensi capitali si accumulano altrove. Se spesso sono le multinazionali del petrolio nel mirino degli attentati e delle rivendicazioni del sud, si va facendo strada la consapevolezza che i primi responsabili di uno stato di cose oggettivamente intollerabile sono il governo centrale e i governi degli stati del sud che incamerano i proventi delle attività estrattive senza curarsi di farne il volano della crescita economica e dello sviluppo. Goodluck Jonathan ha promesso che tutto questo appartiene al passato.

C’è da sperarlo. I numeri renderebbero la situazione della Nigeria un problema continentale, di proporzioni ingestibili per l’intera regione, se mai dovesse degenerare: 160 milioni di abitanti, l’84% dei quali vive con meno di 2 dollari al giorno e il 64% dei quali con meno di 1,25 dollari (la soglia della povertà), una speranza di vita alla nascita di 48 anni, persino inferiore alla media continentale di 53.