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INTERVISTA

Nemyria: Il futuro dell'Ucraina è in Europa

«Non posso che essere d’accordo con Giovanni Paolo II perché il destino dell’Ucraina non è quello di un Paese di frontiera, né quello di una nazione-ponte fra Europa e Asia, bensì quello di essere riconosciuta come nazione europea, parte integrante di un continente unificato». Parla Hryhoriy Nemyria, deputato ucraino.

Esteri 07_10_2014
Hryhoriy Nemyria

La guerra in Ucraina è sospesa da una fragilissima tregua, interrotta da sporadici combattimenti e bombardamenti. Prima ancora di pensare a cosa fare per ricostruire il Paese si deve pensare a come fermare il conflitto.

La Nuova Bussola Quotidiana lo ha chiesto a un parlamentare di spicco in Ucraina: Hryhoriy Nemyria. Già vicepremier del secondo governo Tymoshenko, Nemyria riassume in sé entrambe le parti del suo travagliato Paese. È infatti nato e cresciuto a Donetsk, attuale epicentro del separatismo pro-russo, ma ha fatto tutte le tappe della sua carriera politica nello schieramento filo-europeo di Yulia Tymoshenko, fino a diventare il numero due del governo dal 2007 al 2010, con delega ai rapporti con l'Europa. Attualmente presiede la commissione della Rada (parlamento) ucraino dedita all’integrazione europea. Abbiamo incontrato Nemyria nella sede della Regione Lombardia, dove si è recato per la presentazione del libro Ucraina, gas e manette del giornalista Matteo Cazzulani, cronaca del processo Tymoshenko. A margine della conferenza stampa di presentazione, dopo la breve ma intensa testimonianza di Yevheniya Tymoshenko, che non finisce più di ringraziare le autorità italiane per la solidarietà mostrata a sua madre (in carcere dal 2011 al 2014 e tuttora sofferente per le condizioni di internamento), Nemyria invita il pubblico a capire che cosa sia il suo Paese: «Prima di chiedersi cosa l’Ucraina voglia fare un domani, si deve capire che cosa sia oggi»

Onorevole Nemyria, dopo una guerra così violenta, come riconciliare le due parti dell’Ucraina?
Prima di tutto: la guerra continua, non è affatto finita. Prima di sapere cosa ne sarà dell’Ucraina nel dopoguerra, bisogna sapere come porre fine alla guerra. Attualmente i morti sono già 4.000, ma come sappiamo tutte le guerre, prima o poi, sono destinate a finire. E la domanda che ci dobbiamo porre è: cosa fare perché non si ripeta. La risposta che è sempre stata data, universalmente, in tutti i conflitti, è una sola: riconoscere e rispettare le differenti identità, assicurarsi che i diritti di tutti i cittadini siano egualmente rispettati (indipendentemente dalla parte del Paese in cui vivono) e, prima di tutto, è bene che un’aggressione dall’esterno non si ripeta di nuovo. I primi due punti possono essere affrontati dall’Ucraina al suo interno. Il terzo, no. L’Ucraina non può affrontare da sola un’aggressione di una grande potenza quale è la Russia. Per questo credo sia essenziale che i Paesi membri dell’Ue, più in generale l’Occidente per come lo conosciamo oggi, sostengano l’Ucraina, prima di tutto per fermare la guerra in corso, poi per impedire che si verifichi di nuovo. Per fermare la guerra non bisogna rinunciare al negoziato. La forma negoziale di Ginevra si è dimostrata la più valida: Russia, Ucraina, Ue e Stati Uniti quali garanti del Memorandum di Budapest del 1994 (a garanzia dei confini attuali dell’Ucraina, ndr). L’attuale forma negoziale, quella bilaterale di Minsk, fra le sole Russia e Ucraina, non si è dimostrata sufficiente. Una volta fermata la guerra, sarà necessario un secondo piano Marshall per rimettere in sesto le regioni distrutte del Paese, ripristinare le infrastrutture vitali e creare opportunità per le imprese europee che vogliano partecipare all’opera di ricostruzione. Non solo. Gli ucraini, sia dell’Est che dell’Ovest, sono già uniti su un punto molto importante: vogliono tutti far parte dell’Unione Europea. Dunque, più forte sarà la risposta dell’Ue a questo desiderio comune, più uniti torneranno ad essere gli ucraini. Su questo aspetto, in particolare, è fondamentale l’Accordo di Associazione, un trattato di libero scambio che non sia di beneficio a una sola parte della popolazione ucraina, ma a tutti gli ucraini.

Nella sua relazione, Lei ha sostenuto che, prima ancora di chiedersi cosa l’Ucraina possa fare, ci si deve chiedere cosa sia l’Ucraina.Gli studiosi di storia slava, almeno qui in Italia, conoscono Kiev come prima capitale della Rus’, dunque come origine della Russia. Esiste una identità nazionale ucraina diversa da quella russa?
Prima di tutto, da storico, sono completamente in disaccordo con questa interpretazione che vede in Kiev la prima capitale della Russia, o addirittura l’origine della nazione russa. Kiev esisteva prima della nascita della Russia e il cristianesimo è arrivato ai russi attraverso Kiev. Ma non si può dire che sia stata la “prima capitale russa”, come molti affermano oggi, o che sia la madre dell’attuale Russia. Tornando all’oggi, piuttosto, prima di sapere dove una nazione vorrà andare, deve prima di tutto sapere cosa sia. E io sono convinto che l’Ucraina abbia vissuto due momenti-chiave: con due rivoluzioni pacifiche, nel 2004 e nel 2013, gli ucraini si sono definiti europei, hanno dato all’Ucraina un’identità di nazione europea, il cui futuro è nell’Unione Europea. Questa identità e queste aspirazioni non significano affatto una rottura con la Russia. Non siamo una nazione anti-russa. Perché anche la Russia sta definendo la sua stessa identità e si chiede dove voglia andare nel prossimo futuro. Purtroppo, in questi anni, si sta ri-definendo come una grande potenza, i cui obiettivi sono incompatibili con la pace europea. Nonostante tutto, sia la popolazione che i politici ucraini non sono contrari alla Russia in sé, o ai russi. Semplicemente non accettano quel governo russo che ha reso possibile questa guerra non dichiarata contro il nostro Paese.

Ma a questo punto come sarà possibile riconciliare il futuro dell’Ucraina con quello della Russia?
Il miglior esempio storico è quello di Germania e Francia. Non ricordiamo altri due Paesi così mortalmente nemici nella storia recente. Eppure adesso coesistono fianco a fianco, hanno una frontiera aperta, sono militarmente alleati. I principi europei di riconciliazione sono quelli che hanno reso possibile una metamorfosi così profonda e devono essere perseguiti anche nel nostro caso: interdipendenza economica, libero scambio e il rifiuto di un potere di veto di un Paese sulle scelte sovrane dei suoi vicini. Quando la classe dirigente russa accetterà di rinunciare al suo potere di veto sulle scelte di politica estera ed economica dell’Ucraina, ma anche della Moldova e della Georgia, non ci sarà alcun problema a ristabilire rapporti di amicizia.

San Giovanni Paolo II parlava di un’Europa unita dall’Atlantico agli Urali, capace di respirare con i suoi due polmoni: quello occidentale e quello orientale. A Suo avviso è un’Europa possibile e come arrivarci?
Non posso che essere d’accordo con Ivan II, il nome con cui conosciamo San Giovanni Paolo in ucraino e in russo. Non per nulla era nato e cresciuto in Polonia, in quello che può ben essere definito un Paese di frontiera fra i due mondi europei. Ciò di cui parlava era l’aspirazione ad una Europa unita e libera. C’è già una nazione ortodossa dell’ex Patto di Varsavia nell’Ue: la Romania. Altri Paesi a maggioranza ortodossa, come l’Ucraina appunto, ma anche la Georgia, hanno aspirazioni europeiste. E l’unificazione delle due parti d’Europa realizzerebbe il pieno potenziale del continente. Non posso che essere d’accordo con Giovanni Paolo II perché il destino dell’Ucraina non è quello di un Paese di frontiera, non è neppure quello di una nazione-ponte fra Europa e Asia, bensì quello di essere riconosciuta come nazione europea, parte integrante di un continente unificato.