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ITALIA

Morale e politica in corto circuito

La soluzione non sta in una purezza impossibile né in leggi perfette,
ma nel dare spazio alla società civile, ricordando la realtà del male.

Attualità 05_04_2012
Umberto Bossi

Quando le procure si mettono in moto e scoppiano casi come quello capitato alla Lega Nord in questi giorni, i giornali si riempiono di scontate osservazioni: va rispettata la presunzione di innocenza, bisogna fare trasparenza nei bilanci dei partiti, i primi a chiedere pulizia sono i militanti direttamente interessati, ci vuole più moralità, c’è una responsabilità personale ma ce n’è anche una politica e così via. A ciò si aggiungano l’idea del complotto, le opposizioni interne che ne approfittano e, specifico per la Lega, il ricordo del cappio agitato alla Camera e dei manifesti contro Roma ladrona: il quadro giornalistico è così completo. Con il solito corredo di dati personali dei soggetti coinvolti alimentato dagli archivi dei giornali. E’ possibile, però, anche qualche altro ragionamento.


Ci capita sempre più spesso che quando parliamo di morale la mettono in politica, quando vogliamo parlare di politica tirano fuori la questione morale. E’ come il gioco delle tre carte. Parliamo di morale della famiglia o della vita e ci dicono che, poiché si tratta di morale, non riguarda la politica. Parliamo della riforma della vita dei partiti e ci dicono che non è una questione politica, ma morale relativa a responsabilità personali. Davanti alla crisi della politica rispondono che servirebbero uomini onesti e la spostano sulla morale. Alla crisi della morale nei partiti ci dicono che ci vorrebbero nuove leggi sui partiti e la spostano sulla politica. Le opposizioni interne tuonano contro l’immoralità di chi è al potere nel partito, ma hanno come scopo la conquista del potere politico. Chiedendo che gli onesti, cioè loro, vadano al potere si confonde ancora una volta la moralità con la politica.


Con la morale non si fa politica: è vero. Ma senza morale si fa una pessima politica. Morale e politica sono tra loro intrecciate, bisogna saper dare il suo ad ognuna delle due e farle interagire continuamente. Anche per far fronte a problemi come quelli sollevati dal caso Belsito.

La soluzione non può venire né da “fate spazio a noi che siamo puri” né da modifiche giuridiche e procedurali della vita politica, cioè né dal moralismo né dal pragmatismo perché ambedue le soluzioni separano morale e politica.

Non è sufficiente chiedere riforme legislative. L’esito del referendum fu aggirato con una legge che non finanziava i partiti ma rimborsava le spese elettorali e oggi, partiti che non esistono politicamente più come la Margherita continuano a percepire rimborsi elettorali. Potrà essere utile chiarire meglio lo statuto giuridico dei partiti perché troppo si gioca ora sul fatto che sono una associazione privata ora sul fatto che sono strutture fondamentali per la democrazia, e quindi di pubblica utilità, a seconda della convenienza. Non si risolverà però il problema in questo modo perché in Costituzione il posto dei partiti è chiaro ma non è servito a molto. Utile, ma non risolutivo, anche un aumento di democrazia interna ai partiti. La Lega ha cominciato a vivere le tensioni che poi hanno condotto ai nostri giorni quando Bossi ha dovuto allentare il suo pugno di ferro sul partito. Non è detto che la democrazia interna sia la soluzione di tutti i mali, perché anche la democrazia ha bisogno di qualcosa che la sostenga e non può essere essa l’anima ultima della vita politica.


C’è un punto in cui i temi della morale e della politica si toccano in modo significativo. Oggi i partiti, anche nelle nuove forme dei “partiti del leader”, occupano troppi spazi nelle istituzioni e nella società civile. In termini più crudi: hanno troppo potere. Una riforma dei partiti che abbia risvolti morali e politici ad un tempo deve prevedere un loro ridimensionamento attraverso una revisione della presenza dello Stato e una liberazione della società civile, che è l’insieme dei mondi aggregativi in cui si vive originariamente la tensione morale e ideale. Anche i nuovi partiti che si sono proposti come antagonisti rispetto alla “vecchia politica” poi di fatto hanno occupato le istituzioni da un lato e la società civile dall’altro.

Questo è possibile perché le connivenze tra istituzioni e società civile sono troppo intense e gli intrecci troppo stretti. Se gli enti pubblici si ritraggono e lasciano spazio alla società civile si favorisce la libertà e insieme l’assunzione di responsabilità morale attorno a delle finalità ideali comunitarie. Cresce la moralità civica complessiva e si effettuano azioni di controllo reciproco fisiologico perché la credibilità etica dei soggetti della società civile viene premiata sul campo e trova alimento nei propri aderenti piuttosto che dai legami istituzionali.


Nel paragrafo 25, l’enciclica Centesimus annus (1991) di Giovanni Paolo II parla del peccato originale come criterio per comprendere anche le dinamiche della vita sociale e politica. «L’uomo tende verso il bene – vi si legge – ma è pure capace di male; può trascendere il suo interesse immediato e, tuttavia, rimanere ad esso legato». L’organizzazione sociale, quindi, dovrà sviluppare sia l’assunzione di responsabilità personale e formare alla moralità privata e pubblica sia dovrà prevedere meccanismi e procedure di controllo e trasparenza. Ma non dovrà assolutizzare oltre misura né la prima né la seconda dimensione.

Poco fruttuoso pensare a nuove leggi sui partiti se i partiti continuano a concepirsi come onnivori e soffocanti l’assunzione di responsabilità nella società civile. Poco fruttuoso sperare che il miglioramento della situazione dei partiti possa giungere da sedicenti politici onesti. La morale dà alla politica la coscienza del bene comune che le toglie l’illusione procedurale e organizzativa; la politica dà alla morale la concretezza della risposta ai bisogni che le impedisce di fuggire nel purismo utopico.