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VIRUS E SCUOLA/2

Maturità al ribasso: scelta comoda, ma non la più giusta

Il Decreto scuola ai raggi X. Maturità: l'unica prova con 60 punti sarà un'ingiustizia per i bravi e un'omologazione dei voti. Era meglio rinviare a fine agosto. Così il campionato di calcio è più importante della scuola che deve finire a giugno. Idem per l'assenza dell'esame di III media e per il "tutti promossi" comunicato ora. E sull'adozione dei libri c'è stata mancanza di libertà. 

Educazione 09_04_2020

Le voci circolate nei giorni scorsi, presentate dal Ministro dell’istruzione Azzolina alla trasmissione Che tempo che fa condotta da Fabio Fazio, sono state confermate dal Decreto scuola approvato dal Consiglio dei Ministri il 7 aprile. Vengono impartite linee fondamentali che riguardano gli Esami di Stato della scuola secondaria di secondo grado, della scuola secondaria di primo grado, la valutazione in sede di scrutinio finale per le altre classi di ogni ordine e grado, l’adozione dei libri di testo per l’anno scolastico 2020-2021.

Andiamo con ordine. Per quanto riguarda gli Esami di Stato delle superiori sono confermati i due scenari previsti e già anticipati, a seconda che si ritorni tra i banchi di scuola entro il 18 maggio oppure no.

Nel primo caso è mantenuta l’impalcatura tradizionale dell’esame: due prove scritte e la terza orale. La prima prova di italiano verrà preparata dal Ministero. Per la tipologia A (analisi di testo) credo che si terrà conto del fatto che nella maggior parte delle scuole non sarà stata affrontata la letteratura fino alla fine del Novecento, programma già di difficile svolgimento senza l’emergenza coronavirus; probabilmente verranno proposti autori della seconda metà dell’Ottocento e della prima metà del Novecento. La seconda prova di indirizzo verrà formulata dalla scuola in modo tale da tener conto dei programmi effettivamente svolti. I commissari saranno tutti interni, mentre il presidente sarà esterno.

Credo che questa opzione sia carica di buon senso oltre che auspicabile. Rispetta la preparazione degli studenti, le competenze su cui hanno lavorato in questi anni (la capacità di argomentare e scrivere nella prima prova, le competenze generali e specifiche di ogni ordine di scuola nella seconda prova scritta e  in quella orale, ecc.), la correttezza delle differenti preparazioni degli studenti, salvaguardando la necessità di andare incontro a tutti i ragazzi e a tutte le situazioni delle scuole (quelle che sono riuscite ad offrire un buon servizio di didattica a distanza, ma anche quelle che hanno faticato al riguardo) e valorizzando le diversità di preparazione e di impegno profuso dagli alunni.

Nel secondo caso, invece, se gli studenti non ritorneranno a scuola entro 18 maggio, sosterranno un’unica prova orale che li premierà con un massimo di sessanta punti. In un’ora di interrogazione a distanza (la cui oggettività è ancora da dimostrare) verranno assegnati più punti di quanto lo studente abbia maturato in cinque anni di scuola. Sarà, ha detto il Ministro Azzolina, una prova seria. Il secondo scenario presenta, però, una serie di criticità. Che cosa significa serietà della prova orale? Forse che gli studenti verranno interrogati e valutati con professionalità e scrupolo? Credo che la serietà debba in primo ordine essere messa in campo nella proposta di una prova finale che rispetti il percorso dei cinque anni, le aspettative degli studenti e quanto fino a pochi mesi fa  era stato chiesto loro come competenze per l’uscita dal percorso della scuola secondaria di secondo grado.

Prendiamo ad esempio una quinta Liceo scientifico: fino alla terza i ragazzi hanno lavorato con la consapevolezza di dover svolgere un tema, affrontare una prova di matematica, una terza prova (il cosiddetto quizzone) e l’orale; in quarta è stato comunicato loro che avrebbero svolto due sole prove scritte (la seconda delle quali non più esclusivamente di matematica, ma anche di un’altra materia scientifica) e l’orale; quest’anno ad un mese dall’Esame conosceranno che tipo di prova li aspetta.

Quindi, già l’anno scorso era avvenuto un cambiamento in corso d’opera all’interno del triennio con la modifica del credito scolastico da attribuirsi agli studenti: con valore retroattivo si è stabilito che i crediti massimi con cui un ragazzo potesse arrivare agli Esami fossero 40 e non più 25, come accadeva fino all’anno precedente. Sottolineavo già l’anno scorso l’iniquità della procedura: cosa accadrebbe se venisse stabilito di assegnare ad una squadra quattro punti per la vittoria (anziché tre) una volta che il campionato di calcio fosse già ai due terzi del calendario?

L’anno scorso non si sono sentite polemiche al riguardo, né da parte degli insegnanti né tantomeno da parte degli studenti, per un semplice motivo, credo: perché per adeguare i crediti al nuovo sistema il Ministero aveva stabilito di assegnare a tutti gli studenti diplomandi nel 2019 nove punti in più (ovvero il massimo dei crediti che lo studente avrebbe potuto acquisire nel biennio precedente se avesse raggiunto la fascia più alta nella media dei voti), indistintamente, a prescindere dal merito scolastico. In questo modo, è avvenuta una grave ingiustizia nei confronti di coloro che avevano ottenuto risultati scolastici soddisfacenti e si è creata un’omologazione dei voti verso l’alto. Chiaramente non sono sorte polemiche nei mesi precedenti l’esame.

Questa modalità di procedere non ha valorizzato l’impegno e il merito effettivo. Il fatto che quasi nessuno si fosse lamentato o avesse contestato il criterio testimonia come ormai a scuola dominino il democraticismo, l’egualitarismo, la finta difesa delle cosiddette categorie deboli, l’assenza della valorizzazione dell’effettivo impegno nello studio. Senz’altro era positivo che gli studenti arrivassero alle prove con un punteggio di crediti scolastici che poteva ammontare a 40 punti al massimo su 100 (contro i 25 punti che poteva conseguire fino all’anno scorso lo studente che avesse superato in ciascun anno del triennio la media del nove).

Un ragazzo avrebbe diritto di sapere all’inizio del triennio a quale tipo di Esame andrà incontro, non è corretto che lo sappia ad inizio del quinto anno, figuriamoci poi a metà dell’ultimo anno, come è avvenuto nel 2019, o a maggio come quest’anno, quando il 18 maggio, esattamente ad un mese dall’inizio dell’esame, gli studenti sapranno che tipo di esame dovranno affrontare. Ma non sarebbe più corretto essere rispettosi del percorso dei cinque anni, valutare in modo vero gli studenti in base alle competenze che si erano richieste fin dall’inizio? Se è possibile valutare gli studenti con l’utilizzo di strumenti tecnologici e informatici che garantiscano un’effettiva correttezza e validità delle prove anche a distanza, allora si potrebbero sostenere le prove anche a giugno. Se ciò non fosse possibile, come immagino da quanto sto verificando attualmente nella didattica a distanza (perché le possibilità che un ragazzo copi o usi strumenti indebiti è altissima), dovremmo aspettare e attendere un paio di mesi. Si potrebbe pensare ad un esame tra fine agosto e inizio settembre in modo da far partire le università e le scuole regolarmente, forse una o due settimane più tardi.

Mostreremmo che cosa significhino davvero serietà, rispettare gli impegni presi, saper rispondere a richieste, superare ostacoli senza spostarli. Scommetteremmo davvero sul mondo della scuola, degli insegnanti e degli alunni. Mostreremmo che per parlare di serietà non basta usare il termine e appiccicarlo al mondo della scuola, perché della serietà non ci si riempie la bocca e i discorsi, la serietà si dimostra sul campo.

La pazienza è una grande virtù, mentre la fretta è cattiva consigliera. Dovremmo chiederci quale sia il fine di far sostenere un Esame di Stato di questo genere così con precipitazione, un esame che non è in linea col percorso, con quanto gli studenti si aspettavano fino a poco tempo fa.

Che messaggio si trasmette ai ragazzi dal mondo degli adulti? Che un campionato di calcio è cosa più seria della scuola e va concluso garantendo meritocrazia e risultati sul campo, senza cambiare punteggi e valutazioni, mentre per la scuola l’importante è terminare in tempo entro le date di giugno, senza poter chiedere un supplemento dopo tale data? Che non si può chiedere di sostenere sacrificio e fatica in più in vista di una preparazione e di un percorso che possa contribuire in maniera valida all’anno successivo (che sia all’università o alle scuole superiori di secondo grado)?

È dall’impegno con la realtà che passa l’educazione, non dal disimpegno.

Devo dire che il messaggio inviato agli studenti dell’ultimo anno della Scuola secondaria di primo grado è ancora più deleterio. Promossi tutti senza dover sostenere gli esami finali conclusivi del ciclo, ma dovendo consegnare solo una tesina scritta, se i ragazzi non torneranno a scuola entro il 18 maggio. Come saranno pronti per le superiori ragazzi che da febbraio non studiano, non si preparano e che da oggi non penseranno più all’Esame (dal momento che le probabilità di rientrare a scuola entro il 18 maggio sono molto basse)? Se già oggi la preparazione di studenti che approdano alle superiori è sempre più scarsa, cosa accadrà l’anno prossimo? Gli insegnanti si faranno davvero carico delle lacune spaventose relative a competenze e cultura di base propedeutiche al lavoro successivo? A parole, magari sì; nei fatti tutti coloro che lavorano nel campo sanno che la realtà è nella maggior parte dei casi diversa.

Lo stesso problema si presenterà per tutti i ragazzi delle superiori che già dall’inizio di aprile hanno sentito dal Ministero un messaggio chiaro: promozione per tutti, con recupero delle eventuali lacune a settembre, una volta che l’anno scolastico precedente è già superato.

Devo dire che questa comunicazione è improvvida e decisamente inopportuna a questo punto dell’anno scolastico, quando alcune scuole già da tempo hanno cercato di lavorare con impegno a distanza e altre si stanno attivando. In questi due mesi avremmo potuto ottenere risultati più proficui se fosse stata trasmessa la serietà dell’impegno premiato. Bisogna tener conto delle difficoltà delle scuole, dell’emergenza, ecc.: tutto ovvio e più che comprensibile. Ma non affermiamolo apertis verbis e con discorsi due mesi prima della fine della scuola. Teniamone davvero conto in sede di scrutinio dopo che ciascun ragazzo abbia davvero dato il meglio. L’aspetto psicologico nel mondo della comunicazione e della didattica è fondamentale: se un ragazzo capisce (e i ragazzi capiscono e sono furbi) che con un insegnante o in un certo contesto si può evitare la fatica, subito smette di lavorare, nella maggior parte dei casi.

Ultimo punto che affrontiamo del Decreto scuola: l’adozione dei libri di testo per l’anno scolastico 2020-2021. Vengono adottati quelli dell’anno precedente, nel caso in cui sì non si tornasse a scuola. Semplice. In pattumiera in un istante il lavoro di un anno delle case editrici, degli autori dei libri, la libertà di educare e di scegliere nuovi testi. Mi chiedo io: ci sono nuovi libri pubblicati, abbiamo la possibilità di adottarli con gli strumenti a distanza e con un collegio docenti organizzato on line, che cosa impedisce allora di attuare le adozioni con libertà? Nelle scuole in cui questo non accadesse, per impossibilità reale o negligenza, verrebbero automaticamente adottati i libri dell’anno scolastico precedente. Mi sembra semplice ed è garantita la libertà. Una parola che in queste settimane e in questi mesi non deve rimanere solo parola. Abbiamo bisogno, in questi giorni di forzata permanenza a casa, di sperimentare che la libertà non è davvero venuta meno.