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PACE

Maria Corina Machado, un Nobel a un altro Venezuela possibile

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Il Nobel per la Pace non va a Trump, ma sorprende ugualmente: lo vince Maria Corina Machado, oppositrice della dittatura venezuelana di Maduro. Uno schiaffo al populismo di sinistra.

Editoriali 11_10_2025
Maria Corina Machado (La Presse)

Un Nobel per la Pace che, al tempo stesso, conferma le previsioni ma ugualmente sorprende. Conferma, come tutti già subodoravano, che Trump non avrà mai il Nobel, nonostante i suoi sforzi di porre fine al conflitto in Medio Oriente. Il Comitato si difende affermando che il Nobel del 2025 è per i meriti del 2024 e Trump non è arrivato in tempo. Sarà. Ma a Obama era bastato insediarsi alla Casa Bianca per ricevere il prestigioso premio nel 2009. Per darlo a Trump, invece, non basta mai: non sono bastati gli Accordi di Abramo del 2020, né quelli più recenti per la pace a Gaza e neppure quelli fra Armenia e Azerbaigian che pongono fine a un conflitto pluridecennale. Il Nobel, al tempo stesso, sorprende tutti perché è stato assegnato ad una combattente pacifica contro la dittatura di estrema sinistra del Venezuela, una figura politicamente scorretta e amica di Trump: Maria Corina Machado.

Queste le motivazioni del premio: «per il suo instancabile lavoro nella promozione dei diritti democratici del popolo venezuelano e per la sua lotta per raggiungere una transizione giusta e pacifica dalla dittatura alla democrazia». «In un momento in cui la democrazia è sotto minaccia, è più importante che mai difendere questo terreno condiviso», ha dichiarato Jorgen Watne Frydnes, presidente del Comitato norvegese. Lo stesso Frydnes, nel suo intervento ha ricordato che il Venezuela «è passato dall’essere un Paese relativamente democratico e prospero a uno Stato brutale e autoritario, oggi afflitto da una grave crisi economica e umanitaria».

Trump ha accolto la notizia della vittoria della Machado con un silenzio glaciale, perché sperava comunque di vincerlo lui. Ha lasciato commentare la notizia dal portavoce della Casa Bianca, Steven Cheung: «Il Comitato per il Nobel ha dimostrato di anteporre la politica alla pace». Ma il presidente americano dovrebbe essere contento, se solo non pensasse esclusivamente a se stesso. Perché il premio alla Machado è un assist alla sua politica estera, un riconoscimento anche della sua stessa battaglia, contro il regime venezuelano, per di più in un momento di massima tensione fra gli Usa e la dittatura di Maduro.

Maria Corina Machado, infatti, non ha perso tempo e ha immediatamente lanciato un appello al presidente Usa: «Questo immenso riconoscimento della lotta di tutti i venezuelani è uno stimolo per portare a termine il nostro compito: raggiungere la democrazia. Siamo alle soglie della vittoria e oggi più che mai contiamo sul presidente Trump, sul popolo degli Stati Uniti, sul popolo dell’America Latina e sulle nazioni democratiche del mondo come nostri principali alleati per raggiungere la libertà e la democrazia».

La Machado non intende semplicemente rovesciare un dittatore per sostituirlo con un governo democraticamente eletto. Intende, in linea con tutto il movimento conservatore, cambiare la vita dei venezuelani.

Deputata dell’opposizione a Chavez dal 2011 al 2014, aveva osato contraddire il leader bolivariano quando era all’apice della sua potenza. In una sua intervista alla rivista Forbes, ricordava: «A un certo punto, lui (Chavez, ndr) ha iniziato ad attaccare me e la mia famiglia. Così, quando mi ha dato la possibilità di parlare, mi sono alzata e gli ho raccontato cosa stava succedendo in questo Paese. La distruzione del comparto produttivo, tutte le famiglie senza cibo, l’insicurezza, gli omicidi. E gli ho detto: “L’esproprio è un furto!”. E questo provocò una grande agitazione, perché era la prima volta che qualcuno diceva a Chavez in faccia quello che stava facendo».

Leader del partito liberale Vente Venezuela, figlia di un ingegnere e imprenditore, attivista politica sin dall’inizio del regime di Chavez, prima come fondatrice della ong Sumate, poi come parlamentare, la Machado era stata eletta leader delle opposizioni riunite con il 92% dei voti nelle primarie. Ma non aveva potuto candidarsi nelle elezioni del 2024 perché il regime chavista l’aveva esclusa dalla competizione elettorale per via giudiziaria. Aveva però instancabilmente sostenuto, in tutto il paese (subendo angherie e arresti dei membri del suo staff), il candidato che l’aveva sostituita, Edmundo Gonzalez Urrutìa.

«Da dove cominciamo? Dobbiamo fare ordine in casa – dice la Machado del suo programma politico di riforma - Nessuno sa quali siano i dati macroeconomici del Venezuela. Nessuno conosce la reale entità del nostro debito, la quantità di petrolio che produciamo, l’entità delle nostre riserve! Sappiamo solo che stanno rubando, che stanno saccheggiando questo Paese. Abbiamo perso 23 miliardi di dollari, solo nella PDVSA, il gigante petrolifero di proprietà dello Stato (…) Abbiamo bisogno di un processo che chiamiamo “stabilizzazione espansiva”. Così come stabilizziamo la situazione monetaria e fiscale, iniziamo a mettere il Paese sulla strada della crescita».

La Machado si oppone al populismo dell’estrema sinistra latina, con l’unica politica possibile: quella del ritorno alla responsabilità personale. La stessa battaglia che Trump vorrebbe (e dovrebbe) sostenere in tutta l’America latina. Se solo riuscisse a superare il rancore di un Nobel che avrebbe meritato, ma che non ha ricevuto.



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