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STATO VEGETATIVO

Mamma muore e papà scrive un libro: "Ti dico la verità"

Nel libro si narra la storia di Luca e di sua moglie Viviana, entrata in stato vegetativo quando Mattia aveva poco più di sei mesi e morta dopo quattro anni. "Ti dico la verità", è la storia di una famiglia, al tempo stesso spezzata e tenuta in piedi, con una capacità esemplare di coraggio.

Cultura 23_02_2018

“Ti dico la verità”, è una lettera ad un figlio, un lascito a sé, una memoria del tempo, il grido di dolore e di salvezza che un uomo ferito è riuscito a pronunciare. Nel libro edito da Lindau e scritto da Paola Turroni, si narra la storia di Luca Nisoli e di sua moglie Viviana, entrata in stato vegetativo quando Mattia, il loro figlio, aveva poco più di sei mesi, e morta dopo quattro anni.

Luca nel giro di pochissime ore, si è ritrovato a vivere il dramma inesorabile di una moglie costretta in un letto, senza appigli a cui aggrapparsi, con un bambino da gestire, crescere, amare. Con fatica, questo giovane uomo si è rialzato ed è riuscito a sconfiggere i demoni che ogni notte lo visitavano, perché è riuscito a guardare oltre la propria dimensione personale. Aveva Mattia da crescere, da proteggere, da guardare negli occhi senza negargli mai nulla, senza edulcorare una realtà che non poteva essere celata. Luca ha imparato a diventare padre grazie a Mattia raccontandogli la verità, crescendo con lui, senza aver mai la pretesa di sostituirsi alla madre. 

È una storia quella contenuta in “Ti dico la verità” che richiama tutti noi, a quella semplicità del vivere tipica di quella civiltà novecentesca che il mondo moderno sembra aver cancellato. A muoverlo forse un moto inconscio, neppure razionalizzato a dovere. Istintivo, come molte delle azioni che spesso si è trovato a dover compiere nel frangente di un secondo. Come un saggio naturale, senza costruzioni intellettuali, schemi prestabiliti, metodi indotti. Luca si è mosso con il semplice istinto del buon senso. Proprio come gli uomini di una volta, quando in tempo di guerra o di carestia, senza dotte pretese di salvezza, salvavano. Senza precetti religiosi da osservare, manifestavano il sacro dentro i loro gesti. Questo libro non è nato con la pretesa di insegnare qualcosa a qualcuno, per indicare una via od un metodo. Non vi è neppure la tentazione di offrire una scorciatoia, o di edulcorare una verità dura, come solo quella che appartiene alla realtà ci può offrire.

C’è anche una bellezza senza confini nelle pieghe di queste pagine: la forza e la determinazione dell’amore. Quando è iniziata l’avventura che ha portato alla scrittura di questo volume, Luca ha palesato immediatamente una volontà: pubblicare questo libro per fare memoria di sé a stesso, a Mattia, per offrire la possibilità ad altri di confrontarsi con quel dolore di cui l’umanità è piena, per dare la possibilità ad altri padri, madri e figli di sentirsi meno soli dentro il dramma della malattia, della morte, della disperazione.

Ecco allora che le parole possono diventare salvifiche quando sanno incarnare la precarietà che ognuno di noi porta in dote come un bagaglio, una valigia, un macigno da sopportare. “Gli altri” questa è la chiave di lettura. Chi come Luca ha vissuto un’esperienza come quella narrata in queste pagine, ha solo due possibilità: o diventare cinico cercando legittima giustificazione nel dolore che lo ha pervaso, oppure guardare agli altri con lo sguardo di colui che è caduto e si è rialzato ed ora ha la possibilità di capire cosa vuole dire precipitare e salvarsi. 

Luigi Zoja, psicoanalista di fama mondiale, in un suo libro, “La morte del prossimo” scrive: “L’esperienza del prossimo è evaporata perché è diventato irreale lo spazio in cui la sentivamo”. Ecco, in un piccolo paese della bassa bergamasca, anche questa “sentenza” è stata confutata. Il prossimo accanto a Luca ha prevalso, lo spazio di vita è rimasto reale, concreto, anche duro nella sua cruda verità. Così, accanto alla suggestione di mettere nero su bianco i propri passi, il protagonista del libro ha da subito espresso la volontà di fare in modo che quella prossimità non fosse solamente un’attitudine del cuore, ma si potesse trasformare in qualcosa di concreto, in grado di guardare agli altri, di aiutare chi a differenza sua non ha avuto e non può avvalersi di una famiglia di origine in grado di sostenere la sfida, di reggere le fatiche e la sofferenza.

“Ti dico la verità” dunque si pone due obbiettivi, il primo intrinseco nelle ragioni stesse che caratterizzano qualsiasi pubblicazione, ossia fare cultura, promuovere una narrazione di senso che sappia entrare empaticamente in contatto con il lettore. Il secondo, di carattere sociale, ossia promuovere solidarietà, attraverso un progetto concreto di sostegno a famiglie con bambini e ragazzi che stanno vivendo un periodo di difficoltà dovuto ad avvenimenti simili o comunque affini a quanto è accaduto a Luca e alla sua famiglia. "Ti dico la verità", è la storia di una famiglia, al tempo stesso spezzata e tenuta in piedi, con una capacità esemplare di coraggio, restituendo a noi che la incontriamo una saggezza profonda, a tratti inesorabile, che ci accompagna lungo il loro cammino.