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l'intervista / mons. Mouawad

L'unità tra i libanesi è il primo passo per costruire la pace

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Per allontanare i venti di guerra dal Libano occorre il sostegno della comunità internazionale, ma non meno decisivo è lo sforzo per «vivere come fratelli e sorelle, come un’unica comunità»: così il vescovo di Zahle dei Maroniti riassume il messaggio di Leone XIV. 

Ecclesia 03_12_2025

da Beirut

Nella prima mattinata di martedì 2 dicembre, ultimo giorno della sua permanenza in Libano, il Santo Padre Leone XIV ha toccato da vicino le ferite del Paese. Di buon mattino ha visitato l’Hopital de la Croix, ospedale psichiatrico di eccellenza, unico nel suo genere in Medio Oriente, e di seguito ha incontrato al porto di Beirut i familiari delle oltre 200 vittime dell’esplosione del 4 agosto 2020. Perdendo la sua abituale imperturbabilità, Leone XIV ha accostato al suo i volti lividi di madri, padri, fratelli, sorelle, figli, che da anni chiedono verità e giustizia per i loro cari. Nel settembre 2024 una rappresentanza dei familiari delle vittime fu ricevuta in San Pietro da papa Francesco, e da allora l’inchiesta giudiziaria tesa ad accertare le responsabilità e condannare i colpevoli dell’esplosione non ha fatto progressi.

In una Beirut blindata da misure di sicurezza eccezionali, Leone XIV ha quindi percorso due chilometri in papamobile per celebrare la Messa fronte mare, coadiuvato dal patriarca del Libano dei Maroniti, cardinal Bechara Rai. Hanno assistito alla celebrazione della Santa Messa per la pace e la giustizia il patriarca di Gerusalemme dei latini cardinal Pierbattista Pizzaballa, il vescovo siro-cattolico di Aleppo monsignor Hanna Jallouf, un gran numero di vescovi e prelati cattolici ed ortodossi, le massime autorità libanesi e centomila persone circa, di cui secondo le stime il venti per cento musulmani.
Per tutta la durata della celebrazione una rappresentanza del corpo di pace delle Nazioni Unite UNIFIL, giunta dalla base di Naqoura, nel sud del Paese, e una delegazione della missione MIBIL dell’esercito italiano di stanza a Beirut con mansioni di formazione e addestramento hanno scortato l’altare.
La liturgia – in arabo, armeno, siriaco, greco, inglese e francese – è stata seguita con partecipazione e commozione autentica dai presenti; alla Preghiera dei fedeli sono state ricordate le vittime della guerra e chiesto l’intercessione dei Santi libanesi Charbel, Rafka e Nimatullah. Durante l’omelia il Papa ha consegnato agli astanti un breve appello per la pace, rinnovato anche al termine della celebrazione e una terza volta prima di lasciare il Paese, all’aeroporto Rafik Hariri.

Nel difficile contesto geografico, storico e politico in cui il Libano si trova, però, la pace dipende solo in minima parte dalla buona volontà del piccolo Paese dei Cedri, che peraltro attraversa una congiuntura socio economica molto grave. La Nuova Bussola Quotidiana ne ha parlato con monsignor Joseph Mouawad, vescovo eparca di Zahle dei Maroniti, presente alla celebrazione.

Monsignor Mouawad, pensa che anche la comunità internazionale ascolterà l’appello del Santo Padre per la pace?
Lo spero. Per poter avere la pace in Libano, soprattutto in questi giorni, occorre fare un lavoro sia a livello nazionale che a livello internazionale. Il nostro impegno come libanesi si concentra essenzialmente su quattro cose: la consegna delle armi da parte di Hezbollah, la risoluzione della crisi economica – la situazione è leggermente migliorata ma ancora molto difficile,  non siamo nemmeno lontanamente tornati ai livelli di benessere pre-2019 – lo sradicamento della corruzione e l’indipendenza della magistratura dalla politica.  Quando ci sarà trasparenza nell’amministrazione pubblica il Libano raggiungerà il benessere velocemente – non è una mia opinione,  mi baso sui dati: tutti gli esperti sono concordi nel dirlo, perché il Libano è un Paese piccolo.

Nel 2026 ci saranno le elezioni politiche in Libano. Ci sono candidati adeguati?
Si deve cercare di trovarli, questa è  la nostra missione come popolo. Chi è stato eletto deve rendere conto del proprio operato, è  il popolo che deve giudicare. Come vescovo nelle mie omelie provo a trasmettere la Dottrina sociale della Chiesa, secondo la quale il popolo è  responsabile della scelta dei propri rappresentanti, soprattutto in democrazia, che la Chiesa apprezza più di altri regimi.

Come diceva, questo è il lavoro che i libanesi devono fare per raggiungere la pace. E la comunità internazionale come può supportare e proteggere il Libano dalla guerra?
A livello internazionale il Libano ha bisogno che si facciano pressioni attraverso i canali diplomatici su Israele, che minaccia di attaccare il Libano: il problema dev’essere risolto per via diplomatica, problema che per inciso è legato alla consegna delle armi da parte di Hezbollah. La comunità internazionale può esercitare pressioni anche sull’Iran, affinché lasci libero Hezbollah di consegnare le armi. Frattanto devono continuare le trattative per via diplomatica con Israele affinché non muova guerra al Libano.  Un’altra azione di sostegno al Libano che i Paesi occidentali, segnatamente gli USA, possono fare è rafforzare il nostro esercito che è ben preparato, ma non altrettanto bene equipaggiato.

Anche l’opinione pubblica libanese spinge perché Hezbollah consegni le armi?
Certamente, anche a livello nazionale vogliamo che Hezbollah ceda le armi, ma se il governo libanese chiede all’esercito di prenderle in consegna con la forza rischiamo una guerra civile, dunque il problema va risolto con il dialogo tra le istituzioni e Hezbollah.

Ci sono interlocutori con cui dialogare?
Sì, Hezbollah ha i suoi rappresentanti e da parte libanese i responsabili politici sono deputati a questo.

Il legame tra Iran e Hezbollah è ancora forte come prima del 7 ottobre 2023 e di tutto ciò che ne è seguito?
Assolutamente. Non si ha la sensazione che il legame ideologico tra Hezbollah e Iran si sia allentato; certamente per Hezbollah e più difficile  a livello pratico ottenere aiuti in denaro, armi o altro dall’Iran, a causa dei maggiori controlli alle frontiere e della caduta del regime di Assad in Siria, ma la sudditanza ideologica di Hezbollah alle autorità iraniane resta intatta. Una delle critiche principali che come libanesi muoviamo alla milizia sciita è proprio questa: Hezbollah può bene trovare spazio come gli altri partiti nell’arco istituzionale, ma deve recidere il legame con l’Iran in quanto deve lealtà solo al Libano, non a un altro Stato. La società civile chiede questo a Hezbollah: servire il bene dello Stato libanese sovrano.

In questi giorni è opinione diffusa in Libano che Israele muoverà guerra aperta al Paese non appena il Papa avrà lasciato il suolo libanese. Lo ritiene realistico?
Non lo sappiamo, ma questa minaccia è sempre presente; credo che se  e quando Israele attaccherà su vasta scala lo farà senza anticiparlo, non avvertirà prima. In Libano viviamo un sentimento, più che di terrore, di continua apprensione verso qualcosa che potrebbe accadere.

Qual è la sua impressione personale sul Santo Padre Leone XIV?
Sono rimasto colpito dalla sua persona: umile, ma allo stesso tempo determinata. Il suo messaggio ci ha incoraggiato a continuare a perseguire la pace e l'unità tra noi. Nelle ultime parole che ci ha lasciato ha invitato tutti i libanesi, di qualunque confessione, a vivere come fratelli e sorelle, come un’unica comunità: solo preservando l'unità tra noi possiamo costruire la pace.



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