L’occupazione totale di Gaza, il piano che divide Israele
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L’annuncio di Netanyahu di voler occupare tutto il territorio della Striscia divide l’esecutivo. Contrario il capo di Stato Maggiore. Il primo ministro prosegue con il licenziamento degli oppositori. Tra i soldati israeliani emerge il dramma dei suicidi e delle patologie psichiche, spesso per sensi di colpa.

Il vero obiettivo della guerra tra Israele e Hamas è stato finalmente svelato dal primo ministro Benjamin Netanyahu: occupare Gaza o, meglio, annettere tutto il territorio della Striscia sotto il controllo di Israele, estromettendo quello che rimane di Hamas, ma anche dell’Autorità Palestinese che avrebbe potuto assumere, invece, il controllo dell’area.
L’operazione di terra, approvata dal presidente americano Donald Trump, era pronta e doveva essere comunicata ieri al gabinetto di guerra, rinviato a domani per forti divergenze tra i ministri. Netanyahu, in alternativa, ha partecipato invece ad una riunione ristretta per esaminare le varie opzioni in merito alla continuazione della campagna nella Striscia. Secondo questo piano, i soldati dovrebbero entrare e occupare ogni angolo dell’exclave musulmana, ma il 75% del territorio è già sotto il controllo israeliano. Mentre Netanyahu rivela le sue ultime intenzioni, a Gaza si assiste ad una carneficina senza fine, nell’indifferenza più assoluta della maggior parte delle cancellerie. Nelle ultime ventiquattro ore, rispetto al momento in cui scriviamo, nella Striscia sono stati uccisi 87 palestinesi, mentre oltre seicento sono rimasti feriti. Il bilancio della guerra, iniziata quel tragico e orrendo 7 ottobre (2023), è realmente spaventoso: 61.020 sono le vittime, 150.671 i feriti, secondo l’ultimo comunicato del Ministero della Salute di Gaza, gestito da Hamas.
Ma non tutti sono favorevoli a questa operazione. L’esecutivo, che appoggia Netanyahu, è diviso. Anche tra governo e vertici militari non c’è sintonia. Eyal Zamir, capo di Stato Maggiore delle Forze armate, nominato da Netanyahu da pochi mesi, avrebbe manifestato la propria contrarietà, provocando una violenta reazione da parte del primo ministro che avrebbe detto: «Se non è d’accordo, che presenti le dimissioni e sarà immediatamente sostituito». A dar man forte a Netanyahu c’è il ministro dell’estrema destra ultraortodossa, Itamar Ben-Gvir, che sulla piattaforma X ha affermato che il capo di Stato Maggiore deve obbedire ai politici anche se non ne condivide le scelte.
Che Netanyahu stia governando licenziando tutti i suoi oppositori è cronaca quotidiana. Nel corso dell’ultima riunione della Knesset è stato deciso il licenziamento di Yuli Edelstein, il presidente della commissione per gli Affari esteri e la Difesa del parlamento. Edelstein si opponeva con determinazione all'esonero dell’obbligo di leva per i giovani ultraortodossi, esenzione promessa da Netanyahu ai suoi alleati di governo. È stato sostituito da Boaz Bismuth, promotore di una proposta di legge favorevole allo Shas, il partito che chiede a gran voce l’esonero degli ultraortodossi dal servizio militare. Ma c’è un altro licenziamento eccellente: quello della procuratrice generale Gali Baharav-Miara, che si è opposta alla riforma della giustizia voluta dal premier e che guida il processo per corruzione in cui è indagato lo stesso Netanyahu.
Ma il primo ministro prosegue, incurante, per la sua strada, nonostante la lettera sottoscritta da 550 generali in pensione, responsabili dei servizi segreti del Mossad e dello Shin Bet. Nella missiva, inviata al presidente Trump, chiedono di fermare Netanyahu, in quanto «tutto ciò che poteva essere raggiunto nella Striscia di Gaza con la forza è stato raggiunto». «Ma il dado è tratto. Sono previste operazioni massicce nelle aree dove sono segregati gli ostaggi», ha dichiarato il primo ministro, parlando con i suoi più stretti collaboratori. Non sono stati però chiariti i particolari di questa nuova operazione e quale sarà il futuro per gli oltre due milioni di palestinesi ancora in vita e per i gruppi umanitari che operano nell’exclave. È chiaro che questa operazione potrebbe esporre gli ostaggi al rischio di essere giustiziati dai loro rapitori, qualora le truppe si avvicinassero al luogo in cui sono trattenuti.
Non è solo il capo di Stato Maggiore dell’esercito ad opporsi a questa annessione. Anche i soldati sono stanchi di questa guerra. Migliaia di riservisti e i militari in servizio stanno chiedendo, ad alta voce, di porre fine a questo conflitto. Ma c’è un dramma sommerso, che le autorità non intendono far emergere. Sarebbero migliaia i soldati israeliani traumatizzati e colpiti da patologie psichiche post-belliche. Molti di loro soffrono di sensi di colpa. Daniel Edri aveva partecipato a vari combattimenti. Dopo aver fatto ritorno a casa non riusciva più a dormire; la diagnosi: disturbo post-traumatico da stress. Aveva gli incubi e quando si svegliava distruggeva tutto quello che trovava attorno a lui. Gli orrori della guerra lo perseguitavano. Si è tolto la vita, dandosi fuoco all’interno della propria automobile. «Sono decine di migliaia i militari in difficoltà che si rivolgono a noi – racconta Shiri Daniels, dottoressa e responsabile dell’Eran, un call center. Stiamo aiutando molti soldati, soggetti ad un forte aumento di casi di ansia, depressione e problemi emotivi». Sedici militari israeliani si sono suicidati durante quest’ultimo anno, portando il numero totale dei suicidi nell'esercito a 54 dall'inizio della guerra. Nei pressi di Tel Aviv, l’esercito ha creato un centro assistenza per ex soldati. Medici e psicologi sono impegnati nel sostegno di questi militari, ma l’esercito non fornisce dati. Secondo i media israeliani sarebbero tra 17 mila e 26 mila i soldati che soffrono di malattie psichiche. «I nostri figli e le nostre figlie portano un carico pesante, anche dopo aver lasciato il campo di battaglia. Non abbiamo né il privilegio, né il tempo di aspettare. Chiedo all'esercito di istituire una commissione autorevole, con obiettivi chiari e in piena trasparenza», ha dichiarato la parlamentare del Likud, Keti Shitrit.
Secondo i dati diffusi dai vertici militari, sarebbero 895 i soldati israeliani uccisi durante le azioni belliche, mentre 6.134 sono i feriti, ma l'esercito è sotto accusa per aver nascosto il numero dei soldati che hanno perso la vita. E in questa drammatica guerra, che dura da 670 giorni, Israele ha intensificato la lotta al controspionaggio. Le forze armate israeliane hanno imposto, infatti, un divieto assoluto all'ingresso di veicoli di fabbricazione cinese in tutte le loro basi, adducendo preoccupazioni circa possibili fughe di dati dalle telecamere e dai sensori di bordo.